Le fobie del marito di Carla Bruni.
No, non le finanze, non l’economia,
non l’occupazione, non le guerre in corso, non la salute, non l’ambiente, non la scuola, non la morale, il problema che secondo il marito di Carla Bruni minaccia il futuro della Grand Nation e la sua “force de frappe” nucleare sono circa duemila donne, per la maggior parte cittadine francesi, che indossano il velo integrale islamico noto anche col nome di niqab. Duemila donne francesi sono lo 0,003% della popolazione totale, colonie comprese (ma loro le chiamano “territori d’oltremare”).
Non credo nemmeno che il problema sia se la sura XXIV del Corano al versetto 31 obbliga il niqab (io sono convinto di no) o se San Paolo dicesse le stesse cose in 1Corinzi 11; 6 e succ. In realtá non esiste un “problema”, ma, a pochi mesi dalle elezioni, il marito di Carla Bruni non trova di meglio che agitare spettri e fantasmi nel tentativo di risollevare di qualche punto la percentuale delle preferenze a suo favore nella logica del governare la paura sapientemente indotta dagli specialisti della manipolazione dei media. Detta in altre parole, potremmo chiamarla “la strategia dei maledetti” che non si fanno scrupoli nel sacrificare la dignitá delle minoranze per conquistare il consenso di una massa opportunamente irretita dai media complici. Il marito di Carla Bruni alla fine non è altro che un Calderoli o un Salvini vestito a festa che, per motivi ignoti, ha trovato accesso alle stanze del potere.
Il marito di Carla Bruni è, assieme al Cancelliere Merkel, uno dei piú accesi oppositori dell’ingresso della Turchia nell’Unione Europea e al tempo stesso il promotore della cosiddetta Unione Mediterranea, una scatola vuota e fumosa, che gli permette di mettere le mani sull’uranio libico in cambio di un impianto di desalinizzazione, tecnologie militari e un reattore nucleare per un totale di dieci miliardi di euro e di vendere 16 Airbus alla Tunisia che definisce paese dedito all’impegno “per lo sviluppo dei diritti universali e i fondamenti della libertá”. Faccia di palta, in questo caso, è troppo? Nei giorni scorsi, durante una trasmissione televisiva sul primo canale nazionale, il presidente francese aveva detto: “Se si vogliono vendere delle auto alla Cina, naturalmente bisognerà costruire delle auto in Cina, ma io non accetto che delle auto che sono vendute in Francia siano costruite all’estero”, un’affermazione che potrebbe essere in contrasto con le regole del mercato comunitario. Da settimane il governo francese sta facendo pressioni su Renault affinché non delocalizzi in Turchia una parte della fabbricazione della Clio IV, come deciso dall’Amministratore delegato della società automobilistica, Carlos Ghosn, qualche settimana fa. Da parte sua Parigi si difende ricordando di essere proprietaria del 15% di Renault e di avere quindi tutto il diritto di dire la propria sulle scelte strategiche del gruppo automobilistico, comprese le delocalizzazioni. Ragione di piú per pensare (Honni soit qui mal y pense) che gli attacchi a corrente alternata ai simboli dell’Islam, o a quelli ritenuti tali, altro non siano dettati che dall’opportunismo del mercante e dell’imbonitore al mercato del bestiame, cosa che non fa che aumentare il disprezzo nei confronti delle figure di spicco di una societá con le pretese di esportare i propri “valori” nel resto del mondo.
Onestamente, a chi ostenta sera per sera il lato b del proprio corpo davanti a telecamere guardone o a chi ha fatto dell’arte dello spogliarello e del mercimonio la merce di scambio per la propria ascesa sociale, preferisco la devota musulmana che per strada cerca di nascondere le proprie fattezze in nome del pudore religioso, anche se per noi un tale atteggiamento risulta difficile da capire.
Pubblicato su il Deviscio il 30 gennaio 2010 da Stefano
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