mercoledì 26 ottobre 2011

Il linciaggio di Gheddafi e l’etica tribale dell’Occidente



Scritto sulla Libia di:
Claudio Moffa :::: 26 ottobre, 2011 ::::                                    

«Non c’è guerra, rivoluzione, assassinio anarchico, o qualsiasi altro fatto che impressiona l’opinione pubblica che non sia utile per questi uomini; sono arpie che succhiano i loro guadagni da ogni nuova spesa forzosa e da ogni improvviso disturbo del credito pubblico. Per i finanzieri “che sanno, la spedizione di Jameson fu un colpo molto vantaggioso, come si può accertare da un confronto dei titoli tenuti….»

John Atkinson Hobson, Imperialism: a Study¸1902





Gheddafi e Antonio Cassese: un accostamento forse scomodo, ma simbolicamente rappresentativo della doppia morte del Diritto Internazionale
La morte di Gheddafi segna l’apoteosi del peggiore Occidente e della sua etica tribale: una “etica” criminale, usuraia e scristianizzata, alimentata dal mainstream mediatico e dai direttori di tutte le grandi testate internazionali “progressiste” e non. Prima di essere orribilmente linciato da un gruppo di ribelli-fantocci (1) imbeccati dall’ “ultimo” e risolutivo bombardamento NATO del convoglio in fuga da Sirte, Gheddafi è stato linciato giorno dopo giorno dai mass media che hanno condotto per mesi una accurata campagna di disinformazione e destabilizzazione della Jamahiriya libica: nessuno è sfuggito a questa regola, nemmeno la stampa pro-Berlusconi, artefice dell’accordo del 2008 e ospite di Gheddafi a Roma appena un anno fa. Non basta certo la pubblicazione di un articolo postmortem sull’ “onore delle armi” alla Guida, o un “cosiddetti ribelli” colto al pur migliore TG 1, o la distribuzione da parte de il Giornale del Libro Verde di Gheddafi – l’estate scorsa – a rendere questo frontemigliore dell’altro.
La specifica contraddizione, plateale e primaria, di tutta la stampa di centrodestra non è solo quella pur sussistente del “tradimento”, ma alla radice, da un punto di vista fattuale e logico, il non aver mai ragionato e fatto ragionare i lettori – già bombardati dal veleno fallaciano profuso per anni dall’ala antislamica-per-principio del suo giornalismo – in termini di garantismo giuridico-internazionalista. Sacrosanta la protesta contro i difetti e le parzialità del sistema giudiziario italiano, e verità incontrovertibile la spudorata “attenzione” di certi PM contro il premier: autolesionista e schizofrenico il silenzio sui “difetti” del sistema giudiziario e ONU sul piano delle relazioni internazionali, mai rotto nemmeno per contrastare intelligentemente la concorrenza quotidiana e a tutto campo (oltre cioè lo specifico capitolo Gheddafi) del Presidente Napolitano. La guerra di Libia – dalla rapina dei beni statali alla delega del comando militare a una organizzazione di parte; dalla no-fly-zone in difesa di una rivolta armata, ai bombardamenti NATO sulle popolazioni civili (2)- non ha avuto nemmeno un barlume di legittimità: è stata un atto di banditismo internazionale malcelato dal silenzio omertoso della stragrande maggioranza dei giuristi internazionalisti, e di cui si deve essere probabilmente accorto anche Antonio Cassese, in punto di sua morte avvenuta poche ore dopo la diffusione planetaria del video-horror della Sirte.Né possono oggi – a assassinio compiuto – farsi vanto di “proteste” e puntualizzazioni fittizie, Ban Ki Moon e la Corte Penale Internazionale: al primo Gheddafi aveva ripetutamente richiesto una commissione di inchiesta per verificare la situazione sul terreno: la risposta fu il silenzio (3) . La seconda (denunciata da Gheddafinel 2009 per la sua parzialità in Africa: sostanziale inazione di fronte alle stragi degli invasori tutsi di Paul Kagame ai danni di centinaia di migliaia di Hutu e alleati “etnici” del Congo orientale; e dall’altra parte, il mandato di cattura per Al Bashir, per una guerra civile nel Darfur sostenuta da Israele) è stata attiva solo nel richiedere un altro mandato di cattura internazionale contro il leader libico, già nel giugno scorso, e sulla base dei “de relata” mediatici (4): pazzesco, i magistrati della giustizia internazionale che rinunciano a una indagine cognitiva autonoma e si affidano alle patacche del New York Times, dell’Economist e di Al Jazira (5).

Il segno sionista della guerra di Libia, dal colpo di mano Sarkozy al linciaggio di Gheddafi

Questo detto, una sommaria puntualizzazione sul prima e dopo la fine di Gheddafi è opportuna: come è stato ripetuto da più parti, la guerra di Libia è scoppiata e il regime di Tripoli rovesciato, non perché il reddito della popolazione fosse mediamente basso, come nel caso di altri paesi sconvolti dalla “primavera araba”, ma al contrario perché la Jamahiriya era un paese mediamente benestante, ricco di petrolio da esportazione, caratterizzato da una struttura economica satisfattiva delle esigenze di base dei suoi cittadini – dai servizi alla proprietà della casa, ai redditi più che sufficienti (6) –sorretta dal gigantismo degli interventi strutturali messi in opera dalla genialità del rais – primo fra tutti il grandioso acquedotto “manmade-river” (7) – e capace di una politica estera sia politica che economico-commerciale dinamica e per molti versi vincente. In Africa innanzitutto – attenzionata e coltivata da Gheddafi dopo la sua rottura con i “fratelli arabi”: fu lui a fondarel’Unione Africana (8) – ma anche in Europa, con massicci investimenti probabilmente mirati. Una presenza libica che in Italia risale addirittura al 1978 – le azioni della Fiat, una Fiat in cui non si era ancora risolto, o forse non era ancora emerso, il conflitto tra pro-cattolici, pro-musulmani (Edoardo Agnelli e la sua oscura morte (9) ) e pro-ebrei , oggi stravincenti – e che sicuramente ha dato molto fastidio ai soliti poteri forti occidentali.
Per questo la Jamahiriya è stata aggredita, facendo leva come da classica guerra imperialista sull’antica contrapposizione – di cui parlava già Erodoto (10) – tra Cirenaica e Tripolitania, megaregioni di un paese nel quale, sotto la bandiera verde della rivoluzione pan-nazionale gheddafista permanevano peraltro anche altre sedimentate divisioni etno-regionali, quelle oggi sempre più evidenti.La struttura bancaria statale libica, in una fase di scatenamento selvaggio della finanza “laica” mondiale e di sopravvivenza di una finanza islamica ancora in parte memore dei versetti del Corano di condanna dell’usura; la politica di (media) potenza di Tripoli tale da dar fastidio persino alla Cina in terra d’Africa; e il risveglio antisionista di Gheddafi dopo il lungo tunnel del caso Lockerbie, con le dichiarazioni di fuoco contro Israele e la “sua” CPI dell’agosto del 2009, di fronte agli ospiti stranieri riuniti per festeggiare il quarantennale della rivoluzione: questi sono i tre momenti simbolo che spiegano più di ogni altra cosa – più del petrolio, fattore logicamente e “cronologicamente” secondario- l’aggressione alla Libia. Una guerra, dunque,in cui il sionismo internazionale – quello a-territoriale, la grande finanza mondialista; e quello territoriale, lo stato ebraico “offeso” dalle parole “antisemite” del rais, e alla ricerca di una rivalsa dopo le sconfitte della guerra del Libano del 2006 e della invasione di Gaza due anni dopo – ha avuto sicuramente un ruolo centrale, tanto centrale quanto occultato dal mainstream mediatico, “autorevoli “siti in rete compresi.Sìsì, è vero, non c’è il solo sionismo a opprimere i popoli del mondo: i finanzieri e i razzisti sono anche sauditi, indiani, cristiani, musulmani, americani wasp e francesi doc.E poi ci sono i padroncini di Barletta a 3 e 95 euro l’ora, lo “sfruttamento dell’uomo sull’uomo” è binario.
Ma la centralità e la supremazia della capacità di fuoco sionista rimane: trovate una altra combinazione-convergenza dentro uno stesso gruppo di potere lobbistico di finanza, mass media, comunità diasporiche. Non c’è: non esistono direttori di giornali sauditi in Occidente o se esistono sono rari come le mosche bianche. Al massimo ti infilano un bravo e simpatico professionista nero in qualche TG, uno solo per piazzarne altri dieci di affiliazione diversa e più affine. Il potere delle lobbies islamiche in Europa o nel mondo è poi minore, anche laddove esistono forti comunità di immigrazione: di immigrazione recente, non plurisecolare e plurimillenaria, con i suoi effetti a cascata grazie alla capacità, capillare, sorretta da una “base di massa” , di insinuarsi in ogni dove se vuole, persino in rete, persino tra i cosiddetti “rivoluzionari” di destra, di sinistra e rossobruni; persino tra i siti di “analisi” geopolitica, che abdicano all’abc della professionalità occultando sistematicamente il fenomeno e nel caso specifico – la Libia – il segno sionista dell’aggressione della NATO e dei suoi ribelli-fantoccio.
Segno dimostrato per finire – anche questo aspetto è stato taciuto da quasi tutti, fino all’invenzione-patacca di una preminenza degli USA nella guerra a Gheddafi da parte della solita coglioneria marxista e postmarxista – dal ruolo trainante e centrale nel conflitto dei due leader più sionisti dell’Unione Europea: Sarkozy, il “primo presidente ebreo della Repubblica francese” (11), e Cameron, anche lui scopritore di vere o presunte sue radici ebraiche e protagonista di una campagna elettorale all’insegna della fedeltà a Israele (12). L’inizio della guerra di Libia è stato il colpo di mano del presidente francese del 19 marzo, il via libera ai bombardamenti mentre ancora era in corso il vertice di Parigi incaricato (da lui stesso) di implementare la risoluzione dì ONU di due giorni prima. La conclusione è stata il linciaggio di Gheddafi, che stando alle cronache di stampa, sarebbe stato opera della “tribù di Misurata” “discendente dagli ebrei turchi” (13) : di Salonicco cioè, la stessa città di origine della famiglia di Sarkozy? (14) Ed è questo il motivo vero, talmudista, della violenza bestiale e criminale dei linciatori, che solo a crimine compiuto hanno attribuito a due neri-un giovane in un filmato, un adulto in un’altro: quest’ultimo sembrerebbe essere quasi stato minacciato – del crimine compiuto ai danni del legittimo Capo di stato libico? Il tutto comunque il 20 ottobre scorso, data fortunata per il marito di Carlà, sfortunata per i suoi molteplici nemici e le loro memorie storiche: nascite e stragi di bambini, sempre tutti innocenti per tutta l’umanità, tranne che per certi razzisti. Canaglie. Vera o non vera la storia degli “ebrei turchi”, la sua esternazione mediatica è la firma finale sulla guerra, qualcosa che ricorda la visita improvvisa- anch’essa dubbia, e a cui venne dedicato solo qualche trafiletto – di Sharon a Saddam in carcere , nel 2004 …

Il futuro della Libia e le sue incognite

Del resto, di segno sionista rischia di essere anche la prospettiva che si intravvede in questi primi giorni postgheddafiani: la paventata balcanizzazione del paese di cui si parla con tanto di richiamo al tentativo postbellico degli anglo-francesi di dividere l’ex colonia italiana in Fezzan, Cirenaica e Tripolitania – tentativo fallito grazie all’Italia democristiana di De Gasperi – è assolutamente coerente con l’ideologia sionista, tendenzialmente di acciaio al suo interno, ma ultradifferenzialista nei confronti dei popoli gentili. Le nazioni in pace invase dall’immigrazione selvaggia, se non violi i “diritti umani” (Louise Arbour, all’indomani dell’accordo italo-libico del 2008. Per inciso, la Arbour è la stessa che persegui’, anzi perseguitò Milosevic fino al suo assassinio in carcere: di nuovo emerge l’assenza di coerenza nel garantismo giuridico del centrodestra) e le guerre e le “autodeterminazioni” altrettanto selvagge per distruggere paesi uniti e sedimentare odi interetnici di lunga durata. Il modello è quello di Oded Ynon, sulla rivista Kivunim dell’Organizzazione Sionista Mondiale nel 1982 (15) : la divisione del Medio Oriente secondo linee etno-religiose, come nel caso del federalismo economico in Iraq, come è stato ripetutamente tentato in Libano, come si tenta in questi mesi in Siria, e come sta emergendo con gli attentati oscuri in Egitto che scatenano l’odio tra copti e musulmani. Un dejavu, vedi l’attentato al mercato di Serajevo in Bosnia, falsamente attribuito ai Serbi e prodromo della disgregazione finale della vecchia Federazione jugoslava di Tito .
Si dirà: ma che giovamento può trarre l’Occidente dalla balcanizzazione della Libia, e dal perdurare degli odi interetnici scatenati dal conflitto? La risposta è: dipende, c’è Occidente e Occidente, come nel caso dell’Iraq. Per George Bush – proclamatosi ridicolmente vincitore ai primi di aprile del 2003 nel suo discorso “storico” sulla portaerei USA – la guerra contro Saddam si è tradotta in un disastro – circa cinquemila soldati americani morti durante l’occupazione del paese – ma per Israele, il paese che ha spinto in tutti i sensi la Casa Bianca dello psicolabile figlio di Bush senior, verso la “guerra infinita”, sfruttando l’attentato dell’11 settembre, facendo leva sui neocons ben inseriti nell’Amministrazione, e su Cheney e Rumsfeld, la questione si pone in modo diverso. Il sionismo e il suo retroterra finanziario hanno bisogno del caos altrui – di qualsiasi segno, dalle BR “comuniste” a Al Qaeda “islamica” – per sopravvivere e rafforzarsi. Non soltanto perché così indebolisce e sconfigge i suoi nemici (e l’Iraq baathista e la Libia gheddafista , lo erano), non soltanto perché dalle guerre può trarre – come ricordava già Hobson, L’imperialismo, 1902 – lauti profitti di borsa, ma anche perché grazie al caos permanente in Medio Oriente e nel mondo, lo Stato ebraico può continuare a fare quello che gli pare e piace in Palestina, all’insegna del diritto biblico e in violazione costante delle più elementari norme di Diritto internazionale, lo jus gentium, il diritto dei popoli gentili. Più si creano nuovi terreni di attenzione operativa della “diplomazia internazionale”, più il rischio di dover alla fine cedere (ma quando mai?) alle “pretese” della comunità internazionale si allontana. Forse non ha sempre funzionato così, ma negli ultimi anni la cronologia parla chiaro: nel 2006 Hezbollah riesce ad infliggere una storica sconfitta allo esercito israeliano; due anni dopo, l’obbiettivo dell’ “annientamento” di Hamas non viene raggiunto; per intanto, fin dal 2004-2005, falliscono tutti i tentativi israeliani di trascinare gli Stati Uniti in un attacco contro l’Iran. L’assedio di Gaza suscita tra l’altro l’indignazione internazionale, e ancora più l’assalto armato alla flottilla turca. Si profila dunque il pericolo di un accerchiamento diplomatico dello Stato ebraico, soprattutto grazie a Putin (discorso di Monaco del 2008 pro-multilateralismo) e ai suoi alleati e interlocutori primari nel mondo mediorientale e in Occidente. Si paventa in particolare, a Tel Aviv, il riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese, a favore del quale erano già stati in procinto di pronunciarsi, esattamente l’11 settembre 2001 , gli Stati Uniti, con un già programmato discorso al’ONU di Colin Powell, poi saltato a causa dell’attentato “islamico” alle Torri. Dieci anni dopo, il pericolo si ripresenta, ed ecco la reazione israeliana su due piani: l’uso delle primavere arabe per colpire mortalmente i suoi nemici dall’interno, a cominciare dall’anello più debole, il paese più isolato di tutti nella Lega regionale, la Libia; e l’attentato di Oslo, contro eventuali impennate di una Unione europea ormai ingranditasi rispetto al vecchio nucleo storico occidentale, a rischio dunque di cosiddetto “antisemitismo”, e al cui interno la Norvegia laburista era  diventata la punta di diamante della battaglia per la difesa dei diritti del popolo palestinese.

Primo dovere, il parlar chiaro

Tutto questo non vuol dire che la tendenza messa in moto dalla guerra di Libia sia irreversibile: in Libia, la manifestazione di ieri di “gioia popolare” sulla Piazza verde e l’annuncio della  svolta “democratica” ha palesato sullo schermo televisivo molti spazi vuoti, una folla ogni tanto rada e chissà se di veri tripolini e veri libici, oppure anche e soprattutto di falsi arabi dei servizi anglo-francesi e di libici di altre regioni. Sul piano internazionale, i paesi che ostacolano la peraltro impossibile normalizzazione sionista sono ancora molti, e non c’è bisogno di elencarli. Anche coloro che hanno taciuto e hanno tradito Gheddafi. La partita è dunque ancora aperta, i diritti del popolo palestinese e di tutti i paesi del mondo a sviluppare le loro economie, industria nucleare a scopi civili inclusa, ancora sul terreno di battaglia. Così come, a fronte dell’aggressione finanziaria ai paesi europei, un nodo su cui riflettere è quello dell’ autonomia della Politica dai poteri bancari e monetari, che coinvolge tutte le tendenze e che non dovrebbe risolversi però in un anatema contro tutto e tutti.
Nella difficile fase segnata da forti incertezze, quel che è sicuro è che chi segue solo dall’esterno, come osservatore, giornalista o politologo o storico che sia, gli sviluppi geopolitici dello scacchiere mediorientale e delle sue proiezioni nelle altre regioni del mondo, dovrebbe mantenere un profilo di professionalità il più alto possibile: non si tratta di pretendere ovviamente l’ “infallibilità” – tutti possono sbagliare nelle valutazioni, a partire il sottoscritto – ma di esigere l’onestà nel parlar chiaro sul chi è contro chi nelle guerre e nelle crisi internazionali, battendosi contro l’ “occultamento della storia” e abbandonando schemini consunti e auto gratificanti – a cominciare dall’americocentrismo: Wall Street ha aggredito anche Obama – che non possono che produrre danno e confusione. Su questo terreno, il tatticismo è solo autolesionista, e solo la scelta della chiarezza è all’altezza della fase storica che stiamo attraversando.

* Claudio Moffa, africanista, è docente all’Università degli Studi di Teramo




1) Secondo dottrina, gli Stati-fantoccio – così definiti per essere totalmente dipendenti da un altro Stato al momento della loro presa in considerazione – non possono godere di uno status internazionale. Credo che analogo attributo sia applicabile, nell’ambito della giuridico-internazionalista teoria degli insorti, anche ai ribelli libici, insorti vincitori della guerra civile senza alcuna autonomia dalla NATO e da questa – come dai servizi segreti francesi e britannici – completamente dipendente. Ovviamente, quanto appena detto, riguarda gli otto mesi di guerra di Libia e non, per forza di cose, il futuro. Nella lunga duyrata della storia, il diritto è sempre espressione di rapporti di forza, come ricordava Marx, e finisce per negare se stesso riesumandosi come legge della giungla, edulcorata e rappresentata dai cortigiani farisei dei nuovi potere come nuovo, appunto “diritto”.

2) Le violazioni specifiche del Diritto internazionale nella guerra di Libia riguardano principalmente1) l’interferenza negli affari interni di uno Stato – vietata dalla Carta dell’ONU, art. 2 – ovvero l’uso della forza dell’ONU come forza di interposizione in guerre tra Stati e non tra parti di uno stesso Stato (come avviene ad es. in Libano); 2) la non gestione diretta dell’azione militare da parte del Consiglio di Sicurezza e dei Caschi Blu, con tanto di delega addirittura a una organizzazione per statuto di parte come la NATO (Capitolo VII della Carta). Il fatto che la guerra di Libia abbia avuto in questo senso dei significativi precedenti nell’ultimo ventennio posibipolare non cambia la sua antiteticità rispetto ai principi codificati dall’ONU nel 1945. Di più, la stessa no-fly-zone – misura ultronea rispetto al diritto internazionale quale praticato dalle Nazioni Unite dal 1945 al 1990 – è innovativa e illegittima anche rispetto a quella inventata per la prima volta dagli anglo-americani per l’Iraq postguerra del 1991, alle prese con le insorgenze curde e sciite contro il governo centrale: lì, in Iraq, la no fly-zone riguardò infatti solo le zone di effettiva insorgenza – dunque non la regione centrale di Bagdad, saldamente sotto controllo del regime baathista. In Libia invece è stata estesa fin da subito anche alla Tripolitania e alla capitale, nonostante il consenso della popolazione locale a Gheddafi. Una “protezione di civili” che mirava fin da subito e direttamente – non indirettamente come nel caso iracheno del 1991-2 -alla destabilizzazione e all’aggressione diretta del governo legittimo libico. 3) il bombardamento anche di civili, che rende teoricamente imputabili di crimini di guerra la NATO e il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon.

3) Già il 7 marzo 2011: http://www.tradingonlinefree.it/crisi-libica-gheddafi-favorevole-ad-una-commissione-dinchiesta-delle-nazioni-unite-1355.html. Diverse anche successivamente le profferte di dialogo da parte di Gheddafi stando alle cronache: http://www.asianews.it/notizie-it/Gheddafi-accetta-il-piano-di-pace-





5) La più grande patacca mediatica della guerra di Libia è forse quella della manifestazione di un partito indiano rubricata da Al Jazira del 20 o 21 agosto 2011 come “Tripoli” – il popolo festeggia la liberazione di Tripoli. Vedi http://www.iemasvo.it/.,  l’intervento di Pino Cabras al convegno “La Libia allo scanner. Economia, mass media, legittimità dell’intervento”, Assisi, 12 ottobre 2011.ì



6) Tra i tanti interventi, ricordo quello recente di Bruno Amoroso al già citato convegno di Assisi “La Libia allo scanner …” del 12 ottobre 2011, E prima ancora, dello stesso Professore emerito dell’Università di Roskilde, Capitali congelati, un furto «umanitario», su il manifesto 26/3/11



7) http://www.iemasvo.it/index_iemasvo/index%20-%20libia_allo_scanner.html, fornisce una sommaria visione delle caratteristiche e delle strutture dell’opera.



8)Istituita formalmente nel 2002, l’Unione africana nacque con la Dichiarazione di Sirte in Libia, il 9 settembre 1999. Gheddafi ebbe un ruolo centrale, ma su Wikipedia italiana nemmeno viene citato e la fondazione a Sirte dell’Unione Africana viene relegata in secondordine rispetto alla fondazione ufficiale dell’UA nel 2002.

9) Ho appreso di questa lotta intestina alla Fiat, e del caso Agnelli in particolare, in Iran, durante un colloquio con un iraniano all’epoca – inizi anni Ottanta – studente a Roma


10) In Sallustio, De bello Iugurthino, 19, 79, il racconto della gara dei Fileni, due fratelli che parteciparono alla corsa per stabilire il confine tra la regione orbitante attorno a Cartagine, e quella posseduta da Cirene.



11) Così il presidente dell’Alliance franco-israélienne Georges Frêche,all’indomani dell’elezione di Sarkozy alla Presidenza della Repubblica : « je suis ravi que les Français aient élu un juif président de la République au suffrage universel direct. […] On avait déjà eu Léon Blum et Mendès France premiers ministres, mais on n’avait jamais eu un juif élu au suffrage universel. Et en plus, avec Kouchner comme ministre des Affaires étrangères, qu’est-ce qu’on veut de plus ?”« Et je vais dire à mon ami Kouchner : et quand c’est que tu reconnais Jérusalem, capitale d’Israël ? » Discorso tenuto a Montpellier il 24 giugno 2007, in occasione della « Journée de Jérusalem », nel quadro del gemellaggio tra la sua città e Tiberiade. Sulla collocazione di Sarkozy, Le Figaro avrebbe scritto che il presidente francese era stato “un espion du Mossad!: Press TV, citée par Salem-News.com, 17 mars 2011 Sarkozy Was a Mossad Agent? Le Figaro prétend que les fonctionnaires français de police ont réussi à garder secrète une lettre qui exposait les activités d’espionnage pour le Mossad de Sarkozy

12) Rimando ai miei precedenti scritti in rete e sui miei siti, sulla guerra di Libia.

13)http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=305&ID_articolo=118&ID_sezione=693:  “Gheddafi ucciso dalla trubù di Misurata”: 





14) Sulla biografia e carriera politica di Sarkozy, vedi Eric Blanrue, Sarkozy, les Juifs, Israel, Paris 2009

15) Il saggio di Oded Ynon è citato tra l’altro in Claudio Moffa (a cura di), Quaderni Internazionali, 3, La questione nazionale dopo la decolonizzazione. Per una rilettura del ‘principio di autodecisione dei popoli’, Quaderni Internazionali, 2-3, 1988. [6] In realtà l’articolo non conteneva riferimenti alla Libia, ma lo schema era lo stesso: dividere gli stati esistenti secondo linee etniche, regionali, religiose.



Altri articoli sulla morte del colonnello M. Gheddafi:



Le ultime volontà di Mu’ammar Gheddafi (Redazione)

L’ultimo messaggio di Gheddafi all’Italia (Redazione)

Il prossimo Nobel per la pace (Daniele Scalea)

Il “prezzo del sangue”: perché Gheddafi è stato ucciso (ma la guerra non finirà lo stesso) (Matteo Finotto)

Brevi considerazioni dopo la morte di Muammar Gheddafi (Costanzo Preve)

Il linciaggio di Muammar Gheddafi (Thierry Meyssan)

Per approfondire (dalla rivista “Eurasia”):

Geopolitica dell’energia: l’Italia nello scacchiere euro-mediterraneo (Dario Giardi)

La politica estera italiana nel Vicino Oriente (Pietro Longo)

La nostra Africa (Fabio Mini)

Il ruolo della Libia nel Nordafrica e nel Mediterraneo (Claudio Mutti)

L’Africa nella politica estera italiana (Daniele Scalea)

L’Italia tra l’Europa e il Mediterraneo (Daniele Scalea)

Dal “Mare Nostrum” al “Gallinarium Americanum”. Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente (Alberto B. Mariantoni)

L’Europa e l’area euro-mediterranea (Costanzo Preve )                   












































lunedì 24 ottobre 2011

Sunday 23 october 2011 7 23 /10 /Ott /2011 16:14 Il testamento di Gheddafi

In nome di Dio Clemente e misericordioso                              

Questo è il mio testamento, di Mouammar Bin Mohammed Bin Abdessalam Bin Humaïd Bin Aboumeniar Bin du Naïl Al Fohsi Al Kadhafi.

Io testimonio che non vi è altro Dio che Allah e che Maometto è il suo Profeta

Le mie ultime volontà sono:
•Che io non sia lavato alla mia morte e che sia interrato secondo il rito Islamico ed i suoi insegnamenti, con i vestiti che portavo al momento della mia morte.
•Che sia interrato nel cimitero di Sirte, a lato della mia Famiglia e della mia Tribù
- Che i miei familiari siano ben trattati, soprattutto le donne ed i bambini.
- Che il Popolo Libico salvaguardi la propria identità, le sue realizzazioni, la sua storia e l’immagine degli antenati e dei suoi eroi, e che non sia attaccato in nell’essenza di Uomini Liberi.
•Che continui la resistenza a tutte le aggressioni straniere subite dalla Jamahiriya, oggi, domani e sempre.
•Che si convincano gli uomini liberi della Jamahiriya che noi avremo potuto realizzare, con la nostra causa, una vita migliore, stabile e sicura. Noi abbiamo avuto tante proposte in merito, ma noi abbiamo scelto d’essere al fronte per dovere ed onore.E anche se noi non vinciamo oggi, noi offriamo una lezione alle generazioni future perché esse possano vincere, poiché la Nazione ha scelto l’onore ed il vendersi sarebbe stato un tradimento che la Storia testimonierà e giudicherà
Che sia trasmesso il mio saluto ad ogni membro della mia famiglia ed ai fedeli della Jamahiriya, nonché ai fedeli che ovunque nel mondo ci hanno sostenuti con il loro cuore.
Che la pace sia con voi tutti.


Mouammar El Kadhafi
Sirte, 17/10/2011    Sirte                                                               


SIRTE
                                                                                  

sabato 22 ottobre 2011

GIAMAHIRIA



pubblicata da Fabio Falchi il giorno venerdì 21 ottobre 2011 alle ore 17.51.

Per una analisi storica e politica della Giamahiria vi sarà tempo. Quel che è certo è che nulla di simile ci si deve aspettare dalla stampa italiana: nessun tentativo di capire per quale motivo le "forze occidentali" abbiano aggredito uno Stato sovrano o perché gran parte del popolo libico non abbia appoggiato i cosiddetti "ribelli". Attenti ai particolari personali e pronti a diffondere qualsiasi bufala pur di fare notizia, ma senza disturbare il manovratore, per i gazzettieri non c'è colore che non sia una sfumatara di grigio : Gheddafi come Saddam o addirittura come Mussolini. La retorica della libertà, si sa, è una macchina semplificatrice, benché potente. D'altronde, quel che conta è che la libertà e la democrazia made in Hollywood facciano un buon incasso. Insomma, che la "fiction " sia produttiva. E che i "semplici" ci credano.
Nondimeno, è lecito e perfino necessario fare una - sia pur brevissima - considerazione sulla fine della "Repubblica delle masse" (che non necessiamente significa la fine della resistenza del popolo libico contro i "collaborazionisti di Bengasi"). Indipendentemente dal fatto che la Libia è uno Stato tribale, che presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente da qualsiasi Paese europeo, è evidente che per giudicare la Giamahiria si deve tener conto che Gheddafi, allorché prese il potere nel lontano settembre 1969, si trovò di fronte al calssico problema di chi, per difendere i diritti del proprio popolo, deve combattere sia contro nemici interni, sia contro nemici esterni. Ovvero contro gli "agenti" del grande capitale e della potenza capitalistica predominante. Ed è ben difficile che si possano mutare i rapporti di potere esistenti con il "mercato democratico". La stessa socialdemocrazia scandinava, che pure pareva poggiare su basi storiche e culturali solidissime, appena cambiato il vento della storia è stata spazzata via come un castello di carte. Quindi, anche Gheddafi , a cui ovviamente si possono muovere non poche critiche, è logico che si sia dovuto confrontare con tale questione ed abbia cercato di risoverla secondo la tradizione culturale del suo popolo; ma è comunque indubbio che progressi sociali ed economici ci siano stati. Quanto alla accusa di aver finanziato il "terrorismo internazionale" , molto dipende da che cosa si intende per terrorismo, dato che gli angloamericani e gli israeliani, che pure praticano il terrorismo su scala globale, sembrano considerare terroristi tutti coloro che contrastano la loro politica di potenza. Paradossalmente, ma è un paradosso solo in apparenza, l'errore più grave di Gheddafi, come è stato osservato, è stato di aprire, in questi ultimi anni, il Paese all'Occidente, senza avere la capacità politica e militare per difendersi da un attacco degli "occidentali", tanto più previdibile, considerando anche il forte impegno della Libia in Africa, proprio quando il continente africano, anche a causa della presenza cinese, ha acquisito un ruolo geostrategico del tutto nuovo e di estrema inportanza, e quando il Leviatano, proprio perché ferito, è più che mai pericoloso e sembra puntare tutto sulla "geopolitica caos". Al riguardo, Giuseppe Germinaro, collaboratore del blog "Conflitti e strategie" ha scritto: "Resta una grande amarezza, ma la quasi certezza che l'attuale strategia americana sia molto rischiosa; troppi fronti aperti. Dovessero crearsi due/tre intoppi il castello vacillerebbe pericolosamente. Stiamo attenti all'Italia". E' un giudizio che non si può non condividere . E il riferimento al nostro Paese non è affatto retorico o esagerato. Vero che, se il lupo perde il pelo ma non il vizio, allora non può destare meraviglia che i nostri governanti, pur di salvare sé stessi, non abbiano esitato a stracciare il Trattato di Bengasi e a mordere la mano che avevano addirittura baciato. Ma a pagarne le conseguenze sarà il popolo italiano. Anzi, le sta già pagando. E si è solo all'inizio.
In ogni caso, non è possibile non provare nausea per gli articoli di coloro che ficcano le dita nel corpo insanguinato di Gheddafi e nei corpi della centinaia di migliaia di civili massacrati dagli americani e dai loro sicari in questi ultimi 20 anni. Ma sono proprio loro, i gazzettieri occidentali, a essere in una buca. E gli occhi dei bambini iracheni, dei bambini afghani, dei bambini palestinesi , dei bambini libici e di tutte le altre vittime del terrorismo occidentale, di cui sono complici, li guardano e continueranno a guardarli. Questa è la loro condanna. Non quella di Gheddafi, che nel momento più drammatico della storia del suo Paese era tornato ad essere il giovane ufficiale nasseriano che aveva messo fine alla monarchia di re Idris, ovvero ad un protettorato angloamericano, e che aveva saputo dar vita alla Giamahiria. Oggi invece la canaglia al servizio della "North Atalantic Terrorist Organization" festeggia. Tuttavia, il seme, se cade in terra buona, porta frutto e nulla è perduto, finché non tutto è perduto.

Fabio Falchi, http://www.cpeurasia.eu/                                                 







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