sabato 3 ottobre 2009

KHWAJA KHADIR E LA FONTE DELLA VITA; NELLA TRADIZIONE DELL'ARTE PERSIANA E MOGHUL


Scritto di Ananda K. Coomaraswamy
In India, il profeta, santo o divinità conosciuto con i nomi di Khwāja Khizr (Khadir), Pir Badar o Rāja Kidār, è oggetto di un culto popolare che ancora sopravvive, e che è comune sia fra i Musulmani sia fra gli Indù . Il suo santuario più importante si trova sul fiume Indo, presso Bakhar, dove è venerato dai devoti di entrambe le tradizioni; ma questo culto è anche diffuso nel Bihar e nel Bengala, anche se in misura leggermente inferiore. Il Khwāja è venerato nel culto indù con l’accensione di luci ed offrendo cibo ai bramani presso un pozzo, ed anche, sia nella pratica mussulmana sia in quella indù, facendo galleggiare in uno stagno o in un fiume una piccola imbarcazione recante una lampada accesa. Nell'iconografia, Khwāja Khirz è rappresentato come un uomo anziano dall’aspetto d'un faqīr, vestito interamente di verde[1] che si muove sulle acque sopra un pesce che gli fa da veicolo. La natura di Khwāja Khizr può essere compresa attraverso la sua iconografia, come sopra accennato, ed anche dalle leggende indiane. Nella ballata di Niwal Daī, il cui scenario è la località di Safidam[2], nel Panjab, la protagonista è la figlia di Vāsuki, il re dei Serpenti. Rājā Parikshit. Il pāndava[3] ario, ha affrontato Vāsuki e lo ha costretto a promettergli in sposa la figlia, anche se questo, dal punto di vista di Vāsuki, è un disonorevole matrimonio tra ineguali. Vāsuki è poi colpito dalla lebbra per effetto della maledizione scagliata dal sacerdote Sīgī[4], le cui mucche erano state morse dai Serpenti. Per guarire il padre, Niwal Daī parte alla ricerca dell'Acqua della Vita (amrta), posta in un pozzo chiuso che ella sola può aprire ma che si trova nei possedimenti di Rājā Parikshit[5]. Raggiunto il pozzo, rimuove le pesanti pietre che lo coprono servendosi del suo potere magico; ma le acque si abbassano subitamente fuori dalla sua portata: a trattenerle è Khwāja Khizr, che ne è il signore e che le rilascerà solo quando Niwal Daī, che nessuno fino ad allora ha mai visto, se non suo padre Vasuki e sua madre la regina Padma, acconsentirà a mostrarsi. Dopo che Niwal Daī si è lasciata vedere, Khwāja Khizr « libera le acque che risalgono ribollendo ». Rājā Parikshit, destato dal rumore, parte al galoppo verso il pozzo e, benché Niwal Daī si nasconda nella sua forma serpentina, la costringere a riprendere il suo aspetto umano; dopo una lunga discussione presso la fonte, la convince di essere legata dalla promessa di matrimonio fatta da suo padre e a tempo debito la sposa[6]. La scena presso il pozzo può essere stata il tema originale della composizione rappresentata in numerosi dipinti moghul[7] del XVII e XVIII secolo raffiguranti un principe a cavallo presso una sorgente da cui una dama ha attinto dell’acqua.[8] Il motivo d’una dinastia traente origine dall’unione d'un re umano con una nāginī è molto diffuso in India e in ultima analisi esso può essere sempre messo in relazione con il ratto di Vāch, l'apsaras o Vergine delle Acque sorta dalle potenze dell'oscurità e che il Padre creatore non ha « visto » prima della trasformazione, in principio, dell'oscurità in luce; a questo proposito è degno di nota che, nella ballata, Niwal Daī non ha mai visto il Sole e la Luna, essendo stata tenuta nascosta in un gorgo (bhaunrī) fino a che non viene fuori per scoprire il Pozzo in Capo al Mondo [che è la Sorgente ai Confini del Mondo (R.S.T.)], dove sono le Acque della Vita[9]. L’assunzione della forma umana da parte di Niwal Daī costituisce la sua « manifestazione ». Naturalmente si comprenderà come non sempre il redattore possa aver pienamente inteso il significato del materiale mitico trattato, e ciò vale sia per i racconti popolari europei di tematica affine, in cui una sirena, o la figlia di un mago, sposa un eroe umano, sia anche per altri racconti popolari e poemi indù più recenti. Khwaja Khizr appare ancora in un altro racconto popolare di tipo molto arcaico, la storia del principe Mahbūb[10]. Il re di Persia ha da una concubina un figlio che, in mancanza di un figlio legittimo, diventa l'erede presunto. In seguito la vera regina rimane incinta. Il principe, temendo di perdere i propri diritti, invade il reame, uccide il padre ed usurpa il trono. Nel frattempo la vera regina fugge ed è accolta da un contadino, poi da alla luce un figlio che viene chiamato Mahbūb, il «Tesoro del Mondo». Questi, divenuto adulto, si reca solo a corte dove vince alcune competizioni atletiche, in particolare quelle di tiro con l’arco. Il popolo nota la sua stretta rassomiglianza con il defunto re. Al suo ritorno a casa la madre gli rivela la sua vera origine ed insieme si mettono in viaggio per evitare il sospetto dell'usurpatore. Madre e figlio arrivano in una terra deserta e lì, in una moschea ai piedi d'una montagna, incontrano un faqīr; costui dà loro un pane e un'acqua inesauribili e due pezzi di legno: uno di cui ci si può servire come di una torcia, l'altro che ha la virtù di rendere guadabile il mare più profondo, riducendo la sua profondità sotto il cubito per un raggio di quattordici braccia dal punto dove esso è tenuto. Mentre madre e figlio stanno guadando così l'oceano, la cui acqua arriva loro al ginocchio, incontrano una corrente che trasporta dei rubini. Attraversato l’oceano e giunti in India, vi vendono uno dei rubini ad un prezzo elevatissimo. Il rubino finisce nelle mani del re del paese il quale, scopertane l'origine, ricerca l’eroe, che nel frattempo s'è costruito un nuovo e grande palazzo sulla riva del mare. Mahbūb si impegna a procurare al re altri rubini della stessa qualità. Egli parte solo, accende la torcia (ciò sta ad indicare che s'appresta a penetrare in un mondo di oscurità) e, servendosi dell'altro pezzo di legno, s'inoltra nel mare fino a raggiungere la corrente di rubini. Mahbūb la risale fino a trovare la sua origine, un gorgo nel quale si tuffa cadendo in un profondo e oscuro camino d’acqua, giunto al fondo del quale scopre che la corrente fluisce da una cancello di ferro che da accesso ad un condotto. Inoltratovisi, si ritrova in un meraviglioso giardino, al cui centro è un palazzo. In questo palazzo trova una stanza in cui giace una testa mozzata da poco, dalla quale gocce di sangue cadono in un bacino e sono trascinate via, sotto forma di rubini, dalla corrente nel condotto sottomarino, poi finiscono nel gorgo fino a giungere nel mare. Allora appaiono dodici pāris[11] che, presa la testa, ne portano il tronco e ricompongono il corpo decapitato; impugnando candele accese, eseguono intorno al giaciglio funebre una danza talmente rapida che Mahbūb può vedere solo un cerchio di luce. Poi, chinandosi sul letto, esse si lamentano: «Per quanto tempo, oh Signore, per quanto tempo?... Quando il sole della speranza si leverà sull'oscurità della nostra disperazione? Sorgi, oh Re, sorgi! Per quanto tempo ancora rimarrai in questa incoscienza simile alla morte ?»[12]. È allora che dal pavimento del palazzo sorge la forma del faqīr già incontrato, ora ammantato in una veste di luce. Le pāris gli si inchinano e gli domandano: « Khwāja Khizr, è giunta l’ora »? Il faqīr, che non è altri che l'immortale Khwāja Khizr, spiega a Mahbūb che il corpo è quello di suo padre, assassinato dall'usurpatore Kassāb; gli antenati di Mahbūb furono tutti dei magi[13]; tutti furono sepolti nel palazzo sottomarino, ma il padre di Mahbūb è rimasto senza sepoltura perché privato dei riti funerari che, come figlio, Mahbūb deve ora compiere. Questi prega Allah per l'anima del padre: immediatamente la testa si riattacca al corpo ed il re, ritornato in vita, si leva in piedi[14]. Khizr sparisce e Mahbub fa ritorno in India col padre, che si riunisce alla regina vedova. Quando il re dell'India viene a chiedere i rubini, Mahbūb si punge un dito e le gocce di sangue, cadendo in una coppa d’acqua, diventano le gemme richieste, poiché, come sa ora Mahbūb, ogni goccia del sangue che scorre nelle vene dei re della Persia è più preziosa dei rubini. Mahbub sposa quindi la figlia del re dell'India. Una spedizione militare in Persia detronizza l'usurpatore Kassab, la cui testa mozzata è appesa nel palazzo sotterraneo, ma ogni goccia del sangue che cola da essa si trasforma in un rospo. La vera natura di Khwāja Khizr è gia chiaramente mostrata sia nei due racconti innanzi riassunti sia nell’iconografia. Khizr è a suo agio nei due mondi, quello della luce e quello dell’oscurità, ma soprattutto è il signore del Fiume della Vita, che scorre nella Terra delle Tenebre: egli è ad un tempo il genio e il guardiano della vegetazione e dell'Acqua della Vita e corrisponde a Soma e a Gandharva nella mitologia vedica, ma anche, in molti particolari, allo stesso Varuna, benché sia evidente che egli non può essere apertamente identificato alla divinità suprema né dal punto di vista islamico né da quello dell'Induismo più recente. Noi troveremo queste conclusioni generali ampiamente confermate dall’ulteriore esame delle fonti delle leggende islamiche di al-Khadir. Nel Qur'ān (sūra XVIII, 59-81) si trova la leggenda di Mūsā (Mosé) alla ricerca del Ma’jma'al-Bah­rain (la confluenza dei due mari)[15], espressione da intendersi probabilmente come un «luogo » dell'estremo-occidente sito all’incontro di due oceani; Mūsā è guidato da un « servo di Dio », che i commentatori identificano con al-Khadir, la cui dimora si dice sia posta in un'isola, o su un tappeto verde in mezzo al mare. Questo racconto può essere rintracciato in altre tre fonti più antiche: l'epopea di Gilgamesh, il Romanzo di Alessandro e la leggenda ebraica d'Elijah e di Rabbi Joshua ben Levi[16]. Nell'epopea di Gilgamesh, l'eroe parte alla ricerca del suo immortale « antenato » Utnapishtim, che abita alla foce dei fiumi (ina pi narati), come Varuna, la cui dimora è « alla sorgente dei fiumi », sindhūnām upodaye (Rig-Veda, VIII, 41, 2); suo scopo è di essere istruito sulla « pianta della vita », prototipo dell'haoma avestico e del soma vedico[17], con la quale l'uomo può evitare la morte. Nel Romanzo d'Alessandro, Alessandro intraprende la ricerca della Fontana della Vita, che egli scopre per caso, significativamente « nella Terra delle Tenebre », ma che poi non potrà essere ritrovata. Una versione della leggenda compare nello Shāh Nāmah, dove Alessandro parte alla ricerca della Fontana della Vita sita nella Terra delle Tenebre, oltre il punto in cui il Sole tramonta tuffandosi nelle acque dell'occidente; Alessandro ha come guida Khizr, ma quando arrivano ad una biforcazione ciascuno segue un sentiero diverso e solo Khizr porta a termine la ricerca. I compagni di Alessandro, che tornano recando con loro pietre della Terra delle Tene­bre, scoprono al ritorno che queste si sono mutate in pietre preziose[18]. La medesima storia è raccontata con più particolari nell’ Iskandar Nāmah di Nizāmī (LXVIII-LXIX); ivi si narra che Alessandro apprende da un vecchio (probabilmente Khizr stesso in forma umana) che « di tutti i paesi, il migliore è la Terra dell'Oscurità, in cui si trova un'Acqua che da la vita » e che la sorgente di questo Fiume della Vita è a Settentrione, sotto la Stella Polare[19]. Lungo la strada verso la Terra dell’Oscurità, in ogni regione arida che attraversano, cade la pioggia e l'erba germoglia: « Tu diresti che lungo questa strada vi sono i segni del passaggio di Khizr: in verità Khizr in persona la percorse con il re »[20]. I viaggiatori raggiungono il limite settentrionale del mondo: il sole cessa di levarsi ed ecco che la Terra delle Tenebre sta davanti a loro. Alessandro si affida alla guida del profeta Khizr e questi, « avanzando nel verde »[21], indica la strada, e presto scopre la fontana, da cui beve divenendo immortale. Mentre attende che Alessandro lo raggiunga egli tiene lo sguardo fisso sulla sorgente; ma questa diventa invisibile e lo stesso Khizr scompare, comprendendo che Alessandro fallirà nella sua ricerca. Nizāmī riporta pure un'altra versione, conforme a un « racconto degli antichi di Roma », secondo cui la ricerca è intrapresa da Ilyās (Elia)[22] e Khizr. I due si siedono presso una fonte per consumare il loro pasto, che consiste in un pesce essiccato. Il pesce, dopo essere caduto nell'acqua, ritorna in vita, e così i due ricercatori comprendono d'aver trovato la Fontana della Vita, da cui entrambi bevono. Nizāmī passa quindi a considerare la versione coranica e interpreta la Fontana come fonte di Grazia la cui Acqua « vivente » è la cono­scenza di Dio -un'interpretazione analoga di questo antico tema si trova nel Nuovo Testamento (Giovanni, IV)-. Nizāmī attribuisce l'insuccesso di Iskandar (Alessandro) alla sua brama; nel caso di Khizr, invece, « l'Acqua della Vita è raggiunta senza essere stata cercata », infatti essa è rivelata indirettamente dal suo effetto sul pesce, quando Khizr non sospetta di esserci arrivato. La scoperta della fontana da parte di Khizr e Ilyas ricorre nell’arte persiana come soggetto di alcune miniature illustranti l'Iskan­dar Nāma[23]. Una di queste, tratta da un manoscritto del tardo XVI secolo di proprietà di A. Sakisian, è riprodotta a colori nella copertina del suo libro La Miniature persane, 1929, e in monocromia nel volume Persian Painting di L. Binyon, 1933, ill. LXI a; in questa illustrazione, i due profeti appaiono seduti presso la Fonte, in un paesaggio verdeggiante; in un grande piatto si vedono due pesci, ed un terzo, manifestamente vivo, è nella mano di Khizr; appare chiaro che questi indica a Ilyās il significato del miracolo. Ilyās è vestito di turchino, Khizr indossa un vestito verde ed un mantello marrone. In una composizione del XVII secolo, appartenente alla Freer Gallery di Washington e riprodotta in Ars Islamica, volume I, II parte, pag. 179, la raffigurazione è analoga, ma nel piatto vi è un pesce solo. Una terza miniatura, risalente alla fine del XV secolo, è conservata nel Museum of Fine Arts di Boston ed è stata riprodotta in Ars Asiatica, XVII, tav. VII, n. 15; Ilyās e Khizr appaiono in primo piano, presso un ruscello, nell'oscurità; Alessandro ed il suo seguito sono nello sfondo, come nella raffigurazione della Freer Gallery, nella quale la disposizione delle ombre e delle luci è tuttavia invertita. La raffigurazione della Freer Gallery sembra sotto questo aspetto essere la più corretta poiché, anche se l’intera ricerca ha luogo nella Terra delle Tenebre, le vicinanze immediate della Fontana della Vita appaiono come illuminate dallo splendore delle sue acque correnti. Inoltre, i due Scopritori della Sorgente recano entrambi sul capo un'aureola fiammeggiante. Nel testo siriano Il Poema d'Alessandro e nella versione del Qur'an, il pesce sfugge e, secondo quest’ultima, esso raggiunge il mare. Si può rilevare una relazione con il racconto di Manu e del « pesce », nel mito di Manu (Shatapatha­ Brāhmana, I, 8, I); in esso il pesce (jhasha) è vivo fin dall’inizio, ma è molto piccolo ed si trova in una situazione difficile, poiché finisce nelle mani di Manu mentre questi si lava, e gli chiede di prendersi cura di lui. Manu gli procura l’acqua e, quando il pesce è diventato grande, lo libera nel mare; quando sopraggiunge Diluvio, è il pesce che guida l'Arca attraverso le Acque per mezzo d'una fune attaccata al suo corno. Una variante degna di nota della leggenda di Manu, con un più stretto parallelismo con le versioni del Poema di Alessandro e del Qur'an rispetto alla disseccazione del pesce, si ritrova nel Jaiminīya-Brāhmana (III, 193) e nel Panchavimsha-Brāhmana (XIV, 5, 15). Ivi si narra di Sharkara, il marsovino (shishumāra), il quale, essendosi rifiutato di lodare Indra, viene gettato su una spiaggia da Parjanya, il dio della pioggia, che poi lo essicca mediante il vento del settentrione (la causa dell'essiccazione del pesce è così indicata). Sharkara compone allora un cantico di lode in onore di Indra; Parjanya lo restituisce all'oceano (come fa Khizr, benché non intenzionalmente, nella versione coranica) e, grazie a questo stesso canto, Sharkara giunge al Cielo e diventa una costellazione. Si tratta indubbiamente della costellazione del Capricorno, in sanscrito makara, makarashi. Così makara, jhasha e shishu­māra sono sinonimi[24]; questo Leviatano indiano corrisponde chiaramente al pesce Kar, « la piu grande delle creature di Ahuramazda », che nuota nel Vurukasha custodendo l'albero di vita Haoma nell'oceano primordiale (Bundahish XVIII; Yasna, XLII, 4); corrisponde pure al pesce-caprone dei Sumeri, simbolo e talvolta « veicolo » di Ea, il dio delle Acque (Langdon, Semitic Mythology, pagg. 105-106). Non deve sorprenderci che, nell'iconografia indù più recente, il «veicolo » di Khizr è inequivocabilmente un pesce e non il makara, la cui forma ricorda quella del coccodrillo, poiché si potrebbero citare dalle fonti iconografiche indiane altri esempi attestanti l’utilizzo alternativo del makara e del ‘pesce’; in qualche antico dipinto, ad esempio, la dea fluviale Ganga ha quale supporto un makara, mentre nelle raffigurazioni più recenti ha come veicolo un pesce[25]. Nella versione della leggenda di Alessandro, detta dello Pseudo-Callisthenes (C), Alessandro è accompagnato dal suo cuoco Andreas. Dopo un luogo viaggio attraverso la Terra delle Tenebre, essi pervengono in un luogo ricco di acque zampillanti e si siedono per mangiare; Andreas inumidisce il pesce disseccato e, vedendo che questo risuscita, beve di quell’acqua senza dire nulla a Alessandro. In seguito Andreas seduce Kalé, la figlia di Alessandro, e le fa bere l'Acqua di Vita (un po’ della quale egli aveva portato con sé ); così ella diventa una dea immortale chiamata Nereis, mentre il cuoco è gettato in mare e si trasforma in un dio; diventano così entrambi abitanti dell'altro mondo. Senza dubbio, Andreas è qui l'Idris del Qur'an (sura XIX, 57 e seg., e sura XXI, 85), che la tradizione islamica identifica a Enoch, Ilyās, e al-Khadir. Secondo quanto riporta su Idris Ibn al-Qifti, nel suo Tārikh al-Hukamā’a (composto nell'anno 1200), questi appare assumere il ruolo di un eroe solare ed è immortale. Al-Khadir presenta anche alcuni punti di somiglianza con San Giorgio, ed è in connessione a ciò, ed anche a una sua funzione di patrono dei viaggiatori, che incontriamo una figura, che è probabilmente quella di Al-Khadir, in un bassorilievo del XIII secolo posto al di sopra del cancello d'un caravanserraglio, sulla strada da Sinjar a Mossul; la figura reca un’aureola e affonda una lancia nella bocca d'un drago coperto di scaglie[26]. Un'altra opera, di apparente tematica indù, rappresentante un uomo seduto su di un pesce, si trova nel bastione del forte di Raichur, nel Dekkan; si è affermato che rechi una corona di cappucci di serpente fluviale: il personaggio è stato perciò denominato « re dei serpenti »; ma nella riproduzione pubblicata questi cappucci di serpente non sono chiaramente riconoscibili[27]. Del resto l'arte indiana del periodo medioevale offre numerose rappresentazioni di Varuna seduto su di un makara[28] . Si possono citare brevemente dei corrispondenti europei similmente derivati, in ultima analisi, da fonti sumeriche. Khadir corrisponde a Glaukos, il dio marino dei Greci (Friedländer, op. cit. pagg. I08 e seg., 242, 253, ecc.; Bernett, op. cit., pag. 715 ). Khadir appartiene anche alla tipologia dell’Ebreo Errante. Sono degni di nota i parallelismi fra tra Glaukos ed il Gandharva vedico. Nell'Avesta, Gandharva è appellato zairipashna, « quello dai talloni verdi », e questo suggerisce un legame tra Gandharva e Khadir. Come ha osservato Barnett, è possibile che Ghandharva corrisponda a Kandarpa, cioè a Kāmadeva (il dio indù dell'amore); a questo proposito, si può notare che la tematica erotica, comune a Glaukos ed a Gandharva-Kāmadeva, appare anche in connessione con Khizr nella ballata di Niwal Daī, dove Khizr non libererà le acque se non potrà vedere la principessa; come ci si potrebbe aspettare se consideriamo Khizr come Gandharva e Niwal Daī come l'Apsara o la Vergine (yoshā) delle Acque, oppure se mettiamo in relazione Khizr con Varuna; nel Rig-Veda (VII, 33, 10-11) Mitra e Varuna sono sedotti dalla vista di Urvashī, come si può leggere nella Sarvānukramanī (I, 166: urvashim apsarasam drishtvā... reto apatat), e Sayana (retash caskanda), evidentemente seguendo Nirukta, v. 13. La stessa situazione, è sottintesa nel Rig-Veda (VII, 87, 6) in riguardo al solo Varuna che discende come una goccia bianca (drapsa) e che viene chiamato « l'attraversatore dello spazio » (rajasah-vimānah) e « il dominatore della profondità » (gambhīra-shamsah), attributi questi che potrebbero ben applicarsi a Khizr. Resta da osservare che, nell'iconografia cristiana, la figura del dio fluviale Giordano[29], che si ritrova comunemente nelle rappresentazioni del Battesimo di Gesù, presenta una certa rassomiglianza con i personaggi di Glaukos e di Khizr. In alcuni casi il battesimo era immaginato aver luogo alla confluenza di due fiumi, Jor e Danus [il che ricorda la confluenza dei due mari del Qur'an (R.S.T.)] . Talvolta si trova un dio fluviale maschio ed una figura femminile rappresentante il mare; entrambi cavalcano delfini come, nell'iconografia indiana, i numerosi tipi di Yakshas nani cavalcano il makara. In ultima analisi, tutti questi motivi iconografici possono essere riportati a prototipi dei quali la concezione più antica, a nostra conoscenza, è quella sumerica del dio Ea, figlio e immagine di Enki, il cui nome essenziale (Enki) significa « Signore della Profondità Acquea ». Ea era il reggitore dei corsi d’acqua che hanno la loro origine nel Mondo Sotterraneo, e da lì scorrono a fertilizzare la terra, ed egli è anche il Signore delle pietre preziose. Nella rappresentazione iconografica, Ea ha come simbolo il pesce-caprone ed ha fra le mani il vaso dal quale si riversa dell'acqua, la sorgente del « pane e dell'acqua della vita immortale ». Dei sette figli di Ea, Marduk eredita la saggezza del padre ed uccide il drago Tiamat; un altro figlio è Dumuziabzu, il « Fedele figlio delle Acque Pure », ed anche il « Pastore », la forma semitica del cui nome è Tammuz, ben conosciuto come il « dio morente » della vegetazione; egli è per certi aspetti paragonabile a Soma e, quale « Signore del Regno di Morti », a Yama. Gli altri aspetti corrispondenti con le divinità sumere sono troppo numerosi e riposti per poter essere trattati adeguatamente in questo studio[30]. È sufficiente aver dimostrato l’ampia diffusione e l’origine antica della figura di Khwaja Khizr, come essa ricorre nelle iconografie persiane ed indù. In riferimento all’arte moghul, possiamo citare un'osservazione di H. Goetz che, discutendo le origini del’arte moghul, nota che essa presenta « in parte un'identità assoluta e in parte una stretta parentela con le fonti delle culture dell’ oriente antico e precisamente, in misura considerevole, con quelle del periodo sumerico classico »[31]. Che la figura di Khizr acquisisca una certa indipendenza ed una certa predominanza proprio nell'arte moghul del XVIII secolo – tutte le opere indiane da me esaminate sono in « stile Lucknow » – sembra indicare che una certa rinascita del suo culto si sia prodotta a quell'epoca ed in quella regione, soprattutto se si considera l'adozione del pesce come emblema regale da parte dei principi di Oudh. [Abbiamo qui preso in considerazione uno degli aspetti di al-Khadir, anche se ne esistono altri; di questi importante è senza dubbio quello relativo alla sua funzione iniziatica. Tutti questi altri aspetti sono, beninteso, in perfetta armonia con il primo; ma il loro esame darebbe luogo a considerazioni che non rientrano nei limiti di questo nostro studio. (R.S.T.)] Zul-Qarnain e al-Khadir Il testo è la traduzione dell'articolo Khwāja Khadir and the Fountain of Life, in the tradition of persian and mughal Art, da A.K.Coomaraswamy, What is Civilization and other essays, Golgonooza Press, 1989. L'articolo era già apparso in traduzione italiana nel n. 21-24 della Rivista di Studi Tradizionali, 1966. Il testo pubblicato dalla R.S.T., che non appare essere una traduzione diretta dall'originale inglese, ma da una traduzione in francese effettuata da André Préau e apparsa nel n. 38 della rivista francese Études Traditionelles, si discosta in vari punti dall'articolo pubblicato nella raccolta di saggi citata, il che ci ha indotti a intraprendere una nuova traduzione dall'originale in lingua inglese. Abbiamo tuttavia tenuto presente la traduzione della R.S.T., riportandone note aggiuntive e integrazioni che non compaiono nell'originale in lingua inglese, quando queste apparivano significative.
Si può trovare l'articolo in lingua originale nel sito Web http://www.khidr.org/khwaja-khadir.htm --------------------------------------------------------------------------------

[1] Conformemente al significato del suo nome, “al-Khadir”, l’Uomo Verde
[2]Safidam, probabilmente la corruzione di sarpa-damana, la « dama del serpente » . Riguardo alla leggenda di Niwal Dai, cfr. Temple, Legends of the Panjab, I, pp..414, 418-419.
[3] Cioè un discendente di Pandu, un antenato dei celebri eroi del Mahabharata (nota R.S.T.)
[4] Generalmente chiamato Sanja (forse dal sanscrito samijna). Questo sacerdote (brahmana), che è al servizio di Vasuki ma che agisce contro di lui, fa pensare a Vishwarupa, il purohita (sacerdote familiare) degli Angeli (Taittiriya samhitha, II, 5, I), ed a Ushanas Kavya, il purohita dei Titani (Panchavimsha-brāhmana, VII, 5, 20), che, conquistato dal partito degli Angeli, passa dalla loro parte.
[5] È difficile ammettere che la localizzazione del Pozzo nei domini dell’umano Parikshit sia «corretta» (in realtà, essa si trova alla frontiera dei due mondi, in una foresta ugualmente accessibile a Vasuki e a Parikshit), e dobbiamo pure fare notare che le acque non sono solamente protette da uno spesso lastrone di pietra, ma anche dal potere di Khizr, e che esse non sono acque «correnti». Numerosi sono gli equivalenti vedici della «pesante pietra» che impedisce l'accesso alle acque, ad esempio, nel Rig-Veda: apihitāni ashnā (IV, 28, 5), adrim achyutam (VI, 17, 5), apah adrim (IV, 16, 8), drdhram ubdham adrim (IV. 18.6), paridhim adrim (IV, 16); quando la pietra viene spezzata, « le acque sgorgano dalla roccia fecondata » (srnvantnv apah . . . babrhanasya adreh, Rig-Veda, V, 41, 12), Cfr. Shatapatha-brāhmana, IX, 1, 2, 4, in connessione con la consacrazione dell'altare del fuoco, la quale ha inizio «dalla roccia», poiché è dalla roccia che scaturiscono le acque (ashmano hy apah prabhavanti). Nella ballata, Vasuki corrisponde ad Ahi (Vritra) che, colpito da Indra, continua tuttavia a «crescere in un’oscurità senza sole» (Rig.Veda, V, 32, 6).
[6] Nel racconto qui riassunto è facile riconoscere il tema della lotta tra gli Angeli ed i Titani (deva e asura), tra Indra e Ahi-Vritra, tema che appartiene al « mito della creazione ». Il rapimento di Niwal Dai corrisponde a quello di Vāch (la parola) (cfr. Rig-Veda, I, 130; dove Indra rapisce la Parola » , vācam mushāyati); Khwaja Khizr, il signore delle acque (i « fiumi della vita » vedici) corrisponde a Varuna.
[7] Moghul: « mongola ». È l'arte, talvolta impropriamente chiamata « indo-persiana », che fiorì in India alla corte dei principi mongoli musulmani durante il XVI, XVII e XVIII secolo. (nota R.S.T.)
[8] E. G. Blochet, Peintures hindoues de la Bibliotheque Nationale, Paris, 1926, pl. V e XXIII.
[9] Il mondo sottomarino, la dimora della razza dei Serpenti (ahi, nāga), I'« origine acquatica di Varuna (yonim apyam, Rig-Veda, II, 38, 8), si trovano nelle « tenebre dell'occidente » (apachine tamasi, ibid., IV, 6, 4); questa regione non è illuminata dal sole, essa è “al di là del Falcone” (Jaiminiya Brahmana, III, 268) ma lo splendore delle Acque è eterno (ahar ahar yāti aktur apām, Rig-Veda, II, 30, I),
[10] Vedi: Shaykh Chilli, Folk tales of Hindustan, Allahabad, 1913, pag. 130 e seg., con Ia riproduzione d'una immagine moderna di Khwāja Khizr, rappresentato come un vecchio nell'atto di benedire Mahbūb (tay. XXXIII). La storia del principe Mahbūb è essenzialmente una versione della « Cerca del Graal » condotta a buon fine da un eroe solare, figlio di una vedova ed allevato lontano dal mondo e nell'innocente ignoranza del suo vero stato, proprio come nella leggenda di Parsifal. Mahbūb corrisponde ai vedici Agni e Sūrya; Kassāb (I'usurpatore) a Indra.
[11] O Apsaras, le vergini del Graal.
[12] Le « donne che si lamentano » e l' « incoscienza simile alla morte » del Re Pescatore sono elementi essenziali del mito del Graal.
[13] È l'equivalente del sanscrito mayin, « mago », termine applicabile soprattutto ai titani e, secondariamente, agli angeli principali , particolarmente ad Agni. Gli « antenati » rappresentano gli eroi solari dei cicli precedenti.
[14] Così la « Cerca del Graal » è portata a termine. [ non si può fare a meno di cogliere le strette corrispondenze che la parte finale della storia di Mahbub, un “Figlio della Vedova” (vedi nota 10), ha con il mito di Hiram del rituale massonico del grado di maestro, in particolare nel punto della resurrezione del re assassinato che conclude la ricerca dell’eroe (N.d.T).]
[15] Il Bahrain, un’isola del golfo persico, è stata identificata da molti studiosi con il Dilmun sumerico, dove dimorava il giardiniere Tagtut dopo il diluvio: cfr. Delitztsch, Wo lag das Paradies, pag. 178 e Langdon, Sumerian Epic, pag. 8 e seg.
[16] per la leggenda islamica, altri parallelismi ed ulteriori riferimenti cfr. Encyclopedia of Islam, alle voci Idris, al-Khadir e Khwaja Khidr; Warner, Shah Nama of Firdausi, VI,pagg. 74-78 e 159-162; Hopkins, « The Fountain of Youth », JAOS, XXVI; Barnett, « Yama, Gandharva and Glaucus », Bull. School. Oriental. Studies, IV; Grierson, Bihar Peasant Life, pagg, 40-43; Garcin de Tassy, Mémoire sur des particularités de la religion musulmane dans l'Inde, pagg. 85-89; Wunsche, Die Sagen vom Lebensbaum und Lebenswasser, Leipzig, 1905; Friedländer, Die Chadhirlegende und der Alexander-Roman, Leipzig, 1913.
[17] Cfr. Barnett, op. cit., pagg. 708-710.
[18] Cfr. Rig-Veda, VII, 6, 4 e 7, in cui si parla di Agni che conduce le Vergini (i fiumi della vita) verso oriente dalle « tenebre dell'occidente » (apāchine tamasi) e porta con sé i « tesori della terra » (budhnyā vasūni) «quando si leva il Sole », (uditā sūryasya).
[19] Il reame di al-Khadir, conosciuto sotto il nome di Yūh (che è anche un nome del Sole), dove al-Khadir regna sui santi e gli angeli, si trova nell'Estremo Settentrione; è un «Paradiso terrestre », una parte del mondo umano che è rimasta indenne dalla maledizione conseguente alla Caduta di Adamo (cfr. Nicholson, Studies in Islamic Mysticism, pagg. 82, 124).
[20] Secondo ’Umārah, Khizr è « verde » perché la terra diventa verde al contatto dei suoi piedi.
[21] Khazra, « vegetazione » o «cielo ».
[22] Il profeta Elia con il quale Khizr è spesso identificato.
[23] Cfr. Iskāndar Nāmah, LXIX, 57: «la vegetazione cresce più rigogliosa presso la fontana ; ibid. 22, la sorgente e descritta come una « fontana di luce », il che ha una corrispondenza nel Vendidād, Fargad XXI, dove la luce e l'acqua originano da una fonte comune; cfr. anche il soma vedico, che è insieme luce e vita, una pianta ed un fluido (amrita,l'Acqua della Vita, cfr. Barnett, op. cit., pag. 705, nota I).
[24] Nella Bhagavad-Gitā (X. 31, Krishna è chiamato « il makara dei Jhashās; il makara è perciò considerato come il più importante dei jhashas o mostri delle profondità. La parola makara s'incontra per la prima volta nella Vājasaneyi-samhitā, XXIV, 3, shishumāra nel Rig-Veda, I, 116,18. Per uno studio più completo sul makara nell'iconografia indù (ed in particolare come veicolo di Varuna ed emblema di Kāmadeva) si veda il mio articolo Yakshas, 1931, II, pag. 47 e seg. e le citazioni ivi presenti. Il fatto che per « veicolo » la divinità considerata abbia un « pesce », implica che essa non è sottoposta alle condizioni del movimento locale nell'Oceano illimitato della possibilità universale, così come le ali denotano una indipendenza degli angeli dal movimento locale nel mondo manifestato. [Nella traduzione della R.S.T. la nota reca in aggiunta: “Abbiamo esaminato in particolare il significato di Sharkara (alla lettera: «la pietra »), termine molto importante per la sua connessione con la Porta solare dei mondi, in uno studio dal titolo Svayamatrnna; Janua Coeli, che sarà pubblicato nella nuova rivista rumena Xalmoxis.”]
[25] Su questo argomento vedere anche: René Guénon, Quelques aspects du symbolisme du poisson in Etudes Traditionnelles, fascicolo del febbraio 1936 [riprodotto nel cap. XXII della raccolta po­stuma Simboli della Scienza sacra]. (nota R.S.T.)
[26] Sarre e Herzfeld, Archäologische reise im Euphrat und Tigris gebiet, vol. I, pagg. 13 e 37-38, Berlin, 1911.
[27] Annual Report, Archaelogical Department, Nizam's Domi­nions, 1929-30 (1933), pag. 17 e tav. 11 b. [28] Vedere anche il mio studio Yakshas, II
[29] Ad esempio, nel battistero di Ravenna (Berchem e Clouzot, tay. III e 220); ivi Giordano regge un vaso dal quale si riversano le acque.
[30] A proposito delle divinità sumeriche, si veda S. H. Langdon, Semitic Mythology, cap.II; per il vaso dal quale si riversano le acque ecc., Van Buren, The Flowing Vase and the God with Streams,Berlin, 1933, e per quel che concerne l'India, il mio studio Yakshas, II. Circa i rapporti iconografici tra le rappresentazioni asiatiche del vaso colmo e quelle cristiane della coppa del Graal, cfr. Gosse, Recherches sur quelques représentations du Vase Eucharistique, Ginevra, 1894.
[31] Bilderatlas zur Kulturgeschichte Indiens in der Grossmoghulzeit, 1930, pag. 71 (“teils absolute Identität teils engste Verwandschaft mit solchen der grossen altorientalischen Kulturen, und zwar zu gut Teilen schon der klassischen sumerischen Zeit”).

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