L'Islam visto da Julius Evola
L’inizio della fortuna dell’opera evoliana nel mondo islamico risale probabilmente agli inizi degli anni Novanta, allorché il filosofo musulmano di nazionalità azera Gejdar Dzemal (1), fondatore del Partito della Rinascita Islamica, curò per il primo canale della televisione russa una trasmissione dedicata a Julius Evola. Nel 1993 Rivolta contro il mondo moderno veniva evocata, in un’intervista pubblicata dal n. 77 di “Éléments", da un altro intellettuale musulmano: l’algerino Rachid Benaissa, allievo e continuatore di quel maître à penser della “rinascita dell’Islam” che è stato Malek Bennabi.Nel 1994, per iniziativa di un professore di teologia islamica dell’Università di Marmara usciva ad Istanbul, presso la casa editrice Insan, un libro intitolato Modern Dünyaya Baskaldiri: era la traduzione turca di Rivolta contro il mondo moderno. La presentazione editoriale faceva espresso riferimento a René Guénon, un autore del quale sono apparse in turco, negli stessi anni, due opere di critica del mondo moderno: La crise du monde moderne (Modern Dünyanin Bunalimi, Agac, Istanbul) e Le règne de la quantité et les signes des temps (Niceligin egemenligi ve çagin alâmetleri, Iz, Istanbul). Se alcuni ambienti musulmani hanno manifestato un certo interesse per l’opera di Evola, in quale misura Evola ha avuto conoscenza dell’Islam?Il quadro della tradizione islamica tracciato da Evola in Rivolta contro il mondo moderno non occupa più di un paio di pagine, ma presenta con sufficiente risalto quegli aspetti dell’Islam che nella prospettiva evoliana valgono a caratterizzarlo come “tradizione di livello superiore non solo all’ebraismo, ma anche alle credenze che conquistarono l’Occidente” (2), vale a dire alla religione cristiana.In primo luogo Evola fa notare come il simbolismo dell’Islam indichi chiaramente una riconnessione diretta con la Tradizione primordiale stessa, sicché l’Islam risulta indipendente dall’ebraismo e dal cristianesimo, religioni delle quali esso d’altronde respinge i temi peculiari: peccato originale, redenzione, mediazione sacerdotale eccetera. Leggiamo direttamente il brano evoliano:Come nell’ebraismo sacerdotale, qui al centro sta la legge e la tradizione quale forza formatrice, cui però i ceppi arabi delle origini offrirono una materia assai più pura, nobile, improntata da spirito guerriero. La legge islamica, shariyah, è legge divina; la sua base, il Corano, viene concepita come la stessa parola di Dio – kalâm Allâh – come opera non-umana, libro “increato”, esistente ab aeterno nei cieli. Se l’Islam si considera come “la religione di Abramo” e di questi ha voluto anche fare il fondatore della Kaaba, ove ricorre la “pietra”, il simbolo del “Centro”, pure sta di fatto che esso afferma la sua indipendenza dall’ebraismo non meno che dal cristianesimo, che il centro della Kaaba con quello stesso simbolo è preislamico ed ha origini remote difficili a determinare; che nella tradizione esoterica islamica il punto di riferimento è la figura misteriosa del Khidr, concepito come superiore ed anteriore ai profeti biblici. L’Islam esclude il tema caratteristico dell’ebraismo, che nel cristianesimo diverrà dogma e base del mistero cristico: mantiene, sensibilmente affievolito, il tema della caduta di Adamo, senza trarne tuttavia quello del “peccato originale”. In questo esso vede una “illusione diabolica” – talbîs Iblîs - anzi, in un certo modo, tale motivo viene invertito, la caduta di Satana – Iblîs o Shaytân – essendo ricondotta, nel Corano (XVIII, 48), al rifiuto di questi di prostrarsi, insieme agli Angeli, davanti Adamo. Così viene respinta anche l’idea di “redentori” o “salvatori”, centro del cristianesimo, non solo, ma viene esclusa la mediazione di una casta sacerdotale. (3)La radicale formulazione della dottrina dell’Unità, l’assenza di ogni macchia di antropomorfismo, la restaurazione del primordiale contatto diretto col Principio, l’integrazione di ogni settore dell’esistenza in un ordine rituale, l’ascesi dell’azione culminante nel rito del jihâd, la capacità di plasmare una “razza dello spirito” in termini di ummah: sono questi, successivamente, gli aspetti dell’Islam sui quali si sofferma l’attenzione di Evola.Concepito il Divino in assoluta purezza monoteistica, senza un “Figlio”, senza una qualità di “Padre”, senza una “Madre di Dio”, ogni uomo come muslem appare direttamente connesso a Dio e santificato attraverso la legge, la quale permea ed organizza in qualcosa di assolutamente unitario la vita in ogni sua espressione, giuridica, religiosa, sociale. Come si è accennato, nell’Islam originario l’unica forma di ascesi che si concepì fu quella dell’azione, in termini di jihad, di “guerra santa”, guerra, teoricamente, da non interrompere mai, fino al pieno consolidamento della legge divina. E appunto attraverso la guerra santa, non per un’azione di predicazione e di apostolato, l’Islam ebbe una espansione repentina, prodigiosa, formando non solo l’Impero dei Califfi, ma soprattutto l’unità propria ad una razza dello spirito – umma – la “nazione islamica”. (4)L’Islam infine, osserva Evola, è una forma tradizionale completa, nel senso che nel suo contesto è vivo ed operante un essoterismo in grado di fornire, a chi sia dotato delle necessarie qualificazioni, i mezzi utili a conseguire una realizzazione spirituale che oltrepassi il traguardo esoterico della pura e semplice “salvezza dell’anima”:Infine l’Islam presenta una completezza in alto grado tradizionale in quanto il mondo della Shariyah e della Sunna, della legge e della tradizione, ha il suo complemento non tanto in una mistica, quanto in vere e proprie organizzazioni iniziatiche – turuq – cui è proprio l’insegnamento esoterico, il ta’wil e la dottrina metafisica della Identità suprema, tawhid. La nozione, ricorrente in tali organizzazioni e, in genere, nella cosiddetta Shia, del ma’sum, della doppia prerogativa dell’isma, o infallibilità dottrinale, e dell’impossibilità di esser intaccati dalla colpa, per i capi, gli Imam visibili ed invisibili, e i mujtahid, rientra logicamente nella verità di una razza non spezzata e formata da una tradizione di livello superiore non solo all’ebraismo, ma anche alle credenze che conquistarono l’Occidente. (5)Fra tutti questi aspetti, quello che in modo più diretto interessa l’”equazione personale” di Evola è ovviamente il motivo dell’azione consacrata. È così che l’attenzione di Evola si fissa sul concetto di jihâd e sulla sua duplice applicazione, secondo la celebre frase attribuita al Profeta Muhammad: “Raja’nâ min al-jihâd al-açghar ilâ-l-jihâd al-akbar” Cioè: “Siamo tornati dal jihâd minore al jihâd maggiore”. Questo detto tradizionale, che ispira il titolo di un capitolo di Rivolta contro il mondo moderno (“La grande e la piccola guerra santa”), viene commentato da Evola nei termini seguenti:Nella tradizione islamica vengono distinte due guerre sante: l’una è la “grande guerra santa” – el-jihadul akbar – l’altra la “piccola guerra santa” – el-jihadul açghar – da un detto del Profeta che, di ritorno da una spedizione di guerra, disse: “Siamo tornati dalla piccola guerra santa”. La prima guerra è di ordine interno e spirituale; l’altra è la guerra materiale, quella che si combatte all’esterno contro un popolo nemico, in particolare, con l’intento di riprendere popoli “infedeli” nello spazio ove vige la “legge di Dio”, dâr al-islâm.Tuttavia la “grande guerra santa” sta alla “piccola guerra santa” come l’anima sta al corpo; ed è fondamentale per la comprensione della “ascesi eroica” intendere la situazione nella quale le due cose divengono una sola, la “piccola guerra santa” facendosi il mezzo attraverso il quale si attua una “grande guerra santa” e viceversa: la “piccola guerra santa” – quella esteriore – divenendo quasi un’azione rituale che esprime e testimonia la realtà della prima. In effetti, in origine l’Islam ortodosso non concepiì che una forma di ascesi: quella legantesi appunto al jihad, alla “guerra santa”.La “grande guerra santa” è la lotta dell’uomo contro i nemici che egli porta in sé. Più esattamente, è la lotta dell’elemento non umano dell’uomo contro tutto ciò che in lui vi è di umano e, come tale, di legato al tronco profondo del desiderio e della passionalità, quindi di governato dal principio del caos e del disordine. (6)La dottrina islamica della piccola e della grande “guerra santa” occupa nel contesto dell’opera evoliana una posizione importante, poiché assume un valore paradigmatico; essa infatti esemplifica e rappresenta la concezione generale che il mondo della Tradizione riferisce all’esperienza guerriera e, in senso più ampio, all’azione intesa come via di realizzazione spirituale. Gl’insegnamenti riguardanti l’azione guerriera che si ritrovano in ambiti tradizionali diversi vengono dunque considerati alla luce della loro coincidenza essenziale con la dottrina del jihâd e vengono esposti mediante il ricorso a una nozione che è, pure essa, di derivazione islamica: la nozione della “Via di Dio” (sabîl Allâh).Nel mondo dell’ascesi guerriera tradizionale la “piccola guerra santa”, ossia la guerra esteriore, viene additata od anche prescritta quale via per realizzare questa “grande guerra santa” e per tale ragione nell’Islam “guerra santa” – jihad – e “via di Allah” son termini spesso usati come sinonimi. In quest’ordine di idee l’azione ha rigorosamente la funzione e il compito di un rito sacrificale e purificatorio. Le situazioni esteriori della vicenda guerriera determinano un “affioramento” del nemico interiore, il quale come istinto animale di conservazione, paura, inerzia, pietà o passione, oppone una rivolta e una resistenza, che chi combatte deve vincere all’atto stesso di scendere in campo a combattere e a vincere il nemico esteriore o il “barbaro”.Naturalmente, l’orientamento spirituale, la “giusta direzione” – niyyah – che è quella rivolta agli stati sopraindividuali dell’essere (simboli: il “cielo”, il “paradiso”, i “giardini di Allah”, e via dicendo) è presupposta come base; altrimenti la guerra perde il carattere sacro e si degrada in una vicenda selvaggia e irrazionale ove al Guerriero si sostituisce il soldato e all’”eroe” nel senso antico la bestia, o, al più, l’esaltato. (7)Evola riporta tutta una serie di passi coranici relativi ai concetti di jihâd e di “Via di Allah”; si tratta dei seguenti versetti, che citiamo secondo la numerazione del Bonelli e nel medesimo ordine in cui vengono riferiti in Rivolta contro il mondo moderno (8): IV, 76; II, 186; II, 187; XLVII, 37; XLVII, 4; XLVII, 38; XLVII, 40; IX, 38; IX, 52; II, 212-213; IX, 88-89; IX, 90; XLVII, 5-7. Oltre a questi versetti vengono pure citate, a titolo esemplificativo ed illustrativo, due massime: “Il paradiso è all’ombra delle spade” e “Il sangue degli eroi è più vicono a Dio dell’inchiostro dei filosofi e delle preghiere dei devoti” (9). Ora, se la prima di queste due massime è effettivamente un hadîth, la seconda, desunta da una fonte di cui Evola non fornisce gli estremi, suona originariamente in termini alquanto diversi: “L’inchiostro dei sapienti e il sangue dei martiri saranno pesati nel Giorno della Resurrezione, e la bilancia penderà in favore dei sapienti” (hadîth riferito da Suyûtî, Al-jâmi’ aç-çaghîr).Prima di passare ad esporre le formulazioni secondo le quali la dottrina della “guerra santa” è stata enunciata in ambiti tradizionali diversi da quello islamico (soprattutto in quelli indù e cristiano), Evola individua un rapporto di analogia tra la morte conseguita dal mujâhid e la mors triumphalis della tradizione romana (10); il tema viene ripreso più oltre, laddove il “significato di immortalamento” (11) attribuito alla vittoria guerriera da certe tradizioni europee è messo in stretto rapporto con “l’idea islamica, secondo la quale i guerrieri uccisi nella ‘guerra santa’ – jihad – non sarebbero mai veramente morti” (12). A tale proposito viene citato un versetto coranico: “Non dite morti coloro che furono uccisi nella via di Dio; no, anzi sono vivi, però voi non ve ne avvedete” (II, 149); il parallelo specifico è qui rintracciato in Platone (Resp. 468 e), “secondo cui alcuni morti in guerra vanno a far corpo con la razza aurea che, secondo Esiodo, non è mai morta, ma sussiste e veglia, invisibile” (13).Un altro argomento che, in Rivolta contro il mondo moderno, fornisce lo spunto per alcuni riferimenti alla dottrina dell’Islam è quello trattato nel capitolo su “La Legge, lo Stato, l’Impero”. Osservando che ancor fin nella civiltà medievale la ribellione contro l’autorità e la legge imperiale fu considerata allo stesso titolo dell’eresia religiosa e i ribelli valsero, non meno degli eretici, come i nemici della loro stessa natura, come coloro che contraddicono la legge della loro stessa essenza, (14)Evola rileva la presenza di una analoga concezione nell’Islam e rinvia il lettore alla sura IV del Corano, v. 111. Un altro parallelo che coinvolge l’Islam viene poi stabilito fra la concezione romano-bizantina da un lato, la quale contrappone la legge e la pax dell’ecumene imperiale al naturalismo dei barbari rivendicando al contempo l’universalità del proprio diritto, e la dottrina islamica dall’altro, poiché in quest’ultima si ha su base analoga (…) la distinzione geografica fra il dar al-islam, o terra dell’Islam, retto dalla legge divina, e il dar al-harb, o terra della guerra, per comprendere genti, che nella prima vanno riprese attraverso il jihad, la “guerra santa”. (15)Nel medesimo capitolo, trattando della funzione imperiale di Alessandro Magno, soggiogatore delle orde di Gog e di Magog, Evola rimanda alla figura coranica di Dhû’l-qarnayn (il Bicorne, che viene correntemente identificato con Alessandro), nonché alla sura XVIII del Corano. (16)2Le analogie fra determinati aspetti dell’Islam e i corrispondenti elementi di altri ambiti tradizionali vengono rilevate anche nel Mistero del Graal; ma, mentre in Rivolta si tratta di puri paralleli dottrinali, che talvolta vedono messe a confronto con l’Islam forme tradizionali mai venute a contatto col mondo musulmano, nel saggio sulla “idea imperiale ghibellina” le similitudini tra Islam e templarismo vengono invece puntualizzate nel quadro dei rapporti che sarebbero intercorsi fra esponenti dell’esoterismo cristiano e dell’esoterismo islamico:inoltre si accusavano i Templari di aver delle intese segrete con i mussulmani e di esser più vicini alla fede islamica che non a quella cristiana. Quest’ultimo accenno è probabilmente da intendersi sulla base del fatto, che a caratterizzare l’islamismo sta parimenti la anticristolatria. Quanto alle “intese segrete”, esse debbono apparirci sinonimo di un punto di vista meno settario, più universale, quindi più esoterico di quello del cristianesimo militante. Le Crociate, nelle quali i Templari e, in genere, la cavalleria ghibellina ebbero una parte fondamentale, sotto vari riguardi crearono malgrado tutto un ponte supetradizionale fra Occidente e Oriente. La cavalleria crociata finì col trovarsi di fronte ad una specie di fac-simile di se stessa, cioè a guerrieri che avevano la stessa etica, gli stessi costumi cavallereschi, gli stessi ideali di una “guerra santa” e, in più, a corrispondenti vene esoteriche. (17)Evola passa così a tracciare un sommario profilo di quello che egli, con una certa improprietà, definisce “l’Ordine arabo degli Ismaeliti”, cioè il movimento eterodosso d’origine sciita nato verso la metà del sec. VIII:Così ai Templari fece esatto riscontro, nell’Islàm, l’Ordine arabo degli Ismaeliti, che anch’essi si consideravano come i “guardiani della Terra Santa” (anche in senso esoterico, simbolico) e avevano una doppia gerarchia, una ufficiale e una segreta. E tale Ordine, con eguale doppio carattere, guerriero e religioso, corse pericolo di fare una fine analoga a quella dei Templari per un analogo motivo: per un suo fondo iniziatico e per l’affermazione di un essoterismo sprezzante la lettera dei testi sacri. È anche interessante che nell’esoterismo ismaelita riappare lo stesso tema della saga imperiale ghibellina: il dogma islamico della “resurrezione” (qiyama) qui viene interpretato come la nuova manifestazione del Capo supremo (Imam) divenuto invisibile nel cosiddetto periodo dell’”assenza” (ghayba): perciò l’Imam ad un dato momento era scomparso sottraendosi alla morte, sussistendo però pei suoi seguaci l’obbligo di giurargli fedeltà e sudditanza come allo stesso Allah. (18)L’esoterismo islamico è definito da Evola come “dottrina che giunge perfino a riconoscere nell’uomo la condizione in cui il Principio prende coscienza di sé, e che professa l’Identità Suprema” (19), sicché, grazie ad esso, l’Islam costituisce un esempio chiaro ed eloquente di un sistema che, pur comprendendo un dominio religioso a base rigorosamente ateistica, riconosce una verità e una via realizzativi più alte, l’elemento emozionale e devozionale, l’amore e il resto perdendo (…) ogni significato “morale” e ogni valore intrinseco e acquistando solo quello di una delle tante tecniche. (20)Ebbene, l’esoterismo islamico, con gl’insegnamenti dei suoi maestri e col suo mondo di nozioni e di simboli, fornisce ad Evola spunti e riferimenti di una certa importanza. Per quanto concerne simboli e nozioni, si noti il rilievo che nell’opera evoliana è assegnato alla funzione polare. Come spiega lo stesso Evola, “nel vicino Oriente” (ma sarebbe stato più corretto dire “nel mondo islamico”) “il termine Qutb, ‘polo’, ha designato non solo il sovrano ma, più in genere, colui che dà legge ed è il capo della tradizione di un dato periodo storico” (21). (Per essere esatti, il Qutb rappresenta il vertice supremo della gerarchia iniziatica). Ora, c’è in Rivolta un capitolo intero, il terzo della prima parte, che verte su questa funzione tradizionale e impiega per l’appunto i termini “polo” e “polare”; lo strano è che esso non contiene nessun riferimento esplicito alla tradizione islamica! Per quel che invece riguarda i maestri dell’esoterismo islamico, ricorrono nell’opera evoliana i nomi di Ibn ‘Arabî, di Hallâj, di Rûmî, di Hâfez, di Ibn ‘Atâ’, di Ibn Fârid, di ‘Attâr.La prima menzione di Ibn ‘Arabî, ash-shaykh al-akbar (=magister maximus), appare in una glossa di Introduzione alla Magia che non è firmata, ma è dovuta certamente ad Evola: viene ivi citato “il caso di Ibn Arabi” al fine di esemplificare la “inversione delle parti rispetto allo stato in cui, creata la dualità, l’imagine divina incarnante l’Io superiore sta di fronte al mistico come un altro essere” (22). Per approfondire il concetto, Evola fa ricorso a un insegnamento del tasawwuf:È interessante notare che nell’esoterismo islamico vi è un termine tecnico per indicare questo mutamento: shath. Shath, letteralmente, significa proprio “scambio delle parti” ed esprime il punto in cui il mistico assorbe l’imagine divina, sente quella come il sé e il sé, invece, come un altro, e parla in funzione di quella. Sono anzi indicati, nell’Islam, alcuni “segni certi” per riconoscere in quali casi lo shath ha avuto luogo oggettivamente e non si tratta di un semplice sentimento della persona in questione. (23)Viene quindi ricordato che la fine di El Hallaj, il quale viene tuttavia considerato come uno dei principali maestri dell’Islamismo esoterico (sufismo), (24)fu una conseguenza della divulgazione del segreto che si connette al conseguimento della suddetta condizione. Su tale argomento Evola ritorna in un altro punto della sua opera, laddove scrive:Si vuole che la condanna e la stessa uccisione di alcuni iniziati di cui si era lungi dal disconoscere questa loro dignità (come caso tipico viene addotto quello di El Hallaj nell’Islam) siano dovute al loro non aver riconosciuto questa esigenza (cioè l’esigenza del segreto, n.d.r.): non si tratta di “eresia”, ma di ragioni pratiche e pragmatiche. Un detto tipico è, a tale riguardo: “Che il sapiente con la sua sapienza non turbi la mente di coloro che non sanno”. (25)L’altro breve accenno ad Ibn ‘Arabî contenuto nella medesima opera collettiva è pure esso dovuto a Evola, il quale, nello scritto firmato con lo pseudonimo “Ea” e intitolato Esoterismo e mistica cristiana, rileva come nell’ascesi del cristianesimo manchi, nonostante la disciplina del silenzio,la pratica di quel grado più interiorizzato di tale disciplina, che è il tacere non solo con la parola parlata, ma altresì col pensiero (il “non parlare con se stessi” di Ibn Arabi). (26)In Metafisica del sesso, dopo aver notato come nell’Islam, “legge destinata a chi vive nel mondo, e non all’asceta” (27), sia assente “l’idea della sessualità come qualcosa di peccaminoso e di osceno” (28), tant’è vero che prima di congiungersi sessualmente alla donna l’uomo pronuncia la formula rituale “Bismillâhi ‘r-Rahmâni ‘r-Rahîm” (“Nel nome di Allâh, il Misericordioso, il Misericorde”), Evola osserva che Ibn ‘Arabî giunge fino a parlare di una contemplazione di Dio nella donna, in una ritualizzazione dell’amplesso conforme a valenze metafisiche e teologiche. (29)Seguono due lunghe citazioni dai Fusûs al-hikam, nella traduzione di Titus Burckhardt, quindi la conclusione:In questa teologia sufistica (sic, n.d.r.) dell’amore devesi vedere solo l’amplificazione e la elevazione a una più precisa coscienza del mondo rituale in cui l’uomo di tale civiltà ha più o meno distintamente assunto e vissuto i rapporti coniugali in genere, partendo dalla santificazione che la Legge coranica conferisce all’atto sessuale in regime non solo monogamico ma anche poligamico. Da qui appare anche il significato particolare che può assumere il procreare, inteso appunto quasi come un amministrare il prolungamento, esistente nell’uomo, del potere creativo divino. (30)Un altro passo dei Fusûs al-hikam illustra in Metafisica del sesso la “chiave della tecnica islamica” (31), la quale consiste nell’assumere il “dissolversi attraverso la donna” (32) come un simbolo dell’estinzione nella divinità. Al medesimo ordine di idee viene riferito il significato delle “Esperienze tra gli Arabi” di Gallus, un capitolo di Introduzione alla Magia dal quale Evola estrae alcuni brani, relativi alle “pratiche orgiastiche a fini mistici (…) attestate (…) nell’area arabo-persiana” (33).In quello che Rûmî dice della danza (“Chi conosce la virtù della danza vive in Dio, perché sa come l’amore uccide”) (33) Evola individua un’altra “chiave” delle tecniche iniziatiche islamiche:la chiave delle pratiche di una catena, o scuola, di mistica islamica, continuatasi attraverso i secoli, che in Gelâleddîn Rûmî considera il suo maestro. (35)Nella poesia del sufismo arabo-persiano, a lui nota attraverso l’antologia del Moreno (36), Evola ritrova motivi che per la sua “metafisica del sesso” sono di un certo interesse: ad esempio, l’applicazione del simbolismo maschile all’anima dell’iniziato, sicché la divinità (…) viene considerata come donna – come la “Fidanzata” o l’”Amata”, invece che come lo “sposo celeste” dell’anima. Così per es. in Attâr, in Ibn Fârid, in Gelâleddîn el-Rûmî, ecc. (37)O, ancora, vi trova l’idea dell’amore quale “forza che uccide” l’io individuale, idea rintracciata in Rûmî (38) e in Ibn Fârid (39).Su una tecnica tipica del sufismo, il dhikr, si sofferma una glossa di Introduzione alla Magia che riteniamo di poter attribuire ad Evola. Essa rileva, in particolare, la corrispondenza di tale tecnica islamica col mantram indù e con la ripetizione dei nomi divini praticata dall’esicasmo (40). La glossa cita Al-Ghazâlî, del quale Evola deve aver letto qualcosa in qualche traduzione europea, poiché di questo maestro vengono citate, in altre pagine della stessa opera attribuibili ad Evola (41), un paio di affermazioni.Assai più proficuo è l’incontro di Evola con l’ermetismo islamico: l’autore musulmano più menzionato nella produzione evoliana è infatti Geber (= Jâbir Ibn Hayyân). Circa il ruolo svolto dagli ermestisti dell’Islam Evola scrive:Fra il VII e il XII secolo, essa (la tradizione ermetico-alchemica, n.d.r.) è attestata fra gli Arabi, che anche a tale riguardo fecero da mediatori per la ripresa, da parte dell’Occidente medievale, di un più antico retaggio della sapienza precristiana. (42)Nel suo studio specificamente consacrato alla tradizione ermetica, Evola si avvale di numerosissime citazioni tratte dai testi musulmani raccolti dal Berthelot e dal Manget. Primeggia, come si è detto, Geber, ed è ovvio, data la mole immensa del corpus geberiano; ma è pure menzionato Râzî e sono citati alcuni libri anonimi, fra i quali la celebre Turba Philosophorum, tradotta in italiano nel secondo volume di Introduzione alla Magia (43). Della Turba Philosophorum Evola dice che “è uno dei testi ermetico-alchemici occidentali più antichi” (44); in realtà nel 1931, anno in cui uscì la prima edizione della Tradizione ermetica, J. Ruska dimostrò in maniera inoppugnabile l’origine araba del testo in questione, sicché la Turba Philosophorum può esser detta occidentale solo in rapporto alla sua tradizione latina; ma ciò evidentemente sfuggì ad Evola, che anche nelle edizioni successive del suo libro sull’ermetismo mantenne l’inesatta definizione riportata più sopra.3Com’è noto, gran parte dell’opera di Evola si fonda su certi insegnamenti tradizionali divenuti per lo più accessibili in seguito all’esposizione fattane da René Guénon; Evola si è dunque basato in larga misura sull’opera di quest’ultimo, riprendendo concetti che ivi erano stati espressi e adattandoli spesso alla propria “equazione personale”. Ora, data l’appartenenza di Guénon all’Islam e data la derivazione islamica di alcuni fondamentali insegnamenti contenuti nell’opera di Guénon, non sarà fuor di luogo considerare ciò che Evola ha scritto circa l’integrazione di Guénon nella tradizione islamica:Il Guénon era convinto del sussistere, in Oriente, malgrado tutto, di gruppi tuttora depositari della Tradizione. Praticamente egli ebbe rapporti diretti propriamente col mondo islamico, dove vene iniziatiche (sufi e ismaelite) esistono tuttora accanto alla tradizione esoterica (cioè religiosa). Ed egli si “islamizzò” ad oltranza. Stabilitosi in Egitto, aveva ricevuto il nome di sheikh Abdel Wahîd Yasha (sic, n.d.r.) ed anche la cittadinanza egiziana. In seconde nozze, sposò un’araba. (45)Nel caso del Guénon, quel collegamento (iniziatico, n.d.r.) deve essersi principalmente realizzato – come abbiamo detto – con “catene” islamiche. Ma a chi non se la sente di rimettersi a musulmani e ad Orientali, il Guénon offre assai poco. (46)Il “caso di Guénon” ha dunque costretto Evola ad ammettere che anche oggi esistono, nonostante tutto, le possibilità per un ricollegamento iniziatico; solo, nelle condizioni attuali la scelta dell’Islam risulta praticamente obbligata.Una tale conclusione riprende queste precedenti considerazioni:Si potrebbe aggiungere una testimonianza islamica che è data dalla corrente iniziatica ismaelita e in particolare da quella dei cosiddetti Duodecimani. La corrispondente veduta è che l’Imam, il capo supremo dell’Ordine, manifestazione di un potere dall’alto e principio anche delle iniziazioni, si sia parimenti “ritirato”. Si attende bensì che egli si rimanifesti, ma l’epoca attuale sarebbe quella di una “assenza”.Tuttavia ciò, a nostro parere, non implica che centri iniziatici in senso stretto siano ormai inesistenti. Senza dubbio, ne esistono ancora, anche se a tale riguardo l’Occidente entra scarsamente in questione e bisogna riferirsi ad altre aree, al mondo islamico e all’Oriente. (47)Potremmo qui rilevare che Evola ha probabilmente scambiato la Scia duodecimana per una diramazione particolare del movimento ismaelita, e una svista del genere sarebbe veramente eccessiva, anche se commessa da una persona non “addetta ai lavori”; parimenti, Evola sembra credere che l’Imam sia “il capo supremo dell’Ordine” tanto nella prospettiva degli Ismaeliti quanto in quella dei “cosiddetti Duodecimani” – e anche questa sarebbe una inesattezza considerevole, perché per la Scia duodecimana l’Imam, in quanto successore del Profeta, è “capo supremo” non solo di un Ordine, ma di tutta quanta la comunità. Ma non è questo che deve interessare. L’importante è, invece, che secondo Evola un ricollegamento iniziatico nell’epoca attuale è ancora possibile, purché ci si rivolga “al mondo islamico e all’Oriente”.Un problema introdotto da Evola in questo contesto concerne il rapporto fra i centri iniziatici e il corso della storia umana e viene così formulato:il corso della storia ultima (…) ha, in genere, un carattere assolutamente involutivo e dissolutivo. Ora, di fronte alle forze che sono in opera in questi sviluppi, quale è la posizione dei centri iniziatici? (48)Il problema ovviamente coinvolge anche l’Islam:Ad esempio, nel caso dell’Islam sono certamente esistenti centri iniziatici (sufi), ma la loro presenza non ha affatto impedito l’”evolversi” dei paesi arabi nel senso antitradizionale, progressista e modernista, con tutte le inevitabili conseguenze. (49)Tale questione era stata posta da Evola nel quadro di uno “scambio d’idee con Titus Burckhardt” (50), noto studioso svizzero ricollegato all’esoterismo islamico e residente in un paese musulmano, il quale, con conoscenza di causa, gli “aveva fatto rilevare il sussistere di possibilità del genere (cioè di un ricollegamento iniziatico, n.d.r.) in aree non europee” (51). Non sappiamo se e come lo studioso svizzero abbia replicato alle obiezioni di Evola; da parte nostra, comunque, potremmo far innanzitutto notare che “i paesi arabi” costituiscono sotto il profilo demografico soltanto la quinta parte di tutto il mondo musulmano, sicché non è corretto far coincidere il loro “evolversi” con lo sviluppo della situazione generale dell’ummah islamica; in secondo luogo – e ciò possiamo forse osservarlo meglio oggi che non al tempo di Evola – anche all’interno di alcuni paesi arabi è in atto un “risveglio dell’Islam” che sembrerebbe annunciare un’inversione di tendenza; infine, quand’anche i “centri iniziatici (sufi)” non ostacolassero, con la loro azione, il processo generale di involuzione, non sarebbe tuttavia lecito affermare che la loro funzione è illusoria (52). Infatti il ricollegamento ai centri iniziatici – dai quali procede ogni trasmissione regolare delle influenze spirituali – costituisce l’unica soluzione possibile per coloro i quali intendano reagire alla tendenza discendente del mondo moderno: tendenza inesorabile, perché soggetta alle rigorose leggi cicliche che governano la manifestazione. È proprio il ricollegamento ad un centro iniziatico – e, mediante esso, al centro supremo – ad assicurare la continuità della trasmissione delle influenze spirituali per tutta la durata del presente ciclo d’umanità e quindi a consentire la partecipazione allo Spirito fino alla chiusura del ciclo. In questa prospettiva, è proprio il processo involutivo a rivelarsi illusorio: esso infatti concerne unicamente la manifestazione, la quale, dato il suo fondamentale carattere contingente, è rigorosamente nulla in rapporto all’Assoluto.Alcuni esponenti di quella varietà umana che qualcuno ha chiamato “evolomane”, presi da una foga polemica degna di miglior causa, hanno citato, come rappresentative della posizione evoliana rispetto all’Islam, queste parole:lo stesso cattolicesimo (…) è una dottrina inconsciamente tragica, una dottrina quasi diremmo da disperati (il protestantesimo e l’islamismo lo sono ancora di più). (53)A onor del vero bisogna dire che questo brano, estratto dall’edizione del 1949 di Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, venne eliminato dalla successiva edizione del 1971: evidentemente l’Autore si era reso conto che la frase non corrispondeva al suo pensiero. Sicuramente la frase non corrispondeva all’opinione evoliana dell’Islam. Infatti, come si è potuto dedurre dai passi riportati più sopra, Evola traccia un quadro della tradizione islamica che, se è talvolta inesatto in qualche particolare ed è spesso condizionato da una prospettiva piuttosto personale, costituisce tuttavia una rappresentazione ispirata al riconoscimento di ciò che è essenzialmente l’Islam: una manifestazione dello spirito tradizionale da cui non può prescindere la “rivolta contro il mondo moderno”.
(1) Gejdar Dzemal (n. 1947) ha pubblicato in italiano Tawhid. Prospettive dell’Islam nell’ex URSS, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1993. La videocassetta che riproduce la trasmissione di G. Dzemal su Julius Evola è distribuita dalle Edizioni all’insegna del Veltro. Su G. Dzemal, Michel Schneider ha scritto („Nationalisme et République“, 18 settembre 1992) : “Parla il francese come i nostri figli non lo parlano più; altrettanto perfettamente padroneggia il tedesco. Vi può citare, a richiesta, i titoli dei romanzi di Anatole France. Quest’uomo ha la personalità fortissima dei geni… Con facilità e proprietà di linguaggio parla di Islam, di Dio, di metafisica. Dotato di un’intelligenza fuori dal comune e di una presenza fisica imponente, sa recitare su tutti i registri…” Da parte nostra aggiungeremo che Gejdar Dzemal parla anche l’arabo, il persiano e il turco; che conosce i film di Fellini e sa cantare in perfetto italiano le canzoni dello squadrismo fascista. Quanto ai libri di Evola, Dzemal li poté leggere durante il periodo comunista, accedendo con un documento contraffatto al reparto riservato della Biblioteca Lenin di Mosca in cui veniva custodita la “letteratura proibita”.
(2) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Milano 1951, p. 324.
(3) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 323.
(4) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., pp. 323-324.
(5) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 324.
(6) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., pp. 171-172. Cfr. anche J. Evola, La dottrina aria di lotta e vittoria, Padova 1970, p. 15, dove l’idea del jihâd è vista come il “rinascimento di una eredità aria primordiale”, sicché “la tradizione islamica sta qui al posto della ario-iranica”.
(7) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., pp. 172-173. Cfr. anche La dottrina aria di lotta e vittoria, cit., p. 16 e Diorama filosofico, Roma 1974, pp. 307-308.
(8) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., pp. 173-174.
(9) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 180. Cfr. Diorama filosofico, cit., p. 308, dove la seconda massima è data in una forma un po’ differente.
(10) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 174.
(11)J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 193.
(12)Ibidem.
(13)Ibidem.
(14)J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., pp. 52-53.
(15)J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 59.
(16)J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 58.
(17)J. Evola, Il mistero del Graal, Milano 1962, p. 147.
(18)J. Evola, Il mistero del Graal, cit., pp. 147-148.
(19)J. Evola, Oriente e Occidente, Milano 1984, p. 212.
(20)Ibidem.
(21)J. Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma 1974, p. 50.
(22)Introduzione alla Magia, a cura del Gruppo di Ur, Roma 1971, vol. I, p. 71.
(23)Ibidem.
(24)Ibidem.
(25)J. Evola, L’arco e la clava, Milano 1968, p. 108.
(26)Introduzione alla Magia, a cura del Gruppo di Ur, cit., vol. III, p. 281.
(27)J. Evola, Metafisica del sesso, Roma 1969, p. 262.
(28)J. Evola, op. cit., p. 256.
(29)J. Evola, op. cit., p. 257.
(30)J. Evola, op. cit., p. 258.
(31)J. Evola, op. cit., p. 372.
(32)Ibidem.
(33)J. Evola, op. cit., p. 370.
(34)J. Evola, op. cit., p. 134. L’espressione è riportata anche in Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 191.
(35)J. Evola, Metafisica del sesso, cit., p. 134.
(36)M.M. Moreno, Antologia della mistica arabo-persiana, Bari 1951. Si tenga presente che la prima edizione di Metafisica del sesso è del 1958.
(37)J. Evola, op. cit., p. 293.
(38)J. Evola, op. cit., pp. 108-109 e 345.
(39)J. Evola, op. cit., p. 288.
(40)Introduzione alla Magia, a cura del Gruppo di Ur, cit., vol. I, pp. 396-397.
(41)Introduzione alla Magia, a cura del Gruppo di Ur, cit., vol. II, pp. 135-136 e 239.
(42)J. Evola, Il mistero del Graal, cit., p. 173.
(43)Introduzione alla Magia, a cura del Gruppo di Ur, vol. II, pp. 245-278.
(44)J. Evola, La tradizione ermetica, Roma 1971, p. 8.
(45)J. Evola, René Guénon e il “Tradizionalismo integrale”, “La Destra”, a. III, n. 4, aprile 1973, p. 22.
(46)J. Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, cit., p. 212.
(47)J. Evola, I centri iniziatici e la storia, “Vie della Tradizione”, a. I, n. 3, luglio-settembre 1971, p. 120; inserito come cap. XVII nella seconda edizione di L’arco e la clava, Milano 1971, pp. 227-228.
(48)J. Evola, L’arco e la clava, sec. ed., p. 228.
(49)Ibidem.
(50)J. Evola, Il cammino del cinabro, Milano 1963, p. 225. Lo “scambio d’idee” col Burckhardt risale dunque a una data anteriore al 1963.
(51)Ibidem.
(52)Evola infatti aveva esattamente scritto: “Il punto di vista realistico che ho creduto di dover assumere in Cavalcare la tigre mi ha portato, ultimamente, a qualche scontro polemico con ambienti che ancora nutrono delle illusioni (sottolineatura nostra, n.d.r.) sulle possibilità offerte dai ‘residui tradizionali’ esistenti nel mondo d’oggi” (J. Evola, Il cammino del cinabro, cit., ibidem).
(53)J. Evola, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Bari 1949, p. 131.
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