domenica 20 giugno 2010

La Politica americana con l'aiuto di Hollywood

Dal Washington consensus all’Hollywood consensus

Matteo Pistilli // 18 giugno 2010                                              

Conosciamo bene l’importanza che hanno sempre avuto i vecchi e nuovi mass media nella gestione anglo-americana del mondo. Sin dai tempi del colonialismo inglese infatti il ruolo della cultura dominante (e di massa) era fondamentale nel dare significati etici al dominio (missione di civiltà) e dopo, quando nel momento in cui l’impero inglese perdeva le proprie colonie, si mirò a creare un “impero della mente” (formula di Aldous Huxley) così da tentare di continuare a gestire il mondo tramite stati d’animo collettivi, quindi la cultura ed il potere finanziario…probabilmente con l’imperialismo americano in decadenza stiamo assistendo alla stessa operazione.
Oggi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica degli anni novanta, passata la sbornia da “fine della storia”, la costruzione di vere e proprie credenze condivise dall’intera umanità è fondamentale per gli Usa, superpotenza che seguendo quello che considera il proprio “destino manifesto”, ha l’obiettivo di controllare e tutelare il mondo intero. Infatti se l’uso del “soft power” cinematografico e informativo è stato ben presente nelle ultime decine di anni, ora si sta assistendo ad un vero e proprio giro di vite, collegato alle nuove sfide poste in essere all’unipolarismo Usa e anche alle nuove possibilità che le nuove tecnologie, internet per prima, pone. E’ quindi evidente l’uso che si è fatto negli ultimi anni di piattaforme del web, caratterizzate dalla proprietà statunitense, come Facebook, Twitter, Youtube che sebbene siano coperte da un manto di democraticità, in realtà sono le maggiori protagoniste di un digital divide molto pericoloso, che riguarda non solo gli utenti che raggiungono internet, ma proprio il dominio dei siti internet planetari. E’ infatti poco etico che piattaforme informative come queste, siano diffuse in tutto il mondo, ma allo stesso tempo siano controllate e rispondano a regole etiche, ideologiche e ad interessi che sono caratterizzati da un’origine geografica e politica statunitense: non è un caso che molte cosiddette “rivoluzioni colorate” sponsorizzate da Washington siano teleguidate attraverso questi mezzi. Ed è quindi naturale che spesso alcuni Stati tentino di controllarne i contenuti, è semplicemente una forma di difesa verso lo strapotere Usa sui mass-media. Strapotere che si può rintracciare anche nella censura dei satelliti televisivi: quelli utilizzati maggiormente nella sfera d’influenza americana (nord-atlantica) oscurano infatti le televisioni non gradite (come per esempio alcune in lingua araba), così da controllare fermamente la pluralità dell’informazione. Tutto questa costruzione cinematografica della realtà ha come simbolo maggiore ovviamente Hollywood e la costruzione del consenso ad una specifica cultura attuata attraverso questo (da leggere i lavori di John Kleeves al riguardo). Quello che ci dovrebbe far pensare è che se i films girati in questo vero e proprio centro culturale globale sono solo il 5 o 6% del totale, i film americani proiettati nel mondo corrispondono invece al 50% del totale; se si tiene presente che le multinazionali dell’informazione che operano a livello globale non sono che quattro, il quadro comincia ad essere evidente.
Ma non ci vuole molto a rendersi conto di questo vero e proprio dominio “culturale” e dell’importanza che riveste il collegamento fra politica Usa e mass media per l’odierno dominio globale: solo negli ultimissimi giorni abbiamo assistito a scelte di “politica interna” americana che hanno dell’incredibile per chi, come noi, aspira al ritorno del Politico: per tentare di chiudere la falla petrolifera nel Golfo del Messico è stato chiamato niente meno che il regista di Titanic James Cameron, dopodichè è stato ascoltato l’attore Kevin Costner al congresso sullo stesso problema; per chiudere in bellezza si può citare la nomina dell’attore George Clooney a membro a vita del Council on Foreign Relations potentissimo think thank capace di influenzare, anzi di dettare, la politica estera degli stati Uniti, e che, detto per inciso, ospita anche Michael Douglas e Warren Beatty.
E’ per tutti questi motivi che provocatoriamente si può parlare di un passaggio dal Washington consensus all’Hollywood consensus: se il primo stava a significare le politiche comuni portate avanti da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale concertate ovviamente col governo statunitense di Washington, dove hanno sede comune e dal quale quindi partivano le direttive politiche ed economiche dirette a tutto il globo, ora, con l’emergere di nuove potenze che mettono in discussione (per ora solo teoricamente) l’egemonia nord-americana su queste agenzie mondiali, il centro del sistema atlantico si sta definitamene spostando sul “soft power”, sul dominio del cuore e delle menti dei diversi popoli del pianeta ed è in questo senso possiamo parlare di Hollywood consensus. E’ infatti giunto il momento in cui quel dominio degli stati d’animo, torna ad essere l’unica azione che, grazie alla totale egemonia sui mezzi informativi, può ancora garantire l’attuale status quo unipolare e unilaterale, ma chiaramente al prezzo della diffusione di concetti falsati, stili di vita non adeguati ai vari popoli e conseguenti distorsioni etiche, culturali, comportamentali. La consapevolezza della situazione mondiale, continentale e nazionale è l’unico mezzo per opporsi ad un tale sterminato sistema di forze, per non cadere nei tranelli dell’informazione, troppo spesso accettata acriticamente, pilotata a fini strategici; fini deleteri per la libertà ed il benessere dell’Europa e dell’Asia (Eurasia), dell’Africa e dell’America Indiolatina.
Matteo Pistilli



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