IL LIBRO, LA SPADA, IL DESERTO
di Carlo Terracciano
Saggio estratto da: "Eurasia, rivista di studi geopolitici", nr. 1/2005 (gennaio 2004), pp. 165-174
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“Agli inizi della civiltà c’è la foresta, alla fine il
deserto”.
(Châteaubriand)
“Grazie a Maometto, per la prima volta l’Arabia
cominciò a vivere: un povero popolo di pastori
vagava sconosciuto nel deserto fin dalla
creazione del mondo; un eroe-profeta venne a
loro con una parola in cui essi potevano credere:
ed ecco che, in meno di un secolo, l’Arabia si
estende ad occidente fino a Granada, a oriente
fino a Delhi; sfolgorante di valore, di splendore
e della luce del genio, per secoli e secoli
l’Arabia rifulge su gran parte del mondo.”
(Carlyle, Gli eroi e il culto degli eroi)
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È notissima l’affermazione di Renan sul monoteismo quale “religione del deserto”,
rispetto al politeismo “religione della foresta”. È un’idea condivisa anche dal Berthelot e in generale dal
pensiero positivista ottocentesco. In ogni caso, se si considerano l’ambientazione geografica della
Bibbia ebraica (i quarant’anni di peregrinazione sinaitica di Mosè e del popolo ebraico) o la storia
evangelica della vita di Gesù, con il ritiro e le tentazioni demoniache nel deserto, troviamo un
ambiente geografico e mistico che si presta sia a divine rivelazioni che a sataniche tentazioni,
descritte in innumerevoli storie di santi anacoreti cristiani, da sant’Antonio abate in poi. Si arriva
poi alle estremizzazioni dell’Abercromby (Seas and skies in many latitudes), che identifica l’area
espansiva islamica con quella in cui la media di piovosità è inferiore ai 10 pollici! Ovviamente si
tratta di semplificazioni, di un determinismo geopolitico inadatto a spiegare grandi costruzioni
storiche, politiche, militari e religiose ben più complesse e peraltro sviluppatesi in ambienti urbani,
seppur circondati dalle vaste aree desertiche del Vicino Oriente. È ovvio che la relazione tra la
religione monoteistica e il deserto abbia colpito gli scrittori dei vari secoli, in particolare per quanto
riguarda l’Islam e la sua fulminea espansione tra il VII e IX secolo dell’era volgare. Un’espansione
che proprio nelle aree desertiche e nei brulli altipiani ha trovato il suo spazio vitale di conquista.
La ierostoria e la fede stessa di questo monoteismo hanno origine allorché la schiava Agar e il suo
figlioletto Ismaele vengono cacciati da Canaan nel deserto da parte del padre Abramo, istigato dalla
moglie Sara, la quale aveva partorito in tardissima età e vedeva in Ismaele un potenziale rivale del
proprio erede Isacco. Seguono le peripezie della povera donna ripudiata e il provvidenziale
intervento divino che le fa trovare una sorgente d’acqua perché possano dissetarsi entrambi: è la
fonte di Zamzam, attorno a cui si svilupperà La Mecca, punto focale di partenza della predicazione
di Abû’l Qâsim Muhammad ibn ‘Abdallâh, cioè Maometto, inviato da Dio con la rivelazione
coranica, ultimo Profeta e quindi “Sigillo della Profezia”.
“L’Islam è una religione (anche) ascetica ma dura, per uomini abituati al sole” (Braudel).
“L’Islam è le mille conseguenze di questo immenso vuoto umano chiamato deserto che un uomo
toccato dalla Grazia colma col Verbo… È una presenza ossessiva e nostalgica , il deserto, poiché
la Rivelazione nasce proprio fra le dune, ma è la città l’ambiente più consono all’Islam. La vita del
mussulmano, infatti, è assolutamente comunitaria e pretende, pertanto, il senso del gruppo (del
clan), della comunità e ‘una seria organizzazione’“ (Igor Man).
Considerazione, quest’ultima, che si attaglia benissimo a qualsiasi nucleo nomade o seminomade di quei pastori-guerrieri i quali, in epoche successive, hanno corso steppe e deserti, pianure ed altopiani della massa eurasiatica.
Il deserto, in arabo as-sahrâ’, è letteralmente uno spazio vuoto e disabitato: “hic sunt leones”,
come scrive la cartografia antica; è il regno delle belve feroci, del vuoto fisico e metafisico, della
magia e delle visioni, delle folgorazioni (San Paolo nel deserto, sulla via di Damasco), siano esse
colpi di sole, rivelazioni divine oppure opera tentatrice di spiriti e démoni. Molto poeticamente, il
deserto è anche stato definito come “risveglio dell’anima, l’oltre della memoria, la luce per
eccellenza, il luogo privilegiato dell’impersonalità. Non l’io vi governa, ma l’EGLI. È un taglio,
una separazione che risponde molto bene alle esigenze del corpo e dello spirito. È la metafora del
vuoto, la metafora della parola che permea la parola: è la parola asciutta che bagna la parola reale;
è il LIBRO” (da: Convegno Internazionale ‘Gli alfabeti del Mediterraneo’ - Il deserto nella
letteratura, dicembre 1999). In un ambito geografico quasi privo di punti fissi di riferimento, il
rotolo, il papiro, il libro facilmente trasportabile e consultabile ovunque viene a rappresentare il
punto fisso interiore di riferimento, la roccia salda su cui riposare e meditare, mentre tutt’intorno
scorre apparentemente immobile il grande oceano di sabbia, sempre uguale e sempre mutevole
come i destini degli uomini e del mondo.
È in questo contesto geografico che avviene la rivelazione e si dipana la predicazione di
Muhammad (s.a.s.). La Mecca è il nodo, il punto di riferimento dei commerci e della fede, a partire da quel
vero e proprio ombelico del mondo islamico rappresentato dalla Ka‘bah, la cui edificazione viene
fatta risalire allo stesso Abramo e a suo figlio Ismaele, capostipite degli Arabi. Ad un angolo del
parallelepipedo è incastonata la famosa Pietra Nera, un monolite tenuto in gran pregio dalle
popolazioni dell’Arabia preislamica. Al 610 d. C. vengono fatte risalire le prime rivelazioni divine
che Muhammad (s.a.s.) avrebbe ricevute dall’Arcangelo Gabriele e che causarono la sua caduta in
disgrazia presso i maggiorenti della Mecca, poiché costoro avevano tutto l’interesse a restare i
custodi della Ka‘bah, diventata un tempio politeista e il principale punto di riferimento economico
della penisola arabica. La Mecca del resto si trova in un’arida vallata tra due file di ripide colline sul
bordo occidentale della penisola arabica, non molto lontano dal Mar Rosso (con l’attuale porto di
Gedda). A 200 miglia a nord, sullo stesso asse, sorgeva Yathrib, dove il Profeta (s.a.s.) si trasferì con i suoi
seguaci nel giugno del 622 d.C. Da questa migrazione, nota come hijrah, ha inizio la datazione
islamica; la città prenderà il nome di Medina (Madînat an-Nabî, “Città del Profeta”) e ospiterà la
sua tomba al momento della sua morte, l’8 giugno del 632 (nato nel 570, aveva quindi 62 anni).
Ci troviamo in una zona compresa all’incirca tra il 20° e il 25° parallelo; giusto in mezzo corre il
Tropico del Cancro. Ad ovest si estende l’immenso deserto sabbioso, il Rub‘ al-Khali o “Quarto
Vuoto”, il più vasto continuo sabbioso del pianeta. In pratica è quindi sull’asse occidentale della
grande penisola che si concentra, fin quasi alla nostra epoca, la popolazione di quel grande
rettangolo che è l’attuale Arabia Saudita, contornata da Yemen, Oman, Emirati Arabi, Qatar,
Bahrain, Kuwait.
Ma l’importanza della Mecca, già in epoca preislamica, è data soprattutto dal fatto che essa è il
nodo mediano del traffico fra lo Yemen a sud (a quei tempi più esteso verso nord dell’attuale
repubblica yemenita) e la costa del Mediterraneo a nord, la quale si dirama poi da un lato verso
l’Egitto, il delta nilotico e quindi il Sahara, mentre dall’altro prende la direzione Palestina-Siria,
Tigri-Eufrate.
Lo stesso Muhammad (s.a.s.) aveva percorso quella via come mercante, venendo quindi a contatto con
culture diverse e fedi religiose monoteiste, giudaismo e cristianesimo. È su questa via carovaniera di
primaria importanza, su questo asse geografico economicamente strategico, che nasce uno dei
fenomeni storici e religiosi più importanti e duraturi della storia dell’Eurasia e del mondo intero.
Alla morte del Profeta (s.a.s.) già buona parte dell’Arabia è unificata. Lo sarà definitivamente due anni
dopo.
I successori di Muhammad (s.a.s), i califfi (“successori”), riunirono nella stessa persona sia l’autorità
spirituale sia il potere politico. Ad attuare il fulmineo successo dell’Islam furono soprattutto i primi
quattro califfi, detti rashîdûn (“rettamente Guidati”): Abû Bakr (632-634) , suocero di Muhammad (s.a.s.),
appartenente al clan dei Qurayshiti, ‘Omar bin al-Khattâb (dal 634 al 644, anno in cui morì per
mano di uno schiavo persiano), ‘Othmân bin ‘Affân (644-656, della famiglia degli Omayyadi) e
quindi ‘Alî bin ‘Abî Tâlib (656-661, cugino del Profeta e suo genero, avendone sposato la figlia
Fâtimah); ‘Alî era stato uno dei primissimi seguaci di Muhammad, il quale lo designò a succedergli,
dopo la propria morte, alla guida della comunità (ummah) dei Fedeli. L’accesso di ‘Alî al Califfato
portò allo scontro tra i Qurayshiti, la tribù alla quale egli apparteneva, e gli Omayyadi ai quali
apparteneva il suo predecessore. Dopo che ‘Alî fu assassinato a sua volta nel 661 a Kûfa da un
fanatico kharigita (“uscito”) per aver cercato un accordo con la parte rivale, gli Omayyadi (661-
750) ebbero partita vinta e fecero accedere al Califfato Mu’âwiya I.
Costui trasferì la capitale del nascente impero a Damasco. Lo spostamento del centro geopolitico
dell’Islam in piena espansione era dettato non soltanto da considerazioni politiche contingenti,
come quella di sottrarsi all’influenza meccana, ma anche dalla necessità di collocare il cuore
politico del nascente stato islamico in una posizione più centrale rispetto alle conquiste fino ad
allora effettuate ed a quelle a venire. Già ‘Alî, il quarto dei “rettamente guidati”, aveva fatto di Kûfa
il centro del suo potere, dopo la lotta con ‘A’ishah, la vedova di Muhammad, e la vittoria nella
“battaglia del cammello” presso Bassora nel 656.
Le conquiste dei primi quattro califfi furono sorprendenti e vennero certamente favorite dalla
lunga guerra che tra il 602 e il 628 contrappose i due imperi confinanti, quello bizantino e quello
persiano; lo scontro fra i due imperi aveva esaurito le risorse difensive e immiserito le popolazioni,
le quali perciò accolsero come liberatori i nuovi venuti. A favorire l’avanzata dell’Islam furono in
particolare i nestoriani e i cristiani dissidenti, perseguitati dall’ortodossia cristiana dominante a
Bisanzio.
Abû Bakr aveva completato rapidamente la conquista della penisola arabica e si era spinto a nord
verso i territori confinanti. ‘Omar, il “Comandante dei Credenti”, trasformò la prima ondata araba in
uno stato teocratico, lanciando l’Islam in una cavalcata vittoriosa nei deserti che ha pochi paragoni
storici (da Alessandro a Tamerlano a Gengis Khan).
Damasco è presa con tutta la Siria nel 635; nel 638 cadrà Gerusalemme, dopo Mecca e Medina
terza città santa dell’Islam (l’Ascensione di Muhammad al cielo ebbe inizio dalla Moschea della
Roccia).
La battaglia di Qâdisiyya del 637 apre le porte all’invasione araba della Persia, la cui conquista
definitiva viene assicurata con la battaglia decisiva di Nihâwand (642), mentre la capitale Ctesifonte
ha capitolato già cinque anni prima. Nel 651 gli Arabi erano già a Merv nel cuore dell’Asia centrale
e l’Impero sassanide scompariva per sempre. Due anni dopo si arrendevano Armeni e Georgiani.
Nello stesso anno 642 della battaglia di Nihâwand, a ovest è l’Egitto a capitolare, mentre i Bizantini
si ritirano dall’ultimo avamposto, Alessandria. Tra il 668 e il 669 si tentò persino di prendere
Bisanzio, ma l’impresa fallì, come falliranno l’assedio del 715-718 e il terzo tentativo, quello del
781. Dovranno passare altri 700 anni circa perché l’impresa sia completatata; ma non saranno più
gli Arabi a guidarla, bensì i Turchi.
Probabile Spada del Profeta (s.a.s.) in Topkapi
Per il momento, dinanzi ai nuovi conquistatori dell’Arabia, del deserto siriano, dell’altopiano
iranico, si apre un altro grande deserto: il Sahara. 8 milioni di kmq, il più vasto del mondo,
dall’Atlantico al Mar Rosso, reale confine geopolitico fra le coste mediterranee (il Mediterraneo,
come dice lo stesso nome, ha sempre rappresentato un’unità geopolitica con baricentro la Sicilia) e
l’Africa “nera” propriamente detta.
Con il califfo ‘Othmân le truppe arabe, rafforzate da contingenti dei popoli appena sottomessi, si
lanciano alla conquista della costa libica, della Cirenaica (642-645). Vengono gettate anche le basi
per la costruzione di una flotta che vada alla conquista di Bisanzio e dell’intero Mediterraneo.
Tra il 680 e la fine del secolo il potere califfale si rafforza anche con una serie di scontri interni. È
una guerra civile, che decide le sorti dell’Islam e le sue divisioni interne fino ai giorni nostri.
Particolarmente significativo è lo scontro che nella famosa battaglia di Karbalâ’ contrappone alle
truppe di Yazîd I il figlio di ‘Alî, Husayn, nipote e biscugino di Muhammad (s.a.s). Di qui nasce la frattura
tra la fazione (shî’ah) di ‘Alî e dei suoi successori (gli Alidi) e l’Islam “sunnita”.
Questo evento traumatico rappresenta un punto cruciale e simbolico non solo dal punto di vista
storico e dottrinario, ma anche sotto il profilo geografico e geopolitico. È lo scontro fra l’idealizzato
Islam meccano e medinese delle origini e quello oramai vittorioso e insediato nelle grandi capitali
del Vicino Oriente: Gerusalemme e Damasco, alle quali seguirà Baghdâd. È lo scontro fra l’Islam
dei beduini nomadi e quello degli Arabi acculturati e stanziali. Ancora: è lo scontro fra il deserto e
la terra fertile dei sistemi potamici irrigui, attorno ai quali si formarono le grandi civiltà del passato
all’incrocio delle masse continentali eurasiatica e africana: Delta nilotico, fiume Giordano, Tigri-
Eufrate.
Partito da Medina, Husayn aveva attraversato tutto il deserto a nord del Nafud arabo per
approdare a Karbalâ’, sperando in un’insurrezione della popolazione oppressa, che però non ci fu.
Al contrario, Karbalâ’ rappresentò il luogo del suo martirio e di quello dei suoi 72 compagni d’armi,
nel giorno di ‘Âshûrâ’ (10 ottobre 680) che fu poi sacro agli sciiti. La sua testa mozzata e infilata su
una picca segna, in una geografia sacra, il confine fra due modi di concepire l’Islam; ma segna
anche il confine tra due contesti geografici ed etnici interni alla stessa Umma islamica.
Najaf e Karbalâ’, le due città sante dell’Islam sciita, nelle quali sono sepolti rispettivamente Alì e
Husayn (e recentemente tornate agli “onori della cronaca” per la resistenza contro le truppe
americane d’occupazione), rappresentano anche l’estremo confine tra il deserto e la “Mezzaluna
Fertile”, cioè quella striscia di terra coltivabile che va dallo Shatt el-Arab fino al Nilo. Oltre il Tigri-
Eufrate inizia l’altopiano iranico.
E proprio l’Iran, la Persia, la terra indoeuropea dello zoroastrismo conquistata dagli Arabi,
rappresenterà, ironia del destino e della storia, il cuore dell’Islam sciita, che, rivendicando la linea
diretta con il Profeta, mutua dalla precedente tradizione non pochi aspetti e simboli. Siamo più o
meno sulla linea di demarcazione tra Islam arabo, iranico e turco, in corrispondenza del centro
geopolitico tra le due ali dell’espansione islamica dei primi secoli.
Una successiva rivolta nel cuore originario dell’Islam fu domata da al-Haggiag, condottiero del
califfo ‘Abd al-Malik, tra il 680 e il 692, anno dell’assedio e della conquista della Mecca. A questa
seguì, alla fine del secolo, la repressione della rivolta kharigita dell’Iraq, affogata in un bagno di
sangue.
Nonostante le guerre civili interne, l’espansione islamica non conosce soste. In Africa, Cartagine
è presa nel 698. Sotto la guida dell’omayyade al-Walîd I viene completata la conquista dell’Africa
del nord; il generale Târiq passa lo stretto che prenderà il suo nome (Gebel Târiq = Gibilterra) e nel
711 sbaraglia l’esercito di Roderico, ponendo termine al regno visigoto di Spagna. La penisola
iberica è però l’estremo avamposto della penetrazione araba in Europa. Poitiers, nel 732, fu poco
più che una scorreria, ma ha rappresentato nell’immaginario della cristianità occidentale il punto di
arresto della marea arabo-islamica e l’inizio della sua regressione. Dalla parte opposta, nel 740 ha
luogo la vittoria di Costantino V Isaurico presso Akroinos.
Notiamo di passaggio come dal punto di vista geografico la penisola iberica sia in Europa il
territorio più simile a quello semidesertico del Nordafrica, tanto da rappresentarne, almeno sotto
questo aspetto, la naturale prosecuzione sul continente europeo. La conquista araba resterà dunque
per secoli, fino alla Reconquista cattolica castigliano-aragonese del XV secolo, ben a sud della linea
dei Pirenei e della Galizia, dove Santiago di Compostela, meta dei pellegrinaggi medievali, si erge a
simbolo ed avamposto spirituale cristiano.
Ad oriente, tra il 661 e il 671, le armate “verdi” erano intanto penetrate in un’altra zona desertica,
quella dell’Asia centrale: la conquista del Tokharistan (attuale Uzbekistan afgano) rappresentò il
primo passo sulla via delle Indie, raggiunte nel 711 a Multan sull’Indo.
La Transoxiana, Bukhara e Samarcanda furono tra le ultime conquiste di questa fase
espansionistica, fino alla battaglia di Talas (751), punta estrema dell’avanzata partita da un remoto
centro carovaniero dell’Arabia un secolo prima.
Anche la dinastia omayyade è alla fine. Nel 750 la rivolta è guidata da Abu’l-‘Abbâs, “il
macellaio”(!), discendente di ‘Abbâs zio di ‘Alî. Nominato califfo a Kûfa nel 749, egli travolge
l’ultimo omayyade di Siria Marwân II nella decisiva battaglia del Grande Zab (affluente del Tigri).
Il controllo delle vie d’acqua resta sempre un fattore decisivo nell’ambiente desertico.
Gli Abbassidi (750-1258) spostano il centro politico ancora più ad oriente, fondando nel 762 la
nuova capitale, Baghdâd, non lontano dalla mitica Babilonia. La nuova collocazione geografica del
centro dell’impero, sempre più lontana dal deserto originario e dal Mediterraneo, è oramai nelle
terre fertili “meso-potamiche”. Anche il carattere originario dell’Islam arabico muta, finché sorge
una monarchia soprannazionale cui si affiancano prima i popoli iranici e poi quelli turchi. Si pensi
solo che il famoso riconquistatore di Gerusalemme, colui che la tolse ai crociati cristiani, Salâh ad-
Dîn (il nostro “Saladino”), era curdo di origine. Hârûn ar-Rashîd (786-809) costituì certamente
l’esempio più fulgido della dinastia abbasside.
Un sopravvissuto della battaglia dello Zab, ‘Abd ar-Rahmân fonda in Spagna l’Emirato degli
Omayyadi di Cordoba. Una civiltà, quella moresca di Spagna, che avrebbe fatto scrivere a
Nietzsche parole struggenti per il suo declino, avvenuto sette secoli dopo: “Il meraviglioso mondo
della civiltà moresca di Spagna, a noi in fondo più affine, più eloquente al senso e al gusto che
Roma e la Grecia, venne calpestato. Perché ? Perché era debitore dalla sua nascita ad istinti nobili,
virili, perché diceva sì alla vita, anche con le rare e raffinate delizie della vita moresca… Più tardi, i
cavalieri crociati combatteranno qualcosa davanti a cui meglio sarebbe convenuto loro prostrarsi
nella polvere – una civiltà al cospetto della quale persino il nostro secolo diciannovesimo dovrebbe
apparirci molto povero, molto tardo”. (Nietzsche, Anticristo). E chi ha visitato quel che resta
dell’Alhambra di Granada può ben comprendere il più profondo significato di queste parole.
Ma anche l’unità politica dell’Islam è ormai finita: un ricordo del passato e un ideale vagheggiato
nei secoli a venire, fino ai nostri giorni.
*********
Altre conquiste seguirono; come quella della Sicilia nel IX secolo. In altri casi, e molto dopo,
l’espansione dell’Islam non fu armata, bensì pacifica: è il caso dell’Asia sud-orientale. Malesia e
soprattutto Indonesia furono islamizzate tra il XVI e XVIII secolo, da mercanti, santi e sufi
predicatori, sicché oggi l’arcipelago indonesiano è il paese islamico più popoloso del mondo. E
certamente è quanto di più lontano possa esservi, anche geograficamente, dal deserto originario. Per
non parlare ovviamente dell’impero ottomano. Temi che però esulano dai limiti temporali della
presente trattazione.
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Una cosa è certa: la nascita, l’espansione, il successo duraturo dell’Islam nei secoli hanno avuto la
loro realizzazione storica nei grandi deserti dell’Asia centrale e dell’Africa del nord, in una
continuità e contiguità territoriale che, partendo dal Maghreb marocchino, arriva al Mashreq nel
Vicino Oriente, e dagli altopiani turco-iranici fino al cuore della steppa eurasiatica. Terre aspre e
quasi prive d’acqua, nelle quali pochi fiumi importanti o fonti isolate hanno permesso
l’insediamento urbano, in città dalla fiorente economia, dal ricco commercio, dalla raffinata civiltà.
Una civiltà che ha trovato una lingua ed una scrittura comuni e soprattutto una fede unitaria in un
Libro che è divenuto “il Libro” per antonomasia di tutti quei popoli.
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L’ideale unità del mondo islamico, che ha occupato quasi per intero le zone desertiche del mondo
antico, rappresenta una cerniera, un collegamento ideale, una saldatura tra l’Eurasia a nord, cioè
l’Europa con la Russia siberiana fino a Vladivostok, e le altre parti della massa eurasiatico-africana:
l’Africa nera appunto, il subcontinente indiano, la stessa Cina, l’Indocina e Indonesia. Ovunque
infatti, anche in questi territori più o meno estranei al fenomeno dell’esplosione islamica dei due
secoli dopo Muhammad, sono presenti forti minoranze mussulmane. Un patrimonio per l’Eurasia e
non certo un pericolo, come vorrebbe oggi la propaganda terroristica occidentalista, sullo stile dello
“scontro di civiltà” alla Huntington.
E non è forse un caso che l’imperialismo americano-sionista abbia utilizzato ed utilizzi come
spauracchio la cosiddetta “minaccia islamica” per penetrare sempre più a fondo nel cuore stesso
dell’Eurasia (Afghanistan, Iraq, forse domani Iran e Siria, tutti paesi islamici), mirando invece
all’accerchiamento e al soffocamento delle due ultime grandi potenze ancora non completamente
assoggettate al predominio USA sul pianeta: Russia e Cina. Anzi, Washington cerca di coinvolgere
i governi stessi di Mosca e Pechino nella pretesa “lotta al terrorismo islamico”, alimentando le
isterie nazionaliste contro le minoranze musulmane nei loro confini: gli Uiguri in Cina, i Ceceni in
Russia.
Forse in un prossimo futuro (che è già presente) la geopolitica delle religioni avrà più peso e più
importanza, per i destini del mondo, delle attuali geoeconomia e geostrategia. Le elezioni USA del
novembre 2004 dovrebbero aver rappresentato un campanello d’allarme in tal senso anche per noi
Europei.
E pensare che tutto è nato quattordici secoli or sono in una sperduta cittadina carovaniera, alla
periferia semisconosciuta dei grandi imperi di quel tempo; un’oasi attorno a un pozzo, una casa
cubica di semplici mattoni al centro di un agglomerato urbano circondato da aride colline e da un
deserto vasto come il mare: un mare di sabbia per marinai di terra.
Il Deserto del Sahara
EURASIA, RIVISTA DI STUDI GEOPOLITICI
Numero 1/2005 (gennaio 2005), pp. 240, euro 18
SOMMARIO:
Eurasiatismo
Pag.5: Tiberio Graziani, Editoriale
Pag.7: Aleksandr Dugin, La visione eurasiatista
Pag.25: Henry de Grossouvre, Parigi, Berlino, Mosca: prospettive della cooperazione eurasiatica
Pag.35: ‘Abd al-Rahmân ibn Khaldûn, Il deserto e la città
Dossario: mondo islamico
Pag.47: Alessandra Colla, L’Islam nel Medio Evo europeo
Pag.59: Stefano Fabei, Abû Ammâr Yâsir ‘Arafât
Pag.73: Claudio Mutti, L’Europa musulmana
Pag.87: Filippo Pederzini, Libano oggi. E domani?
Pag.109: Costanzo Preve, Il significato della resistenza irachena
Pag.117: Marco Ranuzzi de’ Bianchi, Iran: lo stato canaglia e il grande satana
Pag.127: Susanne Scheidt, Quali confini per la Palestina?
Pag.149: Israel Shamir, Il fiore e la croce
Pag.159: Ernest Sultanov, Un mercato musulmano comune?
Pag.165: Carlo Terracciano, Il libro, la spada, il deserto
Pag.175: Anna Maria Turi, Prove di pace in Somalia
Pag.179: Stefano Vernole, Palestina: una diplomazia tra speranze e illusioni
Interviste
Pag.201: Mohammad Nour Dachan (presidente dell’UCOII)
Pag.205: Hamza Roberto Piccardo (segretario dell’UCOII)
Pag.209: Shamil Sultanov (presidente del gruppo parlamentare della Duma per il dialogo con l’Islam)
Recensioni e postille
Pag.215: “2023”: una rivista turca di geopolitica (A.Braccio)
Pag.217: Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla verità (A.Braccio)
Pag.219: Serge Thion (a cura di), Sul terrorismo israeliano (E.Galoppini)
Pag.229: Franco Cardini, Noi e l’Islam e L’invenzione dell’Occidente (C.Mutti)
Pag.233: Karl Haushofer, Italia, Germania e Giappone (D.Scalea)
Pag.237: Claire Hoy, Victor Ostrovskij, Attraverso l’inganno (S.Thion)