Non è certo nelle ambizioni di questo blog fare un’esaustiva analisi storica della questione armena.
Non ho gli strumenti né dello storico, né dell’analista, né dell’esperto geopolitico. Ho peró sufficienti legami con la Turchia e una personale curiosità che mi hanno spinto, negli anni, ad un approfondimento delle vicende storiche di quel paese. Questa che segue quindi è la mia modesta opinione dell’intera vicenda supportata da qualche accenno storico anche se sono consapevole essere del tutto insufficiente e certamente incompleto.
Nel pieno della rivoluzione industriale e memori dell’assedio di Vienna, agli Stati europei doveva essere chiaro che la potenza dell’Impero Ottomano costituiva un ostacolo al proprio sviluppo commerciale e politico. Il balzello pagato ai porti dell’Impero e il fatto che tutti i giacimenti di petrolio allora conosciuti fossero nel territorio Ottomano erano motivo di preoccupazione. Lo sviluppo europeo sarebbe stato proporzionale ai dazi e alle royalty pagate nelle casse del Sultano. Una visione spaventosa. Nel corso degli anni le potenze europee agirono su diverse direttive con l’unico scopo di destabilizzare l’Impero. Da una parte, con la scusa di supportare le riforme in corso, lo pilotarono nella trappola del debito, dall’altra, a piú riprese, istigarono diversi gruppi etnici alla “rivoluzione” nazionalista. Gli inglesi pilotarono le ribellioni delle tribú beduine. Thomas Edward Lawrence detto Lawrence d’Arabia consegnó l’attuale Arabia nelle mani della famiglia Saud, legata alla setta dei wahabiti, dopo aver personalmente guidato le bande beduine in agguati sanguinosi. I greci parteciparono attivamente al sollevamento di Smirne (Izmir) e i russi fomentarono la ribellione delle popolazioni armene. (Kreiser und Neumann: Kleine Geschichte der Türkei. Stuttgart 2003). All’interno dell’apparato militare, con la partecipazione della massoneria, nacquero gruppi clandestini di tendenza nazionalista turca e profondamente avversi al sultanato. Fra tutti il İttihat ve Terakki Cemiyeti (Comitato per l’Unitá e il Progresso), conosciuto anche sotto il nome di Yeni Türk (I nuovi Turchi) organizzato sul modello della carboneria. Di questa organizzazione faceva parte anche Kemal Pascha (Atatürk) con la tessera N° 322. Fu questo gruppo di giovani ufficiali, sotto la diretta responsabilitá del Ministro degli Interni Talat Bey (tessera N° 3) ad eseguire gli ordini del massacro e della deportazione delle popolazioni armene. Alla fine della prima guerra mondiale, sconvolto dagli scandali e da gravi sconfitte militari in Iraq e Siria, il Governo del Comitato per L’unità e il Progresso diede le dimissioni e l’eroe di Gallipoli e della resistenza contro gli alleati europei, Kemal Pascha, arrivó gradualmente al potere. I responsabili dei massacri vennero nascosti o ripararono all’estero. La notte del 2 novembre 1918, i generali Enver, Talat e Cemal, i maggiori responsabili del terrore, lasciarono Istambul a bordo del sottomarino tedesco SM U 17. Talat venne assassinato il 15 marzo 1921 a Berlino davanti alla sua abitazione sulla Kurfürstendamm N° 4 da un sopravissuto all’eccidio, tale Soghomon Tehliria. Cemal morì in un attentato di un gruppo armeno il 22 luglio 1922 a Tiflis. Enver morì in battaglia contro l’armata rossa il 4 agosto 1922, colpito da soldati armeni. Il Governo ribelle di Ankara di Mustafa Kemal Atatürk, il primo novembre 1922 abolí il sultanato. Tre giorni piú tardi il Governo di Istambul fedele al Sultano diede le dimissioni. Cosí, il 4 novembre 1922 finí ufficialmente l’Impero Ottomano.
Quale è ora la posizione di Erdogan e del suo Governo?
Erdogan non è sicuramente un simpatizzante dell’apparato militare turco erede del laicismo di Atatürk e che ben due volte, in collaborazione con l’apparato giuridico e con la malcelata approvazione di Angela Merkel e del marito di Carla Bruni, ha tentato di allontanarlo dal potere. In tutta onestá Erdogan potrebbe dichiarare che la “sua” Turchia non ha nulla a che vedere con le canaglie dell’apparato militare del passato e del presente. Di fatto il suo Governo, per la prima volta nella storia della Turchia, ha aperto una tavola rotonda con le autoritá armene per discutere e risolvere il problema e forse è proprio questo che indispettisce i suoi rivali nazionali e internazionali. Erdogan, l’amico dell’Islam, dopo aver fermato la piaga dell’inflazione galoppante, aver stabilizzato l’economia turca, aver aperto il dialogo con la minoranza curda e con il clero cristiano, sembra deciso a risolvere anche il problema armeno. Tutte cose che lo Stato laico, controllato dai militari e dal potere giudiziario, non è mai riuscito a gestire. La sentenza di una Commissione del Congresso americano (23 voti contro 22 e un astenuto) che definisce “genocidio” il massacro degli armeni avvenuto tra il 1915 e il 1919 è quindi interpretata come un bastone fra le ruote nel processo di avvicinamento fra i due Stati interessati e nella lunga strada in salita del Governo di Erdogan che preferisce invece il confronto diretto e bilaterale con l’Armenia.
C’è da chiedersi, infatti, perché altri Stati sono improvvisamente interessati a dare una definizione storica del problema intervenendo, senza essere stati chiamati, in un dialogo che è giá avviato e che ha giá dato i suoi primi risultati.
Sarebbe come se l’Uganda pretendesse dagli USA di definire genocidio i reiterati massacri di Sioux, Comanche e Apache.
Pubblicato su Il Derviscio, il 06.03.2010, da Stefano
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