sabato 22 gennaio 2011

Ermanno Visintainer, Ahmed Yassawi. Sciamano, sufi e letterato kazako, Vox Populi, Pergine Valsugana 2010

Cupola of the Yassawi Mausoleum in Türkistan (Turkestan). The mausoleum has been built between 1397 and ca. 1600 and still looks unfinished. However, the minor cupola presents fine tilework.

                                                                                        

Nato verso il 1100 a Sayrâm (odierno Xinjiang), Ahmed ibn Ibrâhîm ibn ‘Alî è noto con l'appellativo di Yesevî (Yassawi) dal nome della città di Yesî (odierno Kazakistan), dove fece i suoi primi studi. La sua istruzione proseguì a Bukhara, dove fu discepolo di Yûsuf Hamadânî (441/1049-535/1140); tornato a Yesî, vi morì nel 562/1166-1167. In seguito Yesî fu chiamata Türkistan, donde il titolo di Hadrat-i Turkestân attribuito ad Ahmed. Sulla sua tomba e sulla vicina moschea, lungo la riva del Sîr-Darya, nell'VIII secolo dell'Egira Tamerlano fece erigere un mausoleo a doppia cupola, che, completato nell'801/1398, divenne meta di frequenti pellegrinaggi, specialmente di Uzbechi e Kazaki.
Infatti la Yeseviyye, l'ordine iniziatico fondato da Ahmed Yesevî, attraverso le sue varie diramazioni svolse un ruolo fondamentale nell'islamizzazione delle tribù turche e nell'adattamento dell'Islam all'ambiente delle steppe. Nelle pratiche del sufismo vennero integrati diversi elementi tipici della cultura centroasiatica: la partecipazione promiscua di uomini e donne alle assemblee rituali, il sacrificio di vittime animali e la consumazione del banchetto (shilen) presso i sepolcri dei santi, l'uso del turco nelle recitazioni di testi diversi dall'orazione canonica. Ibn Battuta, il quale visitò l'accampamento invernale di ‘Alâ' ad-dîn Tarmâshirîn (1326-1334), sultano della Transoxiana, riferisce (III, 36) che dopo l'orazione mattutina quest'ultimo recitava il dhikr in lingua turca.
La Yeseviyye fu una confraternita di nomadi che si diffuse su una vasta porzione dello spazio eurasiatico: dal Turkestan cinese alla regione della Volga, dalle Steppe dei Kirghisi al Khorasan, all'Azerbaigian, all'Anatolia, dove produsse uomini come Yûnus Emre (m. 1320?), il più grande santo e poeta dell'età selgiuchide.
Poeta, oltre che santo, fu d'altronde lo stesso Ahmed Yesevî, sotto il nome del quale ci è pervenuto un Dîvân-i Hikmet ("Canzoniere della Saggezza"). Composto probabilmente in una lingua vicina a quella del Qutadgu Bilik (la prima opera letteraria della cultura musulmana d'epoca qarakhanide, sec. XI), il Canzoniere ci si presenta oggi in una lingua ciagatai alquanto tarda. Undici hikmet di questo Canzoniere (componimenti articolati in quartine di versi in metrica sillabica) sono stati riportati nel testo originale, con traduzione italiana a fronte, nella monografia che Ermanno Visintainer ha intitolata a Ahmed Yassawi. Sciamano, sufi e letterato kazako. Questo saggio del turcologo trentino (preceduto da una Presentazione dell'ambasciatore della Repubblica del Kazakhstan presso la Repubblica Italiana e da una Prefazione dello scrittore Pietrangelo Buttafuoco) inquadra la "vita leggendaria" di Ahmed Yesevî in un contesto culturale, quello centroasiatico, di cui viene messa in luce la caratteristica varietà di forme tradizionali: dal monoteismo uranico precursore di quello islamico al taoismo venuto dalla Cina, dall'arcaico sciamanesimo autoctono allo zoroastrismo irradiatosi dall'Iran, dal buddhismo al cristianesimo nestoriano e manicheo.
Illustrando l'eredità spirituale di Ahmed Yesevî attraverso una rassegna delle pratiche e degli insegnamenti che furono trasmessi alle successive generazioni di discepoli, l'Autore si sofferma in particolare sulla "khalvet, la solitudine ascetica". In effetti Ahmed Yesevî attribuì grande importanza al ritiro spirituale, sicché è possibile considerare la Khalvetiyye, che si sviluppò nella regione caucasica e si diffuse in Anatolia, come un'appendice occidentale della Yeseviyye. Per quanto concerne filiazioni di questo genere e, in particolare, la questione della derivazione della Naqshbendiyye e della Bektashiyye, le due confraternite più diffuse nel mondo turco e poi irradiatesi in gran parte del continente eurasiatico, l'Autore mantiene un atteggiamento di corretta cautela: sia riguardo al rapporto tra Ahmed Yesevî e Hâjjî Bektâsh, sia riguardo alla nascita della Naqshbendiyye, che, se fosse ricollegabile alla Yeseviyye, rappresenterebbe "l'eredità spirituale del Maestro verso Oriente in senso lato, dal subcontinente indiano all'Indonesia, ma anche ad Occidente, verso il mondo anatolico" (p. 135).

Hajji BektashVeli



Inserita il 17/01/2011 alle 11:47:18                                          
Recensione scritta da Claudio Mutti
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Hajji Bektash Veli «Der heilige Hadschi Baktāsch»; türkische Schreibweise: Hacı Bektaş Veli war ein muslimischer Mystiker (Sufi) aus Khorasan, der in der zweiten Hälfte des 13. Jahrhunderts in Anatolien lebte und wirkte. Nach ihm ist die Bektaschi-Tariqa (Bektaschi-Derwisch-Orden) benannt, die aber aller Wahrscheinlichkeit nach nicht von ihm selbst gegründet wurde. Über sein Leben ist nicht viel bekannt. Es gilt zwar als gesichert, dass eine Person mit diesem Namen existiert hat und bedeutenden Einfluss auf die Bevölkerung Anatoliens hatte. Alles weitere fällt jedoch größtenteils in den Bereich der Legende.Die Hauptquelle für das Leben Hajji Bektash Velis ist die Walāyat-Nāma aus dem späten 15. Jahrhundert. Hadschi Baktāsch wurde in Nischapur im Westen Khorasans (heute Iran) geboren. Nach der Walāyat-Nāma war er der Sohn eines gewissen SayyidImam Mūsā al-Kāẓim, des 7. Imams der Imamiten. Jedoch ist das ein ganz offensichtlicher Fehler des Autors, denn seine Angabe ist, zeitlich betrachtet, unmöglich. Ebenfalls ist es durch andere Quellen nicht nachweisbar, ob er tatsächlich aus Nischapur stammte. Die Bezeichnung "Khorasan erenleri""die Heiligen Khorasans") war bei den turkmenischen Nomaden Anatoliens ein allgemeiner Ehrentitel für viele Mystiker und religiöse Gelehrten, denn das ostpersische Khorasan war zu jener Zeit ein Zentrum der islamischen Blütezeit. Anders betrachtet ist die Bezeichnung aber auch gleichzeitig ein Indiz dafür, dass Hadschi Baktāsch wohl tatsächlich aus Khorasan stammte und mit hoher Wahrscheinlichkeit persischer, denn zur Lebzeit Hadschi Baktāschs hatte sich das Reich der Rum-Seldschuken zu einer Fluchtstätte für persische Gelehrten und Heilige entwickelt, die aus ihrer Heimat aufgrund der mongolischen Invasion fliehen mussten - das ist wohl der Kern der türkischen Redewendung. (siehe auch: Rumi, Attar) Muhammad bin Musā und, so wird behauptet, ein Urenkel des (türk. Abstammung war
Der Legende nach war er zum Zeitpunkt seiner Flucht nach Anatolien ein vierzigjähriger Derwisch der Yesevi-Tariqa und der khalifa (Stellvertreter) Ahmad Yasawis, des Begründers des Ordens. Aber auch diese Behauptung ist zeitlich betrachtet unmöglich und ist eher als eine spätere Innovation aufzufassen, welche die beiden Heiligen zusammenführen soll.
Glaubhafter ist hingegen die Annahme, dass Hajji Bektash Veli zu den Qalandari-Sufis Bābā Rassul-Allāh Eliyās Khorāsānīs (1240 hingerichtet) gehört hat. Diese Annahme wird durch frühe Chronographen der Mevlevi-Derwische indirekt bestätigt, die ihn als einen anti-orthodoxen Mystiker mit "gnostischer Illumination" beschrieben, welcher "die Scharia vollkommen ablehnte" - Eigenschaften, die für ostpersische Qalandari-Mystiker jener Zeit sehr typisch waren.
Hajji Bektash Veli ließ sich in Sulucakarahöyük (heute Hacıbektaş, Provinz Nevşehir) nieder, möglicherweise aus dem Grund, weil es dort zur damaligen Zeit wenig Tekkes gab. Sulucakarahöyük war ein entlegener Ort, weit entfernt von den Zentren Anatoliens, wo das politische Geschehen und ein reger Handel stattfanden.
Aggiunto da Janua Coeli il 21.01.2011




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