giovedì 20 maggio 2010

La vita di Jalâl âlDîn Rûmî

Jalâl âlDîn Rûmî
Dice Allah nel Corano: "Né i cieli né la terra Mi contengono, ma Mi contiene il cuore del Mio fedele."
Il cuore, non la mente; poiché infatti possiamo capire Allah con il cuore e con tutti i sentimenti che simbolizziamo con il termine "cuore"; mai con il ragionamento, la ricerca scientifica, la speculazione razionale.

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Mistico è colui che aspira ad infrangere i limiti terreni della nostra carne, per giungere a capire sempre più Allah, per sentirlo nella Sua realtà ineffabile e incommensurabile, anche se, in effetti, secondo il Corano (50ª16), Dio è "vicino a ciascuno di noi più della sua stessa vena giugulare."
Jalâl âlDîn Rûmî , nacque a Balkh, nell’attuale Âfghânistân, il 30 settembre 1207. Il padre, sufi, teologo e predicatore di fama, lasciò Balkh nel 1209 con la famiglia, e fece bene. Pochi anni dopo la città venne distrutta dai Mongoli invasori. La famiglia soggiornò in `Irâq, poi in Siria, infine in Turchia dove, a Lâredeh, nel 1225 Rûmî sposò Gevher Banu, figlia di un maestro sufi di Samarcanda. Nel 1228 la famiglia venne invitata a Konya dal re selciukide Kaykubad.In questa città Rûmî, alla morte del padre, viene istruito prima dal maestro sufi Tirmidhî, poi da Shams âlDîn Tabrizî. In questa città Rûmî dapprima insegna nella Facoltà di Teologia, poi fonda la Confraternita (o Ordine, tariqa) dei Sufi Mevlevi, detti in Europa i "dervisci giranti".
Il pensiero e il misticismo di questo grande maestro sono conservati in quattro grandi opere: il Mathnawî, il Dîwân-i Shams-i Tabrizî, le Quartine (Rubâ`iyât)e il Fîhi-mâ-fîhi. Il Mathnawî è un grande poema di 25.630 distici, ossia 51.280 versi, suddivisi in sei libri. E’ soprannominato Il Corano in versi per il suo contenuto ascetico. Il Dîwân-i Shams-i Tabrizî è un grande canzoniere che raccoglie 1.081 poesie fra le più belle di tutta l’umanità. Così si può dire per le 1.765 quartine, essenziali, stupende. Il Fîhi-mâ-fîhi è in prosa, e raccoglie alcuni fra i più importanti discorsi, insegnamenti e pensieri del maestro.
Il 17 dicembre 1273 Rûmî diede l’ultimo saluto ai suoi cari, e spirò serenamente. I seguaci chiamano questa notte Seb-i Arus. Sembra che al lutto, durato quaranta giorni, abbiano partecipato anche i cristiani e gli ebrei, officiando le preghiere per i defunti precipue della loro religione. Rûmî venne sepolto in un mausoleo eretto nella tekké Mevlevi stessa, mausoleo (il Kubbe-i Hadra: la Cupola verde) ideato dall’architetto Badr âlDîn di Tabrîz, e sempre più decorato e abbellito nel tempo. Il grande cenotafio di legno, capolavoro della scultura selciukide, fu eseguito da Selimoglu Abdülvahid. Accanto vi si legge la quartina di Rûmî: "Fratello, se vieni a visitare la mia tomba, non ti dimenticare la tua bara./ Non è giusto addolorarsi per l’unione con Dio./ Dopo la mia morte non cercare la mia tomba sulla terra: /la mia tomba è nel cuore di coloro che sanno."
All’ingresso della sua Abbazia venne messa invece, sempre su sua richiesta, questa sua quartina: "Vieni, vieni, chiunque tu sia vieni:
sei un idolatra, un miscredente, un ateo? Vieni. /La nostra non è la casa della disperazione, / e anche se hai tradito cento volte una promessa... vieni!
Per celebrare la morte di Rûmî, i Mevlevi danzano a Konya un Samâ` (in turco: Semâ) rituale la seconda settimana di dicembre. Altamente emblematica, altamente spirituale, questa danza è l’espressione stessa della realtà divina e della realtà fenomenica, in un mondo in cui tutto, per sussistere, deve ruotare come il cuore degli atomi, come i pianeti, come il pensiero. Il Semâ simbolizza l’ascesa spirituale, viaggio mistico dall’essere a Dio - in cui l’essere si dissolve - per ritornare poi sulla terra ("prima di compiere il viaggio credevo che le montagne fossero montagne e i mari fossero mari; durante il viaggio scoprii che le montagne non sono montagne e i mari non sono mari; ed ora che sono giunto so che le montagne sono montagne, e i mari sono mari." Dhul Nûn âlMisrî).                                   
Vi partecipano da un lato musici e cantanti, dall’altro il Maestro e i danzatori. La cerimonia, vero e proprio rito religioso, è divisa in sette fasi, e anche in Europa se ne conosce un aspetto, ridotto e abbreviato, presentato talvolta dai Mevlevi di Konya quando vengono invitati da qualche Ente pubblico. Anche alcuni gruppi di danzatori non sufi che hanno imparato per imitazione unicamente quella danza e quella musica, la rappresentano ogni tanto in teatri italiani, pur se con differenze notevoli dalla tradizione codificata islamica.
Tratto dalla Tariqa Jerrahi-Halveti

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