domenica 12 settembre 2010

LE ORIGINI SUFICHE DEL GRAAL



Farid alDìn Attar, è uno dei più grandi maestri
del sufismo che visse nel
Khorasàn tra il XII e il XIII secolo.
A lui si deve il libro “ Il detto degli uccelli “. Si                         
tratta di un libro di iniziazione sufi,
che trae ispirazione direttamente dal Santo
Corano ( An-Naml : 22,25 ).

Quando un sufi dice di parlare il linguaggio degli
uccelli, si tratta dei concetti di
quella cerchia di sufi emblematizzati da trenta
uccelli (si morg) che vanno
alla ricerca del mitico Simorg o Simurgh (araba
fenice, o santo Graal).
Ma torniamo all’opera di Attar
Il motivo di tanto interesse poetico nel viaggio
degli uccelli è che tali animali rappresentano il
simbolo dell'anima che, impigliata nei legacci del
corpo, anela il ritorno all'Unità originale. E il
linguaggio degli uccelli è la lingua esoterica per
eccellenza, alla quale lo stesso Corano,come
dicevo, dedica una citazione mettendola sulla
bocca di Salomone (sura XXVII).
Nel Poema di Attar, si narra di un folto gruppo
di uccelli ai quali l'upupa, che per la sua cresta                                     
sembra cinta di corona nobile, si rivolge
esortandoli a raggiungere Simurgh, il loro mitico
re, che dimora in terre lontane e sconosciute.
Nel Corano, ancora, l'upupa è messaggera di
Salomone presso la regina di Saba e non può
sfuggire l'analogia con la guida di Dante,
Virgilio, nel suo viaggio ultraterreno. Trattandosi
di un viaggio sconosciuto e misterioso non può
essere compiuto senza qualcuno che conosca la
strada. Gli uccelli incarnano gli attributi della
personalità umana e ciascuno di loro, infatti,
muove obiezioni all'invito dell'upupa, trova
scuse e pretesti per mostrarsi esitante.
L'upupa risponde con pazienza alle loro spesso
ipocrite argomentazioni. Alla fine lo stormo
partirà ma, altro simbolismo, solo trenta uccelli
su centomila arriveranno alla meta. Simurgh
significa 'trenta uccell' e raggiungere Simurgh si
configura, quindi, come l'approdo allo specchio
della verità essenziale dei trenta superstiti.
Il viaggio si conclude con la scoperta della
identità e unità dell'anima con il Principio
Universale
Il ritorno all'origine comporta quindi una strage
di egoismi e falsi attributi umani. Il viaggio si
realizza, come l'upupa aveva annunciato e
descritto, attraversando sette ardue valli, e ciò
che sopravvive deve annichilirsi per poter
rinascere ad una vera Coscienza. Le valli,
simbolo delle tappe dell'evoluzione interiore,
sono quelle della Ricerca, dell'Amore, della
Conoscenza, del Distacco, dell'Unificazione,
dello Stupore, della Povertà. I dialoghi sono
inframmezzati da racconti aneddotici che
rinforzano il carattere didascalico e sapienziale
del poema.
Riporto brevemente qualche passo solo per dare
una idea del suo tenore.
Parla l'upupa:                                                                                      
"Amici uccelli, in verità io sono il messaggero
del divino, l'inviato dell'invisibile…io ebbi
udienza un giorno da Salomone e per questo
divenni eminente tra i suoi sudditi…noi abbiamo
un re senza rivali che vive oltre la montagna di
Qaf. Il suo nome è Simurgh ed è il sovrano di
tutti gli uccelli. Egli ci è vicino ma noi siamo ad
una distanza infinita da lui… La sua dimora è
protetta da gloria inviolata. Il suo nome non è
accessibile a ogni lingua… Se vi avrò come
compagni sarete a corte i più intimi confidenti
del re. Liberatevi dalla vostra miope
presunzione! Chi mette in gioco la vita per lui si
libera da se stesso, sulla via dell'amato egli va al
di là del bene e del male. Abbandonate la vostra
vita e iniziate il cammino, avvicinatevi a quella
corte a passo di danza!
I pretesti di tutti gli uccelli:
Noi che siamo una turba di deboli e inetti, privi
di penne e di ali e di corpo e di spirito, come
potremo giungere sino al nobile Simurgh se non
in virtù di un miracolo? Quale relazione può
esistere tra noi e lui? Se davvero esistesse un
rapporto tra noi, non dovremmo forse desiderare
di cercarlo? Egli è come Salomone, noi siamo
miserabili formiche: considera attentamente il
suo rango e commisuralo al nostro. Una formica
precipitata nel fondo di un pozzo può forse
giungere a Simurgh contando sulle sue forze? E
perché mai un principe dovrebbe divenire amico
di un miserabile?
L'upupa così rispose.
O inconcludenti! Da cuori a tal punto inariditi
come potrà stillare autentico amore? Miserabili
creature, fino a quando durerà la vostra ignavia?
Passione e aridità non possono coesistere e
chiunque aprì gli occhi all'amore andò a giocarsi
la vita a passo di danza.
Ecco, le immagini del Popolo Migratore,
mostrano che questi antichi poeti, sapevano
osservare la Natura molto bene, al punto da
trarne simbologie universali. Sapevano molto
bene che il cuore umano, in quanto contenente
un atomo di assoluto, va osservato come
fenomeno naturale.
Il viaggio è una prova davvero dura", dice la
voce narrante mentre le immagini mostrano
scene di abbattimenti da cacciatori e carcasse
scheletrite nel deserto. Le danze rituali delle gru
e degli altri uccelli riempiono i luoghi delle loro
soste, lungo le rotte del viaggio, come chi si sia
affidato alla forza naturale dell'amore. La
classica formazione di volo a cuspide delle oche,
che l'operatore riesce a farci seguire come se
fossimo uno di loro, toglie ben poco alla fatica
meccanica del viaggio ma dona tutto dal lato
essenziale dell'energia solidale del gruppo che
avanza verso una meta di un altro continente.
Quando al fine le oche ritornano al luogo da
dove sono partite la voce narrante dichiara: "La
promessa del ritorno è stata mantenuta". Non
tutte sono tornate. Forse sono più di trenta su
centomila e viene spontaneo chiedersi se noi,
esseri evoluti, siamo in grado di riconoscere e
mantenere le promesse verso il nostro destino,
affrontando decimazione e morte simbolica.
Attar vuole ricordare a tutte le genti delle epoche
susseguenti che l'uomo ha un destino naturale
più arduo, percepibile solo con il cuore, che non
può non affrontare.
Le sue promesse sono state pronunciate in altri
luoghi.
Il popolo dell'uomo ha itinerari lungo altri
mondi.
Il popolo dell'uomo vola con le ali del cuore.
La meta del suo ritorno è tra le stelle.
Chi ha avuto la fortuna di leggere il capolavoro
di Wofram von Eschenbach, non può fare a
meno di
non collegare Simurgh con Anfortas : anche se in
maniera non del tutto identica, la matrice è più
che
evidente, oltre che all’esoterista, anche ad un
attento osservatore.
Ma permettetemi di parlare ancora del poema di
Attar, pieno di immagini su fiche che riempiono
le sue pagine con aneddoti di antichi saggi,
includendo altresì il famoso Khidr, la guida
nascosta dei sufi.
Gli uccelli, che rappresentano l’umanità,
vengono raggruppati da un’upupa, il sufi, che
propone loro di partire alla ricerca del loro
misterioso re. Questi, come abbiamo detto si
chiama Simurgh e vive sulla montagna di Qaf ( e
qui possiamo fare riferimento a Montsalvage di
Wolfram V.E. nel Parzival ).
Ogni uccello, dopo l’iniziale accettazione del
sapere dell’esistenza del re, inizia ad avanzare le
proprie scuse perché lo esonerino dal prendere
parte al viaggio per cercare il re nascosto.
L’upupa, dopo aver ascoltato le lamentele di
tutti, replica con una favola che illustra come sia
inutile preferire quello che si ha o si può avere a
quello che si dovrebbe avere.
Tornando quindi alle radici del Graal, oltre a
quanto abbiamo detto finora, non va dimenticato
il fratello di Parzival, che suo padre ebbe in
Oriente…né va dimenticato altresì che nell’opera
di Wolfram, il Graal è una pietra, che le frequenti
traduzioni chiamano ( in modo storpiato ) “ lapsit
exillis “. E’ in virtù di questa pietra che la fenice
si riduce in cenere, ma dalla cenere rinasce alla
vita; è grazie a questa pietra che la fenice si
trasforma per riapparire in tutto il suo splendore,
più bella che mai….”Questa pietra ( dice
Wolfram ) dà all’uomo una tale forza che le sue
ossa e la sua carne ritrovano subito la loro
giovinezza : Viene anche chiamata Graal “ .
Non posso fare a meno perciò, di proporvi questi
passi così attinenti a quanto abbiamo detto, tratti
appunto dal Parzival di 
Wolfram Von Eschenbach :

“ Vive là una schiera armata,
vi dirò del loro cibo.
E' una pietra che li nutre,
di una specie molto pura.
Se voi nulla ne sapete                                                   
vi dirò come si chiama:
è il suo nome lapsit exillis.
Per virtù di quella pietra
la fenice si distrugge
e rinasce dalle ceneri.
Così muta la fenice
e risplende molto chiara
ed è più bella di prima.
Non c'è un uomo sì malato
che un dì guardi quella pietra
e che muoia in sette giorni.
Per lui resta fermo il tempo,
il suo aspetto più non cambia,
e se guarda quella pietra,
fosse anche per due secoli,
poi rimane esteriormente
come era in gioventù,
solo che incanutisce.
Questo avviene a donne e a uomini.
Quella pietra dona all'uomo
una forza così grande
che il suo corpo resta giovane.
E' una pietra il Santo Graal:
vi discende un messaggero
che le dà virtù sublime.
Ecc…

Qui è facilmente ipotizzabile che la definizione
originaria fosse “ lapis e coelis “, cioè “ pietra
caduta dal cielo “, secondo un’etimologia
riconducibile alla tradizione della Cabala e della
Mecca.

di Mario Madia - tratto dal N° 6 di Lex Aurea



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