martedì 17 novembre 2009

BANCHE E DEMOCRAZIA



Caro Derviscio, scrivo a te perché non so a chi rivolgermi.

Ho 85 anni e, per motivi famigliari, mi sono trasferito da quasi un anno all’estero.
In realtá tutto è andato bene: nel giro di due ore mio figlio con la mia carta di identitá ha ottenuto il documento di residenza del comune. Pensa, io non ho dovuto nemmeno presentarmi personalmente! In pochi minuti ho aperto un conto corrente senza dover depositare un solo centesimo. Nel giro di pochi giorni la mia mutua italiana è stata assorbita da una delle (circa) 150 mutue tedesche. Ho trovato un medico che parla italiano e tutte le (numerose) analisi alle quali mi devo sottoporre regolarmente vengono effettuate nell’ambulatorio medico senza appuntamento.
Qualche giorno fa ho festeggiato con i miei (nuovi) amici il mio ottantacinquesimo compleanno. Il parroco della chiesa cattolica del quartiere (che non conosco e che non ho mai incontrato) mi ha mandato una lettera di auguri. Alla porta ha suonato un’impiegata del comune che mi ha portato un mazzo di rose e gli auguri del sindaco con l’invito per un pomeriggio in comune dedicato ai pensionati con una tazza di caffè e una fetta di torta.
Sembra il paradiso.
Purtroppo a turbare questo idillio c’è un piccolo neo.
Continuo ad avere un conto corrente in Italia presso una banca della quale sono cliente e socio della prima ora, una banca “di responsabilità sociale, (…) e, soprattutto, nel concetto di banca fatta di persone, per le persone”. (Dal sito della banca in questione)
Ebbene, dopo aver fatto tre prelievi regolari col mio bancomat, questo mi è stato bloccato senza preavviso. Ho telefonato in banca dove sono cascati dalle nuvole. Dopo avermi passato tre diversi “responsabili”, il quarto mi ha suggerito di passare alla filiale per mettere le cose a posto. Gli ho fatto presente che dalla filiale mi separano circa millecento chilometri e che il motivo della mia telefonata era in realtá quello di continuare a poter prelevare il mio denaro all’estero. Dopo qualche tentennamento mi è stato suggerito di mandare un fax, cosa che ho fatto immediatamente, e la cosa si sarebbe risolta in pochi giorni.
Passate sei settimane senza nessun risultato ho ritelefonato. Mi hanno passato il vice direttore che mi ha suggerito di mandare in banca una persona con una delega, cosa alla quale ho provveduto immediatamente.
La persona da me incaricata ha chiesto un giorno di permesso al lavoro, si è recata alla banca con la delega per sentirsi dire che questa non è valida per la richiesta di un nuovo bancomat! La soluzione proposta allo sportello è stata quella di scrivere una lettera con la richiesta dell’invio mezzo posta di un nuovo bancomat a rischio mio. Ho scritto la lettera e dopo nemmeno sei settimane mi è arrivato il bancomat … all’indirizzo sbagliato.
Fortunatamente le poste tedesche hanno ricercato sui loro computer fra i nominativi comunali e il tutto mi è stato recapitato con la preghiera di comunicare il mio indirizzo esatto al mittente per facilitare il recapito di missive future.
Cosa che ho fatto, fino ad oggi, sei volte.
È come lanciare una bottiglia col messaggio nel mare!
Regolarmente la posta della “mia” banca mi arriva all’indirizzo sbagliato, senza C.A.P. e indirizzata nella “Repubblica Federale Tedesca”.
Non mi serve farlo presente a te che hai scritto qui un articolo sul muro di Berlino, ma la Repubblica Federale Tedesca non esiste piú da quando, in mondovisione, il tre ottobre 1990 a Berlino si è celebrata la riunione delle due Germanie che ora si chiamano semplicemente “Germania” (Deutschland).
Ho scritto anche direttamente al direttore della banca ma niente, persistono imperterriti con una pervicacia che ormai ha i contorni dell’incubo.
Cosa devo pensare degli impiegati e del direttore della mia “banca”, la banca tradizionale degli abitanti autoctoni di un opulento paese della zona est di Milano?
Che siano analfabeti? Non credo.
Ignoranti? Possibile.
Arroganti? Probabile.
Facce di palta? Ecco, non volevo scadere nella volgarità ma, onestamente, credo che ignoranti, arroganti, facce di palta sia alla fine diventato la normalitá in un paese dove la dignitá dell’uomo ha come riferimenti le bolge televisive delle urla e degli insulti impuniti di chi riveste un qualche ruolo pubblico appena al di sopra di quello dello stradino comunale.
Caro Derviscio, sono uno di quelli che la resistenza l’hanno fatta prima del venticinque aprile e che sono convinti che la democrazia non si esaurisca la sera delle elezioni, quando vengono chiusi i seggi.
La democrazia significa, in prima linea, rispetto della dignitá umana. Ti pare che impiegati, vice direttore e direttore di questa banca assolvano questo principio elementare e fondamentale della convivenza fra gli uomini?
Caro Derviscio, non scrivo il nome della banca di questo bel paese che si affaccia sulle sponde del Naviglio della Martesana, ma spero che qualcuno, leggendo questo mio sfogo, sia in grado di riconoscerla e che in qualche modo faccia arrivare questo messaggio alle persone coinvolte perché si vergognino almeno un po’ quando, alle ricorrenze paesane e alle riunioni con giacca e cravatta, qualcuno chiederá loro conto di quello che ho scritto qui.
Ti mando tutta la documentazione di quanto ho scritto perché ne faccia buon uso e a testimonianza della mia buona fede.

Grazie dello spazio
G.C.
(Nominativo noto alla Redazione

Pubblicato su "Il Derviscio" il 16 Novembre 2009 da Stefano



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