venerdì 26 giugno 2009

IL FIGLIO DELLO SCIÀ DELL'IRAN



Il figlio dello Scià dell'Iran Mohammad-Reza Pahlavi, espulso nel 1979, esorta Israele a sostenere i disordini post-elettorali in Iran, per far cadere il governo di Teheran.
PressTV 24 giugno 2009


Reza Pahlavi Maariv ha detto che Israele dovrebbe sostenere i recenti scontri in Iran dopo la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad a presidente del paese. La stessa esistenza del governo attuale dell’Iran potrebbe portare a un olocausto nucleare, ha detto l'ex principe ereditario, ma ha messo in guardia nei confronti di un attacco israeliano sul paese. Con l'accusa che l'Iran rappresenta una 'minaccia esistenziale' per Israele, Tel Aviv, l'unico possessore di testate nucleari in Medio Oriente, ha ripetutamente minacciato Teheran di un attacco militare al suo programma nucleare. Reza Pahlavi ha detto che qualsiasi attacco militare contro Teheran potrebbe spingere gli iraniani a stare dalla parte del governo, invece, e quindi manderebbe in frantumi le speranze di ogni ripresa dei legami tra Iran e Israele.Iran e Israele avevano stretti legami prima della rivoluzione islamica del 1979, che ha rovesciato la monarchia sostenuta dagli USA. I due tagliarono tutti i rapporti, in seguito alla rivoluzione, con l'Iran che rifiuta di riconoscere Israele come stato.I moti post-elettorale sono stati innescati dopo che il Ministro degli Interni ha dichiarato Mahmoud Ahmadinejad vincitore delle elezioni presidenziali. La capitale, Teheran, e altre città sono state teatro di illegali manifestazioni di protesta contro i risultati delle elezioni. Le manifestazioni hanno provocato disordini senza precedenti in Iran, nel corso degli ultimi nove giorni.La situazione tranquilla, tuttavia, è tornata a Teheran dopo che la polizia ha messo in guardia contro eventuali raduni illegali. Il Ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mottaki e il portavoce del ministero degli Esteri Hassan Qashqavi, hanno criticato alcuni paesi occidentali per la loro ingerenza negli affari interni del paese. Funzionari iraniani hanno accusato i mass media degli Stati Uniti e della Gran Bretagna per aver provocato i recenti disordini post-elettorali in tutto il paese."Voice of America (VOA) e la British Broadcasting Corporation (BBC) sono canali statali e non privati. I loro bilanci sono ratificate dal Congresso degli Stati Uniti, così come dal Parlamento britannico. I due canali fungono da portavoce dei loro rispettivi governi", ha dichiarato Qashqavi. l’Iran dice che i due media hanno drammatizzato la situazione in Iran, fornendo una copertura degli sviluppi nel paese e provocando lo sviluppo delle violenze post-elettorali.Nel corso delle ultime settimane, gli Stati Uniti e un certo numero di paesi europei hanno espresso costernazione per gli ultimi processi politici nel paese. Il ministero degli Esteri iraniano ha convocato gli ambasciatori di Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Repubblica Ceca e Canada, per metterli in guardia dall’interferire negli affari interni del paese.

AR/SC/DT

Traduzione di Alessandro Lattanzio.Alessandro Lattanzio, redattore di Eurasia. Rivista di studi geopolitici, è autore di Terrorismo sintentico, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 2007, e di Dominio globale, Fuoco edizioni, Roma 2009. Anima, inoltre, i seguenti siti di informazione ed analisi:http://www.aurora03.da.ruhttp://www.bollettinoaurora.da.ru


Pubblicato su Eurasia, Rivista geopolitica.

CRISI IRANIANA


Le manifestazioni "pacifiche" e "non violente" hanno causato, ad oggi, l'incendio di almeno 300 banche, il danneggiamento di 300 auto e 300 proprietà pubbliche, la distruzione di 700 costruzioni, l'incendio di diversi luoghi di culto, pompe di benzina, mezzi pubblici, l'assalto a postazioni di polizia, l'uccisione di diversi civili innocenti e di un numero imprecisato di basij. Il Governo ha quantificato i danni provocati dai "manifestanti pro-democrazia", finora, pari a circa 4 milioni di euro. Degna di nota in particolare la vicenda, totalmente ignorata da tutti i mass-media democratici, di due donne, madre e figlia, uccise dai "disobbedienti civili e pacifici" all'interno di un asilo nel quale prestavano servizio lunedì 15 giugno. Le due donne erano tra le sette vittime di quella giornata di tumulti annunciate in serata dai mass-media nostrani, per le quali Mousavi aveva indetto una manifestazione di lutto il giovedì successivo. I familiari delle due innocenti vittime hanno però svolto privatamente i riti funebri, rifiutando la strumentalizzazione politica del loro dolore e denunciando anzi la responsabilità di individui che, per rivendicare i loro presunti diritti negati, hanno intrapreso vie illegali che hanno creato insicurezza e disordine nella capitale. L'indirizzo al sito della notizia, purtroppo in persiano. A ciò va aggiunto che il capo della polizia di Tehran, Azizallah Rajabzadeh, ha dichiarato che nessun poliziotto ha sparato nei giorni scorsi contro i manifestanti, perchè essi non hanno alcuna autorizzazione in tal senso, il loro compito essendo limitato a cariche che impediscano manifestazioni illegali. "Sabotatori armati" sono stati inoltre accusati di aver sparato contro civili sabato scorso, e la polizia ha identificato ed arrestato almeno un uomo armato (nei giorni scorsi diverse perquisizioni avevano portato al rinvenimento di armi ed esplosivi in casa di membri legati ad un movimento controrivoluzionario). La tv iraniana in lingua persiana (IRINN), araba (Al-Alam) e inglese (Press Tv) ha inoltre trasmesso alcune intercettazioni telefoniche e confessioni di militanti dell'organizzazione terrorista "Mojahedin-e Khalq", infiltratisi dall'Iraq e dalla Gran Bretagna per provocare disordini e tafferugli nel paese.Curiosamente l'edizione de "Il Messaggero" di oggi, a pag. 3, riproduce, senza didascalia alcuna, la fotografia di uno dei manifestanti "pro-democrazia" che imbraccia 'pacificamente' un mitra....


Hosseyn Morelli Al-Awda-Italia 23 giugno 2009

Pubblicato su Eurasia splinder.com


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giovedì 25 giugno 2009

Comunicato ANSA 18 Giugno 2009




(ANSA) - ANKARA, 18 GIU -





Nonostante le pressioni interne e internazionali per una verifica della regolarita' del voto presidenziale in Iran, il premier turco Tayyip Erdogan si e' gia' congratulato con Mahmoud Ahmadinejad per la sua vittoria elettorale. Lo riferisce il quotidiano economico Referans.Secondo il giornale, il governo di Ankara aveva scommesso sulla vittoria del leader conservatore, con cui le relazioni diplomatiche in questi anni sono state molto intense. Inoltre, gli esperti turchi non crederebbero che l'accertamento di eventuali irregolarita' potra' cambiare l'esito del voto.

La mano tesa di Obama


La fantasia al potere: le invenzioni della propaganda occidentale contro la Repubblica Islamica dell’Iran :::: 24 Giugno 2009 :::: 10:38 T.U. :::: Analisi - Iran ::::
di Enrico Galoppini*


In questi giorni, a chi segue le notizie provenienti dall’Iran e cerca d’interpretare la portata degli eventi in corso, non sarà sfuggito il totale allineamento pro-“dimostranti” di tutte le opinioni ammesse dal sistema mediatico occidentale. Non solo quello “ufficiale” delle tv e dei giornali ad alta visibilità (garantita dal meccanismo delle rassegne stampa), ma anche di gran parte di quello per così dire “alternativo” dei siti e delle agenzie “pacifiste”. La voce unanime che accomuna tutti costoro è che le elezioni presidenziali iraniane sono state “falsate da brogli” e che gli iraniani vogliono “libertà e democrazia”. E tanto basterebbe per convincere un pubblico naturalmente distratto e non qualificato della bontà dei motivi per cui “gli iraniani” scendono in piazza per protestare contro “il regime”.Tra tutti i motivi messi in giro dalla macchina disinformativa ci ha colpito in particolare quello di chi è giunto – in una sede considerata “autorevole”, gestita da “accademici” - a definire "resistenza" un'organizzazione come quella dei “Mujahidin del Popolo” resasi responsabile di una catena ininterrotta di attentati in tutto l’Iran (v. il famoso "terrorismo" contro cui tutti dovremmo unirci). Forse costoro credono sia giunto il loro momento di gloria? Ci si può documentare facilmente sulle imprese di questa organizzazione e la scia di sangue che sin dall’inizio della Rivoluzione del ’79 ha colpito la Repubblica Islamica dell’Iran. Purtroppo per gli sponsor di questi "resistenti", accolti non molto tempo fa con grandi onori presso il Parlamento Europeo (!) dagli agenti che in quella sede ha il partito americano-sionista, la nuova "rivoluzione colorata" (di verde!) pare già abortita prima di condurre all'agognato abbattimento del "regime". Non ce la possono fare dall'esterno, militarmente, sia perché impantanati in Iraq e Afghanistan, sia perché l'Iran è inattaccabile, iperprotetto ed armato com’è fino ai denti, quindi hanno scelto di giocare la carta della sovversione interna, resa difficilissima però dall'assenza in loco delle ONG delle "rivoluzioni colorate" e delle tv private.La macchina della propaganda occidentale, come detto, va a tutto gas, sempre più patetica e dalla fervida immaginazione. Gli inviati-fotocopia che si dolevano di non poter più "informare" a causa della scadenza dei visti (hanno mai intervistato, questi "professionisti", un sostenitore di Ahmadinejad?) si sono ridotti a smanettare su Facebook e su qualche altro arnese simile alla ricerca dell’ultimo “video-verità”. S’è narrato d’un inesistente "attentato suicida" al mausoleo dell'Imam Khomeyni, sul quale ora, guarda caso, s’allunga postumo lo zolfo della “benevolenza” del Mossad nei mesi che precedettero la rivoluzione (“potevamo ucciderlo, ma non lo facemmo: ne siamo pentiti”, hanno messo in circolazione)... Si sparano cifre tonde di "martiri" senza uno straccio di prova: anche la "martire Neda" presto si rivelerà essere l'ennesima trovata mediatica da affiancare al mitico “cormorano iracheno” inzuppato di petrolio (del Mare del Nord). In apici di sbornia mediatica s’è gridato anche all’acido lanciato dagli elicotteri dei Basij!Le foto che circolano dalla rete anche nei tg dimostrano solo che c'è una “mobilitazione di piazza” dei sostenitori di Moussavi contro Ahmadinejad e quel che rappresenta, in politica interna ed estera. Dimostrano anche che c'è una "repressione". Ma la cosa finisce qui. Perché se i risultati delle elezioni sono veritieri (ed i "brogli" non possono essere dell'ordine dei 30 punti di scarto!), questa operazione si chiama "colpo di Stato". E come ad ogni latitudine le autorità non possono non intervenire per sedare ogni tentativo di questo tipo. Nel “democratico” Occidente, per molto meno, non succederebbe una carneficina (al di là del giudizio su quelle vicende, ci si ricordi di quel che accadde a margine del G8 di Genova)? Si assiste, inoltre, a tentativi di “colonialismo elettorale”; così, sulle prime, i “verdi” hanno sperato di far ripetere le elezioni alla presenza di "osservatori". Ma da quando un Paese sovrano accetta simili imposizioni? Ahmadinejad viene presentato sempre più come un "nuovo Hitler", mentre giganti eurasiatici del calibro di Turchia e Russia, a margine della riunione della Organizzazione della Conferenza di Shanghai gli riconoscono la rielezione (e poi sarebbero loro, due terzi d’Eurasia, che “si isolano”…). Un presidente che è amato dalle classi popolari perché incarna i valori della "tradizione", detestato dalle classi già agiate (simili a quelle mandate a ''spentolare' a Caracas nel 2002, aizzate dalla Cia e dalle tv private) che vorrebbero diventarlo sempre di più! Il Presidente iraniano – nella neolingua dei megafoni dell’informazione – sarebbe addirittura ‘reo' d'aver aumentato pensioni e stipendi, il che ha dato lo spunto, per i soliti in malafede, di dire che "è in campagna elettorale da 3 anni": insomma, non è importante cosa si fa, ma "chi fa cosa"!Quanto al posizionamento dell'Iran in politica estera, un'inversione di rotta farebbe molto comodo a Usa e soci. La linea seguita sin qui è quella giusta, compreso il "nucleare iraniano", che nasconde la vera posta in gioco, quella energetica (quindi, politica con la P maiuscola). Ecco cosa sono gli “studenti e gli operai” di cui vaneggiano vecchie ciabatte dell’”antimperialismo” totalmente a digiuno di geopolitica.Ma chiediamoci: perché tutta questa agitazione intorno all'Iran? Perché il risultato delle elezioni (alle quali ha partecipato l'85% degli aventi diritto, a differenza delle nostre elezioni, che ormai non entusiasmano più nessuno) dovrebbe essere "falsato"? Chi lo dice? Qualche istituto "indipendente"? E chi è che ha l'autorità per ficcare il naso in questo modo in casa d'altri? Noi lo sopporteremmo (in effetti lo facciamo, dal '45 in poi, passando per i "casi" Mattei, Moro, “misteri d’Italia”, servizi cosiddetti "deviati" e "terrorismo rosso” e “stragismo nero", Cermis, Mani Pulite, fino alle ultime uscite su "Papi&Noemi", e la cosa non ci fa molto onore come "popolo italiano"). Insomma, qual è il "problema" con l'Iran? Quale "pericolo" rappresenta per noi? Parliamone, magari in un confronto tra “punti di vista” divergenti così come piace alla retorica “democratica”, così vediamo di chiarire una cosa che altrimenti rischia di non assumere connotati chiari (le manfrine sui "diritti umani" lasciamole perdere, perché chi ne fa uno strumento di pressione in giro per il mondo è il primo che dovrebbe starsene zitto).La verità – oltre al dato geopolitico - è che non si vuol prendere atto da trent'anni che nel 1979 in Iran è avvenuto un evento di quelli che andrebbero studiati sui manuali di Storia, come l'89 della Rivoluzione francese o il '17 della Rivoluzione bolscevica, che a torto o a ragione sono considerate delle date-simbolo. Questo rifiuto di accettare che anche i non europei possano scrivere pagine di "storia universale" è uno dei tanti segni della boria della cosiddetta "civiltà occidentale" e dei suoi rappresentanti. Una cosa è certa: dall'esito di questa situazione in Iran dipenderà molto di quel che resta di speranza, per noi italiani ed europei, di affrancarsi dalla presa del dominio occidentale.



*Enrico Galoppini, saggista e traduttore dall'arabo, diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman, ha lavorato nell’ambito di progetti internazionali (ad es. in Yemen) ed ha insegnato per alcuni anni Storia dei Paesi islamici presso le Università di Torino e di Enna. È nel comitato di redazione della rivista di Studi geopolitici “Eurasia” (www.eurasia-rivista.org). Particolarmente interessato agli aspetti religioso e storico-politico del mondo arabo-islamico, alla storia del colonialismo, all'attualità politica internazionale, ma anche ai viaggi e a fenomeni di costume, collabora o ha collaborato a riviste e quotidiani tra cui "LiMes", "Imperi", "Eurasia", "Levante", "La Porta d'Oriente", "Kervàn", "Africana", "Meridione. Sud e Nord del mondo", "Diorama Letterario", "Italicum", "Rinascita". Tra le sue pubblicazioni: "Il Fascismo e l'Islàm" (Edizioni All'Insegna del Veltro, Parma 2001), Islamofobia (Edizioni All'Insegna del Veltro, Parma 2008).


Pubblicato su "Eurasia", Rivista di Geopolitica



MoviSol - Movimento Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà Newsletter gratuita n. 26/2009


L'Impero Britannico è stato colto con le mani nel sacco, mentre i suoi agenti si adoperavano per trasformare in una sanguinosa "rivoluzione" le proteste (legittime) contro il risultato delle elezioni presidenziali iraniane del 12 giugno. A seguito di numerosi giorni di protesta da parte dei sostenitori del candidato Mir Hossein Mousavi, ufficialmente sconfitto dal presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, il leader religioso supremo Ayatollah Ali Khamenei si è rivolto alla nazione nel discorso del venerdì, il 19 giugno, in cui ha chiesto a tutti i partiti di disciplinarsi, sospendere le proteste e ricorrere alle vie legali per contestare i risultati. Khamenei ha colto l'opportunità per attaccare il nemico storico dell'Iran, la Gran Bretagna, come il "male supremo" tra le nazioni. Ha ammonito che gli agenti dell'impero sono intenzionati a fare ciò che hanno fatto in Georgia, Ucraina e altri paesi, e cioè manipolare la frustrazione giovanile con canali elettronici per farla insorgere contro i governi delle proprie nazioni. I giorni successivi hanno mostrato l'emergere proprio di una tale forza. Mentre svanivano le manifestazioni di massa pacifiche, nelle strade di Teheran comparivano squadre di violenti. Piccoli gruppi di non oltre 100 persone hanno cominciato a bruciare automobili e autobus e hanno attaccato i presidii della milizia Basaji. Domenica 21 giugno, il governo iraniano ha rincarato la dose contro i britannici. Il ministro degli Esteri Manuchehr Mottaki ha sollevato tre capi d'accusa contro il governo di Sua Maestà: 1. Addestramento dei terroristi. 2. Ingerenza nella destabilizzazione in corso a seguito delle elezioni. 3. Diffusione di disinformazione, e 4. Continuazione del ruolo storico di principale nemico della nazione iraniana e dei suoi vicini, compreso il ruolo svolto nel convincere gli USA a invadere l'Iraq con falsi pretesti e nell'aumentare la produzione di droga nei territori afgani controllati dalla Gran Bretagna. Mottaki ha lanciato le sue accuse ad un briefing per diplomatici stranieri tenutosi al ministero degli Esteri. Il giorno precedente, il ministero della sicurezza iraniano aveva annunciato di aver identificato e arrestato un vasto numero di membri dell'Organizzazione Mujaheddin Khalq (MKO), coinvolti nei disordini della capitale. Secondo i funzionari della sicurezza, così come riferito dal canale televisivo iraniano Press TV, i membri arrestati hanno confessato di essere stati addestrati nei campi iracheni di Ashraf per creare caos post-elettorale a Teheran, e di aver ricevuto indicazioni dalla direzione del MKO a Londra. La televisione nazionale iraniana ha trasmesso i nastri di una conversazione telefonica tra una donna a Londra e alcuni degli arrestati, in cui la donna impartiva ordini su dove, come e quando attaccare i bersagli. Domenica, a poche ore dal discorso di Mottaki, le autorità iraniane hanno chiesto al corrispondente della BBC John Leyne di lasciare il paese entro 24 ore. In effetti, la BBC ha organizzato la sua pagina web sull'Iran come war room. I facinorosi hanno usato il sito della BBC per mandare coordinate su dove e quando eseguire gli assalti, e per ricevere istruzioni.

IRAN: Londra nel mirino. Accusata di essere dietro le violenze:::: 22 Giugno 2009 :::: 6:10 T.U. :::: Analisi :::: di Leila Mazboudi*
La storia si ripete, è quello che i dirigenti iraniani sembrano imparare in seguito al movimento di protesta contro la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Ed è la Gran Bretagna che sempre di più si trova nel loro mirino, sospettata di aver ripreso, come in passato, il suo ruolo di perturbatore in Iran, e di essere dietro le violenze scoppiate nelle strade di Teheran. Il primo ad avere suonato l'allarme contro Londra è stato il numero uno, la Guida suprema Sayed Ali Khamenei: "I diplomatici di diversi paesi occidentali, che finora ci hanno parlato con il linguaggio diplomatico hanno dimostrato il loro vero volto, in primo luogo il governo britannico", ha proclamato nel suo discorso di venerdì sulle elezioni presidenziali iraniane, mentre la folla ha gridato "Abbasso la Gran Bretagna". Questa domenica, anche il presidente eletto, Mahmoud Ahmadinejad ha fatto riferimento all’ingerenza inglese e statunitense: "Non entrerete nella cerchia di amici della nazione iraniana tenendo proponimenti frettolosi. Per questo motivo, vi chiedo interrompere la vostra ingerenza." ha scritto sul suo sito web. In precedenza, il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, era andato ben oltre, accusando Londra di aver cospirato contro le elezioni presidenziali. Nel corso di un incontro con i diplomatici, citato dal canale satellitare in lingua inglese "Press TV", aveva osservato che "è da due anni che Londra prepara un siluro contro le elezioni presidenziali iraniane:" Abbiamo notato un afflusso (dalla Gran Bretagna) prima delle elezioni", ha affermato, riferendosi alla presenza di "elementi legati ai servizio segreti britannici". La Gran Bretagna "voleva che nessuno si recasse al voto", "questa era la linea dei media britannici", ha aggiunto. Infatti, questi media hanno, fin dalle prime ore, e senza prove, adottato il punto di vista dei perdenti alle presidenziali, contestando l'esattezza delle cifre ufficiali e pubblicandole prematuramente. Da questo momento viene alla luce tutta l'ampiezza dell’ingerenza britannica, che, quindi, non era limitato ai soli mezzi di informazione. Un ruolo importante è stato assunto nelle recenti dimostrazioni dai membri dell’ “Organizzazione dei Mujahidin del popolo”, vietata in Iran, che sono stati arrestati dai servizi di sicurezza.Secondo il ministero in questione, essi hanno confessato di essere stati addestrati da soldati britannici di stanza in Iraq. Nel corso degli ultimi due anni, diverse reti terroristiche, con l'obiettivo di creare disordini in Iran, erano state smantellate in molte province iraniane, nella provincia araba di Al-Ahwaz, e in quella turcomanna del Balochistan. Essi hanno inoltre confessato di aver legami con il Regno Unito. L'avversione di Londra contro Teheran non è un segreto per nessuno, a causa della vittoria della rivoluzione di Imam Khomeini, il quale è riuscito a detronizzare uno degli alleati pro-occidentali più vicini a Londra (ed anche a Washington). Data la storia di interferenza e cospirazioni pianificate da parte dei vari governi di sua maestà "in questa regione come altrove nel mondo, le accuse iraniane contro l'ex Impero del Sol Levante, sono più plausibili che i dinieghi del segretario degli Esteri britannico, David Miliband, per il quale "il Regno Unito è irremovibile sul fatto che sia il popolo iraniano a scegliere il proprio governo e le autorità iraniane a garantire l'imparzialità dei risultati (elezioni presidenziali) e proteggere i loro concittadini."Nel 1953, è stato il Regno Unito che ha indotto gli Stati Uniti arovesciare il governo popolare di Mossadegh. Aveva deciso di nazionalizzare il settore petrolifero iraniano. Ahmadineajd è stato molto più audace.

martedì 23 giugno 2009

Il Consiglio dei Guardiani



Il Consiglio dei Guardiani dell’Iran sul voto presidenziale:::: 23 Giugno 2009 :::: 8:52 T.U. ::


Il Consiglio dei Guardiani dell’Iran ha suggerito che il numero di voti raccolti in 50 città supera il numero di persone che possono beneficiare del diritto di voto in queste zone.Il portavoce del Consiglio Abbas-Ali Kadkhodaei, che è intervenuto sul Canale 2 della Televisione della Repubblica Islamica dell’Iran (IRIB), Domenica, ha fatto osservazioni in risposta alle denunce presentate da Mohsen Rezaei - un candidato sconfitto alle elezioni presidenziali del 12 giugno."Le statistiche fornite dai candidati, che affermano che oltre il 100% degli aventi diritto al voto hanno espresso uno scrutinio in 80-170 città, non sono precise - l'incidente è avvenuto solo in 50 città", ha detto Kadkhodaei.Kadkhodaei ha inoltre spiegato che l'affluenza alle urne oltre il 100%, in alcune città, è un fenomeno normale, perché non vi è alcuna limitazione per le persone aventi diritto, di votare alle elezioni presidenziali in un'altra città o provincia, in cui viaggiano spesso.Secondo il portavoce del Consiglio dei Guardiani, aree per le vacanze e luoghi come i distretti uno e tre di Teheran non sono separabili.Il portavoce, tuttavia, ha affermato che, sebbene i voti interessati da questo tipo di problema potrebbero essere più di 3 milioni*, essi non pregiudicano l'esito delle elezioni.Egli, tuttavia, ha aggiunto che il Consiglio può, su richiesta dei candidati, ricontare i voti delle urne interessate e determinare "se l'eventuale cambiamento nel riconteggio sia decisivo per i risultati delle elezioni", ha riferito a Khabar online.Tre dei quattro candidati contestano le elezioni presidenziali dello scorso Venerdì, lamentando brogli, una volta che il Ministero degli Interni ha annunciato i risultati - in base al quale il presidente Mahmoud Ahmadinejad è stato dichiarato vincitore con quasi due terzi dei voti.Rezaei, insieme con Mir-Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, hanno segnalato più di 646 'irregolarità' nel processo elettorale e hanno presentato le loro denunce all'organo responsabile per la supervisione delle elezioni – il Consiglio dei Guardiani.Mousavi e Karroubi hanno invitato Venerdì il Consiglio ad annullare il voto e a tenere nuove elezioni. Ciò mentre il Presidente Ahmadinejad e il suo ministro degli Interni, Sadeq Mahsouli, hanno respinto qualsiasi possibilità di frode, affermando che le elezioni sono state libere ed eque.

*Cioè che i tre milioni di voti non sono in più o sono falsi, ma semplicemente espressi da elettori non residenti, come permette la legge elettorale iraniana, (non contestata da nessuno dei candidati, finora). NdT


Pubblicato su Eurasia, Rivista di Geopolitica

Traduzione di Alessandro Lattanzi:



giovedì 18 giugno 2009

I travisamenti occidentali della realtà iraniana




I travisamenti occidentali di fronte alla realtà iraniana.


di George Friedman*.




Nel 1979, quando ancora eravamo giovani e sognatori, in Iràn ebbe luogo una rivoluzione. Quando chiesi agli esperti cosa sarebbe successo, si divisero in due campi.Il primo gruppo d'iranisti sosteneva che lo Scià ne sarebbe senz'altro uscito indenne: i disordini non erano altro che un evento ciclico agevolmente gestibile dalla sua polizia, ed il popolo iraniano sosteneva compatto il programma di modernizzazione promosso dalla monarchia. Questi esperti avevano maturato la loro previsione parlando con gli stessi funzionari e affaristi iraniani con cui colloquiavano da anni: potenti persiani cresciuti nell'opulenza sotto lo Scià e che parlavano inglese, dato che di frequente gl'iranisti non parlavano il farsi molto bene.Il secondo gruppo d'esperti considerava lo Scià un tiranno oppressore, e attribuiva alla rivoluzione l'intento di liberalizzare il paese. Le loro fonti erano professionisti e accademici sostenitori dell'insurrezione: persiani che conoscevano le idee della guida suprema ayatollah Ruholla Khomeini, ma non credevano avesse molto seguito nel popolo. Pensavano che la rivoluzione avrebbe aumentato i diritti umani e la libertà. Gli esperti di questo gruppo parlavano il farsi ancor meno di quelli del primo.

Sentimenti fraintesi in Iràn.

Limitandosi alle informazioni che giungevano dagli oppositori anglofoni del regime, entrambi i gruppi d'iranisti avevano maturato una visione erronea degli esiti della rivoluzione: la rivoluzione iraniana, infatti, non era portata avanti dalla gente che parlava l'inglese. Era fatta dai mercanti dei bazar cittadini, dai contadini, dai chierici: persone che non parlavano agli Statunitensi, non conoscendone la lingua. Questa gente dubitava dei pregi della modernizzazione, e non era per niente certa di quelli del liberalismo; ma fin dalla nascita coltivava le virtù musulmane ed era convinta che lo Stato iraniano dovesse essere uno Stato islamico.Europei e Statunitensi stanno male interpretando l'Iràn da 30 anni. Anche dopo la caduta dello Scià, è sopravvissuto il mito d'un movimento massiccio di popolo che guarderebbe alla liberalizzazione: un movimento che, se incoraggiato dall'Occidente, riuscirebbe alfine a formare una maggioranza e governare il paese. Noi definiamo questo punto di vista “liberalismo iPod”: l'idea che chiunque ascolti rock 'n' roll su un iPod, tenga un blog e sappia cosa significhi “Twitter” debba essere un entusiasta sostenitore del liberalismo occidentale. Ancor più significativo che questa corrente non sia riuscita a capire che i possessori di iPod sono una ristretta minoranza in Iràn – un paese povero, religioso e complessivamente soddisfatto degli esiti della rivoluzione di trent'anni fa.Senza dubbio c'è gente che vorrebbe liberalizzare il regime iraniano. La si può trovare tra le classi professionali di Tehran così come tra gli studenti. Molti parlano inglese, cosa che li rende accessibili a giornalisti, diplomatici e agenti segreti di passaggio. Sono loro quelli che possono parlare agli occidentali; anzi, sono loro quelli che vogliono parlare agli occidentali. E questa gente dà agli occidentali una visione assolutamente distorta dell'Iràn. Possono dare l'impressione che una fantastica liberalizzazione sia a portata di mano. Finché non si capisce che gli anglofoni possessori di iPod, in Iràn, non sono esattamente la maggioranza.Venerdì scorso il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è stato rieletto coi due terzi del voto. I sostenitori dei suoi rivali, dentro e fuori dall'Iràn, sono rimasti basiti. Un sondaggio dava per vincitore l'ex primo ministro Mir Hossein Mousavi. Sarebbe ovviamente interessante meditare su come si possa condurre un sondaggio in un paese dove il telefono non è universalmente diffuso, e fare una chiamata, anche dopo aver trovato un telefono, resta una scommessa. Un sondaggio, perciò, raggiungerebbe probabilmente la gente dotata di telefono che abita a Tehran e nelle altre aree urbane. Probabile che tra questi Mousavi abbia vinto. Ma fuori da Tehran e dalla gente facile da contattare, i numeri sono cambiati parecchio.Alcuni accusano ancora Ahmadinejad di brogli. È possibile che vi siano stati, ma è difficile capire come si possa rubare un'elezione con un margine tanto ampio. Farlo avrebbe richiesto il coinvolgimento d'un numero incredibile di persone, ed avrebbe rischiato di generare numeri palesemente in disaccordo coi sentimenti prevalenti in ciascuna circoscrizione. Brogli su ampia scala implicherebbero che Ahmadinejad abbia manipolato i numeri a Tehran senza alcun riguardo per il voto. Ma ha tanti potenti nemici che l'avrebbero subito rilevato e denunciato. Mousavi insiste ancora d'essere stato frodato, e dobbiamo rimanere aperti alla possibilità che sia così, per quando sia arduo immaginare il meccanismo attraverso cui ciò sarebbe accaduto.

La popolarità di Ahmadinejad

Manca pure un punto cruciale: Ahmadinejad gode di grande popolarità. Non parla delle questioni che interessano i professionisti urbani, ossia economia e liberalizzazione; ma affronta tre problemi fondamentali che interessano il resto del paese.Innanzi tutto, Ahmadinejad parla di religiosità. Entro ampi strati della società iraniana, è cruciale la volontà di parlare genuinamente della religione. Sebbene possa essere difficile da credere per gli Europei e gli Statunitensi, nel mondo ci sono persone per cui il progresso economico non è la cosa fondamentale; persone che vogliono mantenere la loro comunità così com'è, e vivere così come vivevano i loro antenati. Questa gente prova ripulsa per la modernizzazione – che venga dallo Scià o da Mousavi. Essa perdona a Ahmadinejad i suoi fallimenti economici.In secondo luogo, Ahmadinejad affronta la corruzione. Nelle campagne è diffusa la sensazione che gli ayatollah – che hanno enorme ricchezza ed enorme potere, riflessi nel loro stile di vita – abbiano corrotto la Rivoluzione Islamica. Ahmadinejad è inviso a molti in seno all'élite religiosa, proprio perché ha sistematicamente sollevato il problema della corruzione, che risuona nel contado.Infine, Ahmadinejad è un portavoce della sicurezza nazionale iraniana: posizione tremendamente popolare. Va sempre tenuto a mente che l'Iràn negli anni '80 combatté una guerra con l'Iràq che durò 8 anni, cagionando perdite e sofferenze inenarrabili, e di fatto conclusasi con la sua sconfitta. Gl'Iraniani, ed i poveri in particolare, hanno vissuto quella guerra ad un livello molto intimo. La combatterono in prima persona, o vi persero mariti e figli. Come succede in altri paesi, la memoria d'una guerra persa non necessariamente delegittima il regime. Semmai, può generare speranze di rinascita, così da non vanificare i sacrifici bellici: un tasto su cui batte molto Ahmadinejad. Affermando che l'Iràn non deve ridimensionarsi ma diventare una grande potenza, parla ai veterani ed alle loro famiglie, che desiderano veder emergere qualcosa di positivo da tutti i loro sacrifici in epoca bellica.Forse il principale fattore della popolarità di Ahmadinejad è che Mousavi ha parlato per i distretti-bene di Tehran – un po' come correre per le presidenziali statunitensi facendosi portavoce di Georgetown e del Lower East Side. Questa cosa ti segna, e Mousavi ne è uscito segnato. Brogli o no, Ahmadinejad a vinto e pure di tanto. Che abbia vinto non è un mistero; il mistero è come gli altri potessero pensare che non avrebbe vinto.Venerdì, per un tratto, era sembrato che Mousavi fosse in grado di scatenare un'insurrezione a Tehran. Ma il momento è passato quando le forze di sicurezza di Ahmadinejad sono intervenute sulle loro motociclette. E ciò ha lasciato l'Occidente con lo scenario peggiore: un antiliberale democraticamente eletto.Le democrazie occidentali credono che il popolo eleggerà i liberali che tutelano i loro diritti. In realtà, il mondo è più complicato di così. Hitler è l'esempio classico di chi è giunto al potere seguendo la costituzione, e poi l'ha violata. Analogamente, la vittoria di Ahmadinejad è nel contempo il trionfo della democrazia e quello della repressione.

Il futuro: lo stesso, di più

La domanda è ora cos'avverrà in seguito. Internamente, possiamo aspettarci che Ahmadinejad consolidi le sue posizioni sotto la copertura della lotta alla corruzione. Lui vuole ripulire gli ayatollah, molti dei quali sono suoi nemici. Avrà bisogno del sostegno della guida suprema ayatollah Alì Khamenei. Quest'elezione ha fatto di Ahmadinejad un presidente potente, forse il più potente che ci sia mai stato in Iràn dalla rivoluzione. Ahmadinejad non vuole sfidare Khamenei, e la sensazione è che Khamenei non vorrà sfidare Ahmadinejad. Si profila un matrimonio obbligato, che forse metterà in una posizione difficile molti altri capi religiosi.Di certo le speranze che la nuova dirigenza politica ridimensionasse il programma nucleare iraniano sono state annullate. Il campione di quel programma ha vinto, in parte proprio perché se n'è fatto paladino. Riteniamo l'Iràn ancora lontano dallo sviluppare un'arma nucleare utilizzabile, ma di certo la speranze dell'amministrazione Obama che Ahmadinejad sarebbe stato rimpiazzato o quanto meno indebolito e ridotto a più miti ragioni, sono state infrante. È interessante che Ahmadinejad abbia inviato congratulazioni al presidente Barack Obama il giorno della sua investitura. Ci aspetteremmo che Obama ricambi la cortesia, vista la sua politica d'apertura, che il vice-presidente Joe Biden pare aver affermato, assumendo che parlasse per conto di Obama. Non appena la questione dei brogli si sarà risolta, avremo un'idea migliore se la politica di Obama proseguirà (e crediamo che sarà così).Ora abbiamo due presidenti in posizione politicamente sicura, cosa che normalmente garantisce buone basi per negoziati. Il problema è che non si capisce su cosa gl'Iraniani siano pronti a negoziati, né quali concessioni gli Statunitensi siano disposti a dare agl'Iraniani per indurli a negoziare. L'Iràn vuole maggiore influenza in Iràq ed il riconoscimento del suo ruolo di maggiore potenza regionale, cose che gli Stati Uniti non vogliono concedergli. Gli USA vogliono la fine del programma nucleare iraniano, cosa che l'Iràn non vuole accettare.A prima vista, questo sembrerebbe aprire le porte ad un attacco contro le installazioni nucleari iraniane. L'ex presidente George W. Bush non ebbe alcuna voglia di condurre un simile attacco, né l'ha ora Obama. Entrambi i presidenti hanno impedito agl'Israeliani d'attaccare, posto che quest'ultimi abbiano mai voluto farlo davvero.Per ora, le elezioni sembrano aver congelato lo status quo. Né Stati Uniti né Iran sembrano pronti a mosse significative, e non vi sono terze parti che vogliano farsi coinvolgere nella questione, eccettuate le occasionali missioni diplomatiche europee o le minacce russe di vendere qualcosa all'Iràn. Alla fin fine, ciò dimostra quel che sappiamo da molto: il gioco è bloccato sul posto, e va avanti.

(traduzione di Daniele Scalea)


* George Friedman è direttore di “Stratfor” (www.stratfor.com), da cui è stato tratto quest'articolo pubblicato originariamente il 15 giugno 2009

Pubblicato su Eurasia, Rivista di studi geopolitici

martedì 16 giugno 2009

IL POPOLO IRANIANO PARLA


Il popolo iraniano parla :::: 16 Giugno 2009 :::: 3:17 T.U. :::: Analisi :::: Ken Ballen - Patrick Doherty
di Ken Ballen e Patrick Doherty

*I risultati elettorali in Iran potrebbero riflettere la volontà del popolo iraniano. Molti esperti stanno sostenendo che il margine di vittoria del presidente in carica, Mahmoud Ahmadinejad, è stato il risultato di frodi o manipolazioni, tuttavia il nostro sondaggio dell’opinione pubblica iraniana a livello nazionale tre settimane prima del voto mostrava Ahmadinejad in testa con un margine di oltre 2 a 1 – superiore a quello con cui apparentemente ha vinto nelle elezioni di tre giorni fa.Mentre i servizi giornalistici da Tehran nei giorni che hanno preceduto il voto rappresentavano una opinione pubblica iraniana entusiasta del principale avversario di Ahmadinejad, Mir Hossein Mussavi, il nostro campionamento scientifico in tutte e 30 le province dell’Iran mostrava Ahmadinejad in testa di parecchio.I sondaggi nazionali indipendenti e non censurati dell’Iran sono rari. Di solito, i sondaggi preelettorali vengono condotti o monitorati dal governo, e sono notoriamente inaffidabili. Invece, il sondaggio realizzato dalla nostra organizzazione no profit dall’11 al 20 maggio era il terzo di una serie negli ultimi due anni. Condotto per telefono da un Paese confinante, le rilevazioni sul campo sono state eseguite in Farsi da una società di sondaggi il cui lavoro nella regione per conto di ABC News e della BBC ha ricevuto un Emmy Award. Il nostro sondaggio è stato finanziato dal Rockefeller Brothers Fund.L’ampiezza del sostegno per Ahmadinejad era evidente nel nostro sondaggio preelettorale. Nel corso della campagna elettorale, ad esempio, Mussavi ha sottolineato la sua identità di azero, il secondo gruppo etnico in Iran dopo quello dei persiani, per cercare di accattivarsi gli elettori azeri. Il nostro sondaggio indica, tuttavia, che gli azeri preferivano Ahmadinejad a Mussavi nel rapporto di due contro uno.Gran parte dei commenti hanno rappresentato i giovani iraniani e Internet come precursori del cambiamento in queste elezioni. Ma il nostro sondaggio ha scoperto che solo un terzo degli iraniani hanno accesso a Internet, mentre, di tutti i gruppi di età, quello dei giovani fra i 18 e i 24 anni comprendeva il blocco di voti più forte a favore di Ahmadinejad.Gli unici gruppi demografici nei quali Mussavi era in testa o competitivo rispetto ad Ahmadinejad, secondo i risultati del nostro sondaggio, erano gli studenti universitari e i laureati, e gli iraniani con la fascia di reddito più alta. Quando è stato realizzato il nostro sondaggio, inoltre quasi un terzo degli iraniani erano ancora indecisi. Tuttavia, le distribuzioni di riferimento che abbiamo trovato allora rispecchiano i risultati riferiti dalle autorità iraniane, il che indica la possibilità che il voto non sia il prodotto di frodi diffuse.Alcuni potrebbero argomentare che il sostegno dichiarato per Ahmadinejad da noi rilevato riflettesse semplicemente la riluttanza degli intervistati impauriti a fornire risposte oneste ai rilevatori. Tuttavia, l’integrità dei nostri risultati è confermata dalle risposte politicamente rischiose che gli iraniani erano disposti a dare a un sacco di domande. Ad esempio, quasi quattro iraniani su cinque – compresa la maggioranza dei sostenitori di Ahmadinejad – hanno detto di voler cambiare il sistema politico per avere il diritto di eleggere la Guida Suprema, che attualmente non è soggetta al voto popolare. Analogamente, gli iraniani hanno definito libere elezioni e una libera stampa come le loro priorità più importanti per il governo, praticamente alla pari con il miglioramento dell’economia nazionale. Non propriamente risposte "politically correct" da esprimere pubblicamente in una società generalmente autoritaria.Anzi, e coerentemente in tutti e tre i nostri sondaggi nel corso degli ultimi due anni, più del 70 % degli iraniani si sono detti favorevoli a dare pieno accesso agli ispettori sugli armamenti, e a garantire che l’Iran non sviluppi o possieda armi nucleari, in cambio di aiuti e investimenti esterni. E il 77 % degli iraniani era favorevole a rapporti normali e commercio con gli Stati Uniti, un altro dato in accordo con i nostri risultati precedenti.Gli iraniani considerano il loro sostegno a un sistema più democratico, con rapporti normali con gli Stati Uniti, in armonia con il loro appoggio ad Ahmadinejad. Non vogliono che lui continui con le sue politiche intransigenti. Invece, gli iraniani apparentemente considerano Ahmadinejad il loro negoziatore più tosto, la persona meglio posizionata per portare a casa un accordo favorevole – una sorta di Nixon persiano che va in Cina.Le accuse di frodi e manipolazioni elettorali serviranno a isolare ulteriormente l’Iran, e probabilmente ne aumenteranno la belligeranza e l’intransigenza nei confronti del mondo esterno. Prima che altri Paesi, compresi gli Stati Uniti, saltino alla conclusione che le elezioni presidenziali iraniane sono state fraudolente, con le conseguenze serie che accuse di questo tipo potrebbero portare, essi dovrebbero valutare tutte le informazioni indipendenti. Potrebbe darsi semplicemente che la rielezione del presidente Ahmadinejad sia quello che voleva il popolo iraniano.Ken Ballen è presidente di "Terror Free Tomorrow: The Center for Public Opinion", un istituto senza fini di lucro che si occupa di ricerche sugli atteggiamenti nei confronti dell’estremismo. Patrick Doherty è vice direttore dell’Fo"American Strategy Program" presso la "New America Fundation". Il sondaggio condotto dai due gruppi dall’11 al 20 maggio si basa su 1.001 interviste in tutto l’Iran, e ha un margine di errore di 3,1 punti percentuali.Traduzione di Ornella Sangiovanni per Osservatorio IraqFonte: http://www.washingtonpost.com/Titolo originale: "The Iranian People Speak"15.06.2009

Pubblicato sul sito di Eurasia, Rivista di studi geopolitici

lunedì 15 giugno 2009

Obama e i secondi fini della mano tesa ai musulmani


Il discorso di Al-Azhar: Obama e i secondi fini della mano tesa ai musulmani :::: 15 Giugno 2009 :::: 4:00 T.U. :::: Analisi - USA - Scontro di civiltà - V. e M. Oriente :::: Thierry Meyssan
di Thierry Meyssan.
*Il presidente degli Stati Uniti ha teso la mano ai musulmani nel suo discorso molto mediatizzato del Cairo. La sua intenzione è di voltare così la disastrosa pagina della « crociata » di Bush nel Grande Medio Oriente. Tuttavia, in questo esercizio di pubbliche relazioni, i voli pindarici hanno sostituito i necessari chiarimenti, mentre saltavano fuori i nuovi appetiti di Washington.
15 Giugno 2009


Il discorso che il presidente Obama ha pronunciato il 4 giugno al Cairo [1] è stato presentato in anteprima dai servizi di comunicazione della Casa Bianca come « fondante di una nuova era ». E’ stato oggetto di un’intensa campagna promozionale che si è conclusa con una mail indirizzata da David Axelrod alle decine di milioni di abbonati alla lista della Casa Bianca [2]. In essa il consigliere per l’immagine di Barack Obama ha invitato gli Statunitensi a visionare il video del discorso che, secondo lui, segna un nuovo punto di partenza nelle relazioni dell’America con il mondo musulmano [3]. Lo si è ben capito: questo discorso è rivolto altrettanto, se non maggiormente, agli elettori USA rispetto ai musulmani.Il suo messaggio principale può essere così riassunto : gli Stati Uniti non considerano più l’islam come il nemico e desiderano stabilire con gli Stati musulmani delle relazioni di mutuo interesse. Questo messaggio dev’essere preso per quello che è : uno slogan da pubbliche relazioni.Esaminiamo punto per punto questo discorso.Preambolo : amateci ! In una lunga introduzione, l’oratore ha sviluppato il suo messaggio principale di mano tesa.Barack Hussein Obama ha giustificato con la sua personalità la rottura con il suo predecessore. Ha offerto al suo uditorio un momento d’emozione come si ama fare nei film hollywoodiani. Ha raccontato di suo padre, musulmano, della sua adolescenza in Indonesia — il paese musulmano più popoloso del mondo — e del suo lavoro sociale a Chicago presso popolazioni nere musulmane. Così, dopo averci fatto credere che la politica estera degli Stati Uniti è fondata sul colore della pelle del suo presidente, ci vogliono convincere che essa riflette il suo percorso individuale. Eppure nessuno pensa che Obama sia un autocrate in grado di imporre i suoi stati d’animo. Ognuno è conscio che la politica di Washington è il frutto di un difficile consenso tra le sue elite. Nel caso specifico, il cambiamento di retorica è imposto da una successione di fallimenti militari in Palestina, nel Libano, in Iraq e in Afghanistan. Gli Stati Uniti non considerano più i popoli musulmani come loro nemici perché non sono arrivati a schiacciarli. Questo realismo aveva portato nel 2006 alla rivolta dei generali attorno a Brent Scowcroft, che aveva deplorato la fallita colonizzazione dell’Iraq e messo in guardia contro un disastro militare contro l’Iran. Era continuato con la Commissione Baker-Hamilton che aveva fatto appello per trattare con la Siria e con l’Iran al fine di uscire a testa alta dal fiasco iracheno. Questo realismo aveva costretto il presidente Bush a silurare Donald Rumsfeld e a sostituirlo con Robert Gates, figlio spirituale di Scowcroft e membro della Commissione Baker-Hamilton. Questo realismo si era incarnato nella pubblicazione del rapporto delle agenzie dei servizi segreti che aveva attestato l’inesistenza di un programma nucleare militare iraniano e aveva così distrutto ogni possibile giustificazione di una guerra contro l’Iran.Comunque, in questo grande amore ritrovato, il presidente Obama si è presentato come appassionato di storia e ha snocciolato gli apporti della civiltà musulmana al mondo. Nei film hollywoodiani c’è sempre una sequenza sulla diversità culturale che ci arricchisce. Tuttavia, la messa in scena ha puntato sulla desolante ignoranza del pubblico USA. Obama e la sua squadra hanno ridotto l’apporto dei popoli oggi musulmani alle invenzioni posteriori alla loro islamizzazione. Prima non avevano creato niente ? Scegliendo di ridurre la storia dei popoli musulmani solo al loro periodo islamico, Barack Obama ha negato qualche millennio di civiltà e ha ripreso per suo conto la retorica dei più oscurantisti islamisti. Vedremo che qui non si tratta di un errore, ma di una scelta strategica. Infine, il presidente Obama ha calato la sua carta principale chiamando i suoi uditori a ripensare la loro immagine degli Stati Uniti. « Noi siamo formati da ogni cultura, usciti dai quattro angoli del mondo e siamo conquistati da un semplice concetto : E pluribus unum : « Da parecchi popoli, uno solo » », ha dichiarato. Questo motto, che doveva esprimere l’unità delle colonie americane appena resesi indipendenti, diviene oggi quello dell’Impero globalizzato. Solo che gli Stati Uniti non considerano più i popoli musulmani come dei nemici, ma intendono integrarli nell’Impero globale. Del resto, è la ragione per cui la classe dirigente di Washington ha sostenuto la candidatura di Barack Hussein Obama. Il nome musulmano del presidente, come il colore della sua pelle, sono degli argomenti per convincere i popoli dell’Impero che il potere che li domina assomiglia a loro. Quando ebbe esteso il suo impero, Roma antica fece la stessa cosa, scegliendo i suoi imperatori in contrade lontane, come Filippo l’Arabo [4]. La brutalità delle legioni non era però mutata. 1- La guerra globale al terrorismo. Dopo questa mielosa sviolinata, il presidente Obama ha cominciato a collegare la sua introduzione con la « guerra globale al terrorismo ». Ha dunque stabilito una distinzione tra l’Islam, che non è malvagio come pensavano Bush e Cheney, ma buono e gli estremisti che, a torto, si rifanno ad esso e restano sempre malvagi. Il pensiero resta manicheo, ma il cursore è spostato. Il problema è che da otto anni Washington si sforza di costruire un avversario della sua dimensione. Dopo l’URSS, il nemico era l’Islam. Al contrario, se né i comunisti né i musulmani sono i nemici, contro chi sono in guerra gli Stati Uniti ? Risposta : « Al-Qaïda ha scelto di ucciderli senza pietà, di rivendicare gli attentati e oggi riafferma ancora la sua determinazione a commettere altri assassinii su scala di massa. Questa rete ha membri in numerosi paesi e tenta di allargare il suo raggio d’azione. Qui non si tratta di opinioni da dibattere – sono fatti da combattere ». E no, signor presidente, qui non ci sono fatti accertati, ma imputazioni che devono essere dibattute [5]. Barack Obama continua : « Noi non chiederemmo di meglio che di rimpatriare tutti i nostri soldati, fino all’ultimo, se avessimo la sicurezza che l’Afghanistan e ora il Pakistan non ospitano elementi estremisti determinati ad uccidere il maggior numero possibile di Americani. Ma non è ancora così. » A questo punto, il presidente sembra chiudersi in un circolo vizioso. Spiega che i nemici non sono i musulmani in generale, ma un pugno di individui non rappresentativi, poi afferma che questo pugno di individui deve essere combattuto facendo delle guerre contro dei popoli musulmani. Il problema è tutto qui : Washington vorrebbe essere amica dei musulmani, ma ha bisogno di un nemico per giustificare le sue azioni militari e, per il momento, non ha trovato un capro espiatorio sostitutivo. 2- Il conflitto arabo-israeliano. Barack Obama ha affrontato la questione della Palestina in modo molto più ampio dei suoi predecessori, riconoscendovi non solo un conflitto israelo-palestinese, ma arabo-israeliano. Ma non ha precisato quale sia, secondo lui, il coinvolgimento degli Stati arabi. Ha predicato con autorità per la « soluzione a due Stati », ma eludendo l’incresciosa questione della natura di questi due Stati. Si tratta di due Stati sovrani e democratici nel senso reale del termine oppure di uno Stato per gli Ebrei e di un altro per i Palestinesi come rivendica la « sinistra » israeliana, il che implica una pulizia etnica e l’istituzionalizzazione completa dell’apartheid ? [6]Invece di togliere le incertezze, il presidente Obama ha preferito offrire al suo uditorio una nuova « scena commovente » nella quale ha espresso la sua compassione di fronte alle sofferenze dei Palestinesi. Di certo è stato il momento più abietto del suo discorso : l’appello ai buoni sentimenti delle vittime per coprire i crimini dei carnefici. Egli ha dichiarato : « I Palestinesi devono rinunciare alla violenza. La résistenza sotto forma di violenza e di massacri non porterà a niente. Quand’erano schiavi, i Neri in America hanno sofferto la frusta e poi l’umiliazione della segregazione. Ma non è stata la violenza a permettere loro di ottenere, alla fine, l’eguaglianza di diritti nella sua pienezza. È stata la ferma e pacifica perseveranza negli ideali al centro stesso della creazione dell’America. Questa stessa storia può essere raccontata da alcuni popoli dal Sudafrica all’Asia meridionale ; dall’Europa orientale all’Indonesia. È una storia con una semplice verità : la violenza non porta da nessuna parte. Lanciare razzi contro dei bambini israeliani che dormono o uccidere donne anziane in un autobus non è un segno di coraggio né di forza.» Barack Obama fa la caricatura della Resistenza nei termini della propaganda sionista : razzi lanciati contro bambini addormentati e donne anziane uccise in un autobus. Egli riconosce che le loro terre e le loro case sono occupate, ma vieta ai Palestinesi la volontà di riprenderle con la forza ai civili che le occupano. Rimprovera ai Palestinesi di non utilizzare missili guidati per raggiungere bersagli militari e di accontentarsi di razzi artigianali che cadono alla cieca. Ma il peggio sta altrove. Il presidente Obama si mette a dare lezioni. Chiede alle vittime di rinunciare alla violenza e consiglia loro di prendere esempio dal movimento dei Neri statunitensi per i diritti civili. Dopotutto, non fu convertendo i Bianchi che King ottenne dei risultati, ma chiamando a testimone l’opinione pubblica internazionale. Il presidente Johnson si trovò allora costretto a cedere per fare bella figura di fronte all’URSS. Dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la pace, Martin Luther King continuò la lotta affermando che il suo scopo non era permettere ai Neri di prestare servizio nell’esercito in modo eguale ai Bianchi per uccidere i Vietnamiti che aspiravano alla libertà. Fu dopo il suo sermone di Ryverside che Johnson gli chiuse la porta della Casa Bianca e i capi del FBI decisero di farlo assassinare. Indubbiamente, se fosse ancora vivo, oggi direbbe che lo scopo non è permettere ad un Nero di accedere alla Stanza ovale per uccidere degli Iracheni o dei Pakistani che aspirano alla libertà. 3- La denuclearizzazione. Evocando le difficili relazioni con l’Iran, il presidente Obama ha scelto di uscire volando alto dalla polemica sull’arma nucleare. Dopo aver riconosciuto il diritto dell’Iran di dotarsi di un’industria nucleare civile ed ammesso che né gli Stati Uniti né nessun’altra potenza hanno l’autorità morale per autorizzare o vietare ad uno Stato il possesso della bomba, egli si è pronunciato per un disarmo nucleare globale, coinvolgendo implicitamente anche Israele. Sappiamo che il Pentagono non ha più i mezzi finanziari necessari per mantenere la corsa agli armamenti nucleari e su tale questione tratta con la Russia e con la Cina. Questo non deve essere interpretato come uno slancio pacifista, in quanto il Pentagono conduce contemporaneamente delle ricerche sulle armi atomiche miniaturizzate (escluse dal trattato di non proliferazione) e rafforza le sue alleanze militari, tra cui la NATO. 4- La democrazia. Il presidente Obama ha deplorato che il suo predecessore abbia creduto possibile esportare la democrazia in Iraq con la forza, poi si è prodigato in un elogio del governo del popolo attraverso il popolo e dello stato di diritto. La cosa è stata divertente per quelli che si ricordano che la Costituzione degli Stati Uniti non riconosce la sovranità popolare e che, nel 2000, la Corte suprema proclamò eletto George W. Bush prima che lo scrutinio della Florida fosse ultimato. Provenendo da un politico astuto che ha appena confermato la sospensione delle libertà fondamentali con il Patriot Act, in particolare la sospensione dell’habeas corpus che descriveva come la base della Giustizia, il discorso ha avuto l’aria di una farsa. È sembrato crudele agli Egiziani che non hanno avuto il privilegio di far parte dei 3.000 invitati. Quando Obama dichiara « bisogna mantenere il potere con il consenso del popolo e non con la coercizione », egli pensa al presidente Mubarak, inamovibile da ventotto anni. Quando Obama continua « bisogna rispettare i diritti delle minoranze e partecipare, in uno spirito di tolleranza e di compromesso », egli pensa agli allevatori copti le cui bestie sono state abbattute. Per evitare che questo passaggio fosse turbato da nervose risate irrefrenabili, una voce anonima ha gridato nella sala : « Barack Obama, vi amiamo ! ». Mancava solo una bambina con un mazzo di fiori in mano. 5- La libertà religiosa. Barack Hussein Obama si è trovato particolarmente a suo agio sul capitolo della libertà religiosa. Il fatto è che si tratta di uno slogan ben rodato. Da due anni, Madeleine Albright ha preparato questo momento. Ha osservato che la resistenza all’imperialismo statunitense è spesso strutturata da gruppi religiosi, come Hezbollah in Libano o Hamas in Palestina. Ne ha dunque concluso che gli Stati Uniti non devono più lasciare senza sorveglianza questo campo e devono inoltre investirlo totalmente. In un’opera dedicata a tale argomento, ella preconizza di fare di Washington la protettrice di tutte le religioni [7]. In quest’ottica, il presidente Obama ha evocato le minoranze cristiane, Copti e Maroniti. Poi ha fatto appello alla riconciliazione in seno all’islam dei Sunniti e degli Sciiti. È anche in quest’ottica che ha trascurato la storia pre-islamica dei popoli musulmani. 6- I diritti delle donne. Con piacere, Barack Hussein Obama si è preso il lusso di ricordare che il suo paese garantisce alle donne musulmane il diritto di portare l’hijab, mentre Nicolas Sarkozy lo ha fatto proibire nelle scuole francesi all’epoca in cui voleva essere più neoconservatore di Bush [8]. E, mentre parlava, il sito internet della Casa Bianca esponeva un articolo speciale che attestava la giurisprudenza americana. Con abilità, egli ha ricordato che gli Stati musulmani sono a volte in vantaggio in materia di diritti delle donne. " In Turchia, in Pakistan, nel Bangladesh e in Indonesia, abbiamo visto dei paesi a maggioranza musulmana eleggere alla loro testa una donna, mentre la lotta per l’eguaglianza delle donne continua in molti aspetti della vita americana e nei paesi del mondo intero." 7- Lo sviluppo economico. Conservata per il finale, la questione dello sviluppo economico è stata la più riuscita. Abitualmente le grandi potenze scambiano un aiuto immediato contro vantaggi sproporzionati a lungo termine. L’aiuto allo sviluppo è allora il cavallo di Troia del saccheggio delle risorse. Tuttavia, durante la campagna elettorale, è stato concluso un accordo bi-partisan sul nuovo orientamento della politica estera degli Stati Uniti. L’idea principale, espressa dalla Commissione Armitage-Nye, è quella di conquistare i cuori e le menti offrendo dei servizi che trasformano la vita delle persone senza costare granché [9]. Hillary Clinton vi ha fatto esplicito riferimento nell’audizione senatoriale per la sua conferma a segretario di Stato. Sfoggiando il sorriso di Babbo Natale, Barack Obama ha recitato un catalogo di promesse incantatrici. Ha continuato : « Nomineremo nuovi emissari per le scienze incaricati di collaborare a programmi che metteranno a punto nuove fonti d’energia, creeranno lavori verdi, informatizzeranno registri ed archivi, depureranno l’acqua e produrranno nuove coltivazioni. Nel campo della sanità, a livello mondiale, annuncio oggi una nuova iniziativa con l’Organizzazione della conferenza islamica per sradicare la polio ed intensificheremo le nostre compartecipazioni con comunità musulmane per migliorare la sanità materna ed infantile. » Non dimentichiamoci gli impegni del Vertice del Millennio quando il presidente Bill Clinton annunciò l’imminente fine della povertà e della malattia. Il presidente degli Stati Uniti ha concluso il suo discorso fiume citando il Corano, il Talmud e i Vangeli. Il loro messaggio si riassumerebbe nel fatto che « Gli abitanti del mondo possono coabitare in pace. Sappiamo che questa è la visione di Dio. Ora è il nostro compito su questa Terra ». Questo triplice riferimento è stato forse imposto dal luogo, la più prestigiosa delle università islamiche. Può anche essere che esso traduca un certo smarrimento. In piena recessione economica, gli Stati Uniti non hanno più i mezzi per mantenere la loro pressione sui campi petroliferi del Grande Medio Oriente — a maggior ragione, essi non hanno i mezzi per realizzare le promesse del giorno —. Tuttavia, essi sperano di ricostruire prossimamente la loro potenza. Nella fase attuale, devono dunque congelare ogni evoluzione regionale che potrebbe essere solo a loro svantaggio. In particolare, temono l’estensione dell’influenza turca e iraniana e l’irruzione della Russia e della Cina nella regione. Definire la pace in termini religiosi e non politici è pur sempre guadagnare del tempo. Traduzione dal francese eseguita da BelgicusLa versione araba di questo articolo è stata pubblicata dal quotidiano Al-Binaa (Libano, Siria).* Analista politico, fondatore del Réseau Voltaire. Ultimo libro pubblicato : L’Effroyable imposture 2 (le remodelage du Proche-Orient et la guerre israélienne contre le Liban).--------------------------------------------------------------------------------[1] « Discours de Barack Obama à l’université Al-Azhar du Caire », Réseau Voltaire, 4 giugno 2009.[2] « A New Beginning - Watch the President’s Speech », di David Axelrod, 4 giugno 2009.[3] Video disponibile sul sito della Casa Bianca.[4] Filippo l’Arabo era siriano. Fu imperatore di Roma dal 244 al 249.[5] Il segretario di Stato Colin Powell si era impegnato a presentare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite un rapporto sugli attentati dell’11 settembre 2001 che stabiliva che gli USA erano stati vittime di un’aggressione dall’esterno. Quel documento non è mai stato prodotto. Le sole informazioni conosciute sono state rilasciate dalle autorità USA le quali hanno pure accusato l’Afghanistan, poi l’Iraq ed invocato la legittima difesa per attaccarli. Vedi L’Effroyable imposture di Thierry Meyssan, 2002, ripubblicato da Demi-lune nel 2007.[6] « La "solution à deux États" sera bien celle de l’apartheid », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 13 gennaio 2008. [7] The Mighty and the Almighty : Reflections on Faith, God and World Affairs, di Madeleine Albright, Pan Books, 2007, 324 pp. Va apprezzato il gioco di parole inglese : "Il potente e l’onnipotente" designano il presidente USA e Dio. Versione francese : Dieu, l’Amérique et le monde, Salvator, 2008, 369 pp.[8] « Nicolas Sarkozy agite le voile islamique », Réseau Voltaire, 19 gennaio 2004.[9] « Washington décrète un an de trêve globale », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 3 dicembre 2007.Voltaire, édition internationale

Pubblicato sul sito di Eurasia, Rivista di Studi geopolitici.

sabato 13 giugno 2009

La Libia e il Mediterraneo




La Libia e il Mediterraneo:::: 11 Giugno 2009 :::: 11:56 T.U. :::: Analisi - Libia :::: Claudio Mutti

Nel X secolo, il geografo arabo Ibn Hawkal, nell'opera Kitâb al-masâlik wa 'l-mamâlik ("Il libro degli itinerari e dei regni") chiama il Mediterraneo Bahr ar-Rûm ("Mare dei Romani", cioè dei Bizantini e dei popoli dell'Europa cristiana). Fino al XIX secolo, gli Arabi hanno indicato il Mediterraneo come Bahr ar-Rum, oppure come Bahr ash-Shâm ("Mare della Siria", vale a dire "della Siria e del Libano"). Nel 1848, in un'opera dello scrittore egiziano Refâ'at at-Tahtawî (Takhlîs al-ibrîz fi talkhîs Bârîs, "Raffinazione dell'oro puro nel resoconto da Parigi"), compare una nuova definizione: al-Bahr al-Abyad al-Mutawassit, "Mare Bianco Intermedio". Questa denominazione araba vuole esprimere la medesima idea di medietà, di centralità e di appartenenza comune che sta all'origine dell'aggettivo latino mediterraneus, -a, -um. Ci troviamo così di fronte a un importante mutamento di prospettiva nella visione araba del Mediterraneo, che nell'Ottocento comincia ad essere considerato come un mare "che sta in mezzo" a due sponde e a due civiltà. E' stato detto che nella teoria e nella prassi politica degli Stati arabi la prospettiva mediterranea è assente, e che solo paesi filoccidentali come la Tunisia di Burghiba e l'Egitto di Sadat hanno manifestato, in una certa misura, una visione mediterranea. Per spiegare questa renitenza araba a concepire una dimensione geopolitica mediterranea, sono state addotte due spiegazioni.Si è detto che i paesi arabi, essendo stati oggetto di una colonizzazione esercitata in parte da potenze mediterranee (Spagna, Francia, Italia) o comunque arrivate da nord attraverso il Mediterraneo (Inghilterra), hanno girato le spalle al Mediterraneo per riconfermare un'appartenenza continentale e un'identità culturale che li distinguessero dall'Europa. Insomma, pensarsi come mediterranei avrebbe significato, per gli Arabi, condividere una rappresentazione legata al passato coloniale. Non a caso i colonizzatori francesi dell'Algeria dicevano che "il Mediterraneo attraversa la Francia come la Senna attraversa Parigi"; e gl'Italiani, analogamente, che "la Libia è separata dall'Italia soltanto dal Mediterraneo, così come le due parti di Roma sono separate dal Tevere".Gheddafi esprime una visione molto diversa, allorché dichiara testualmente: "La terra libica araba non è mai stata la quarta sponda dell'Italia, così come non sarà mai una parte dell'Europa" (Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu'ammar al-Qadhdhâfî, "Registro Nazionale, Dichiarazioni, discorsi e interviste del colonnello Mu'ammar Gheddafi", vol. annuo, n. 17, 1985-1986, Centre Mondial des Etudes et Recherches du Livre Vert, Tripoli 1986, p. 949).Tuttavia Gheddafi non si ferma qui. L'idea di una contrapposizione tra l'Europa e il mondo arabo viene superata dall'idea di un condominio euro-arabo del Mediterraneo, un condominio che deve essere esercitato soltanto dall'Europa e dai paesi arabi rivieraschi. "Il Mediterraneo - diceva Gheddafi una ventina d'anni fa - è un mare condiviso tra Arabi ed Europei. Quanto agli intrusi, questi lo devono abbandonare. (...) I sionisti sono degli intrusi e devono abbandonare questa regione, come pure sono degli intrusi gli americani, che devono andarsene dal Mediterraneo" (Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu'ammar al-Qadhdhâfî, "Registro Nazionale, Dichiarazioni, discorsi e interviste del colonnello Mu'ammar Gheddafi", vol. annuo, n. 17, 1985-1986, Tripoli 1986, Centre Mondial des Études et Recherches du Livre Vert, p. 948).E ancora: "La Libia si è associata ai paesi che esigono che il Mediterraneo sia libero dalla presenza di flotte straniere, in modo che esso ridiventi un mare di pace al servizio di tutti i popoli rivieraschi" (Kadhafi, messager du désert, Biographie et entretiens par Mirella Bianco, Stock, Paris 1974).Non si può negare che Gheddafi sia stato coerente rispetto a queste dichiarazioni di oltre trent'anni fa. Nel 1995 ha rifiutato il partenariato euro-mediterraneo della Conferenza di Barcellona, perché vi era stato chiamato a partecipare lo "Stato d'Israele" e aderirvi avrebbe significato riconoscere l'occupazione della Terra Santa. Ancora nel luglio di quest'anno,si è pronunciato in maniera molto recisa contro la cosiddetta "Unione per il Mediterraneo" lanciata da Sarkozy. Il quale, come è noto, vorrebbe procedere all'istituzione di un partenariato euro-mediterraneo che coinvolgesse i 27 Stati membri dell'Unione Europea, quelli che aspirano ad entrarvi (Albania, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro), il Principato di Monaco, la Turchia, i Paesi arabi della sponda orientale e meridionale del Mediterraneo, fino alla Mauritania, nonché lo "Stato d'Israele".Ma l'Unione per il Mediterraneo, ideata da un presidente francese che ha seppellito il gollismo riportando la Francia nella NATO e la NATO in Francia, nascerebbe innervata dalle istituzioni e dalle infrastrutture militari di un'alleanza militare controllata dagli Stati Uniti.Ebbene Gheddafi, nonostante il riavvicinamento della Libia agli Stati Uniti e nonostante l'accordo di cooperazione militare-industriale, culturale, scientifica e tecnica siglato un anno fa con la Francia (accordo che tra l'altro dovrebbe fornire alla Libia un reattore nucleare per trasformare l'acqua marina in acqua potabile), è stato molto duro nei confronti dell'iniziativa francese, individuando in essa un cavallo di Troia statunitense, con l'Europa ridotta, more solito, a un ruolo subalterno. Tra l'altro, la Libia condanna l'esclusione dell'Unione del Maghreb Arabo dal progetto di Unione del Mediterraneo e vorrebbe che fosse questo organismo unitario a rappresentare ufficialmente tutti i paesi del Maghreb nelle sedi internazionali. Una esplicita freddezza, d'altronde, e probabilmente per motivi analoghi, è stata manifestata anche dall'Algeria, nonché da un altro paese mediterraneo che si va lentamente e cautamente svincolando dalla tutela statunitense, cioè la Turchia. Questa aspirazione alla libertà del Mediterraneo dall'intrusione straniera, con le acute tensioni che hanno contrapposto la Libia agli Stati Uniti, può contribuire a spiegare alcune passate dichiarazioni di Gheddafi che sono state intese come rivendicazioni territoriali su alcune isole dell'Italia o come tentativi di attizzarvi tendenze separatiste. "Io - diceva Gheddafi nel 1987 - sono un amico del popolo italiano e delle popolazioni di Lampedusa, della Sicilia e di Pantelleria, e mi auguro che queste isole siano indipendenti, a meno che lo Stato italiano non voglia offrire la Sicilia all'inferno americano. (...) Quanto a noi, auguriamo la pace al popolo della Sicilia, un popolo che per la sua sicurezza deve smantellare le basi americane sull'isola. Abbiamo bombardato Lampedusa con dei missili e abbiamo distrutto la stazione di telecomunicazioni appartenente alla Sesta Flotta americana perché Lampedusa è stata usata come base contro di noi".In effetti, gli USA bombardarono la Libia utilizzando Lampedusa: il coordinamento tra la Sesta Flotta e gli aerei dell'USAF decollati dall'Inghilterra venne effettuato per mezzo del sistema Beacon della base statunitense installata sull'isola.Insomma, quelle che a volte sono sembrate rivendicazioni territoriali su alcune italiane, in realtà sono state il prodotto del rapporto conflittuale fra Libia e Stati Uniti. Come è stato fatto osservare qualche anno fa da un analista particolarmente informato, "leggendo al-Sigil al-qawmî [il "Registro Nazionale" dei discorsi, delle dichiarazioni e delle interviste di Gheddafi] notiamo che Gheddafi, ogniqualvolta parla dell'Italia o delle isole italiane, stabilisce un collegamento con la presenza americana o NATO sul territorio italiano. Considera insomma quelle isole come soggette all'occupazione 'atlantica' NATO" (Africanus, Geopolitica di Gheddafi: realismo travestito da stravaganza, "Limes", 2/1994, p. 114).Si capisce perciò come la politica della Libia nei confronti dell'Italia non abbia potuto prescindere dalla presenza militare statunitense nella Penisola, presenza che a Tripoli viene percepita come una minaccia costante per la sicurezza libica. Come risposta a questa minaccia, Gheddafi ha dichiarato che, nel caso di un futuro scontro militare fra Libia e USA, la Libia non esiterà a bombardare le isole dell'Italia. "Il popolo della Sicilia, fratello ed amico, - disse testualmente nel 1986 - deve far smantellare le basi americane di cui l'isola è piena, basi che noi attaccheremo in caso di aggressione. (...) Agli abitanti di Lampedusa diciamo che distruggeremo totalmente l'isola in caso di aggressione americana contro di noi. Oppure siano loro, gli abitanti di Lampedusa, a costringere gli americani ad andarsene".Al di là dei discorsi di questo tenore, lo scopo sostanziale di Gheddafi è di far in modo che il governo di Roma attenui la sua subordinazione nei confronti degli USA. Rientra in questa strategia anche la recente divulgazione, fatta da Gheddafi, del contenuto dell'articolo 4 del "Trattato di Amicizia, partenariato e cooperazione" siglato fra Italia e Libia. L'articolo 4 stabilisce che "Nel rispetto dei princìpi di legalità internazionale, l'Italia non userà o non consentirà l'uso dei propri territori nell'eventualità di un'aggressione contro la Libia" e che la Libia si impegna a fare altrettanto nei confronti dell'Italia. Gheddafi ha anche precisato che Tripoli ha chiesto all'Italia l'assicurazione che "né gli Stati Uniti né la NATO usino i territori italiani contro la Libia".I contenuti del Trattato sono noti. L'Italia riconosce formalmente le sofferenze derivate alla popolazione libica dall'occupazione coloniale iniziata con l'impresa giolittiana del 1911 e proseguita fino al 1943 e si impegna a risarcire la Libia versandole 5 miliardi di dollari nei prossimi 25 anni. È quindi prevista una serie di investimenti italiani, grazie ai quali saranno portati a termine diversi progetti: la costruzione di una grande autostrada litoranea che ricalcherà la vecchia Via Balbia (la prima grande strada italiana in Africa, che unificò la Tripolitania e la Cirenaica), la costruzione di numerose infrastrutture lungo il tragitto, la costruzione di due grandi ospedali, la predisposizione di un piano di miglioramento scolastico con borse di studio per studenti libici in Italia. Dietro tutto ciò vi sono ovviamente le grandi imprese edili ed energetiche; proprio l'anno scorso l'ENI ha ottenuto il rinnovo per 25 anni delle concessioni per l'estrazione di gas e petrolio. Altri lavori coinvolgeranno l'Impregilo e la Finmeccanica e perfino l'Università di Palermo, che ha instaurato rapporti con quella di Bengasi.Qualche passo in avanti è stato fatto anche per la restituzione dei visti ai 20.000 coloni italiani espulsi dalla Libia (anche se i rimpatriati non sono del tutto concordi con la scelta del governo). Infine, la guerra ai "mercanti di schiavi", da effettuare attraverso pattugliamenti congiunti italo-libici nel canale di Sicilia e l'intensificazione dei controlli, anche a mezzo radar, ai confini col Ciad, il Niger e il Sudan. Non ci sarebbe nulla di cui scandalizzarsi per la clausola relativa ad un patto di non aggressione tra due Stati, anzi. E invece, da parte dell'opposizione parlamentare sono giunte richieste di chiarimenti ed esortazioni a non dimenticare che l'Italia è un paese membro dell'Alleanza Atlantica e della NATO. Alle perplessità espresse in Italia dal Partito Democratico hanno fatto immediatamente seguito alcuni avvertimenti mafiosi arrivati dall'altra sponda dell'Atlantico. Daniel Pipes, famigerato "falco" neocon e filosionista, ha subito messo in guardia il governo italiano a non indebolire il fronte occidentale. "Come Putin cerca di indurre i Paesi europei che più dipendono da petrolio e gas russi a prendere le distanze da noi [cioè dagli USA], così Gheddafi cerca di indurvi a stare dalla sua parte nel caso di un nuovo scontro con l'America. Avete firmato un accordo non solo commerciale ma politico".Insomma, sembra di capire che i trattati sottoscritti dall'Italia nel 1949 e nel 1954 impediscano ai governi italiani di garantire che il territorio nazionale non venga utilizzato - dagli alleati della NATO o da uno di essi - per operazioni militari dirette contro la Libia. Tuttavia non mancano precedenti interessanti: nel 1986, quando gli USA, dopo le loro provocazioni nel Golfo della Sirte e l'abbattimento di due aerei libici, bombardarono Tripoli e Bengasi per vendicare un attentato attribuito ai Libici e causarono decine di vittime tra la popolazione civile libica, aerei FB-111 dell'USAF decollati dall'Inghilterra dovettero raddoppiare il percorso e la durata dei voli, perché la Francia e la Spagna, che pure aderivano al Patto Atlantico, avevano negato agli aerei statunitensi l'uso del loro spazio aereo. Non è escluso che Gheddafi, facendo cenno al contenuto dell'articolo 4 del recente Trattato, si riferisse al comportamento autonomo tenuto ventidue anni fa da Parigi e Madrid. In maniera che potrà apparire paradossale e contraddittoria a chi attribuisca un valore sostanziale alle classificazioni basate sulle categorie parlamentari di "destra" e di "sinistra", firmando il Trattato con la Libia il governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi ha preso un indirizzo che, fatte le dovute proporzioni, ricorda la politica mediterranea di alcuni uomini dei governi di centrosinistra: Moro, Andreotti, Craxi. In realtà, al di là di etichette che significano poco o nulla, il governo attuale ha ripreso una linea politica corrispondente alla posizione geografica di un Paese che, come il nostro, si trova letteralmente immerso nel Mediterraneo. D'altra parte, esiste per l'Italia la necessità di assicurarsi fonti di approvvigionamento energetico, per cui la politica italiana, di destra o di sinistra, non dovrebbe prescindere da un oggettivo dato geografico: l'immediata vicinanza di due potenze energetiche quali l'Algeria per quanto riguarda il gas e la Libia per quanto riguarda il petrolio.

*Dalla relazione presentata al Seminario di Eurasia tenuto a Reggio Emilia il 25 ottobre 2008.
Pubblicato su Eurasia l'11 giugno 2009

mercoledì 10 giugno 2009

La Donna nell'Islam



La donna nella cultura islamica


Dal momento che le donne rappresentano la metà della società umana, il suo status, la sua posizione e il suo ruolo in tale società, possono essere un valido criterio per valutare il livello di ogni società e cultura. Esse hanno un ruolo importante nello sviluppo o nell’involuzione della loro società, e sono un fattore determinante nella crescita della qualità della vita.
La cultura di una società è data dai suoi costumi, dalle tradizioni, dalle credenze e dal comportamento dei suoi membri. Parimenti, la cultura di una scuola di pensiero è costituita dai suoi principi, dal suo credo e dalle azioni dei suoi membri fondatori. Pertanto, se si volesse studiare una particolare scuola di pensiero, occorre riferirsi a ciò che i suoi leader e fondatori dicono. Quindi, per comprendere il ruolo della donna nella cultura islamica, occorre studiare quello che l’Islam e le sue guide dicono a loro riguardo.
Cultura islamica e cultura musulmana non riflettono immancabilmente gli stessi valori, poiché nel corso dei secoli svariate società musulmane hanno deviato dall’originale cultura islamica. Tale deviazione è avvenuta in misura diversa nelle diverse parti della Ummah. Il risultato è che le varie società musulmane esprimono la cultura musulmana, ma non necessariamente la cultura dell’Islam.
La vera cultura dell’Islam può essere valutata soltanto attraverso il Corano e le tradizioni profetiche (hadith) e studiando la vita, il carattere e la condotta del Santo Profeta (saw), degli infallibili Imam (as) e della nobile Fatima (sa), così come, d’altro canto, la cultura musulmana va valutata studiando le norme ed i modelli comportamentali dei musulmani e le opere culturali dei loro scrittori, artisti e poeti.
La trattazione dello status femminile nella cultura islamica deve basarsi sulle sue tre principali fonti: Il Corano, i detti del Profeta (saw) e le sue tradizioni.
- La prospettiva coranica: Quasi duecento versetti del Santo Corano si occupano di status, ruolo e responsabilità della donna negli aspetti individuale, familiare e sociale. Secondo il Corano, uomini e donne hanno uguali diritti sebbene, per certe questioni particolari, tali diritti possano sembrare dissimili. La Legge Divina considera infatti che uomo e donna, pur ugualmente “umani” e con lo stesso fine nella Creazione, abbiano specifiche e peculiari esigenze ed attitudini. Almeno quindici punti rivelano tale approccio equilibrato, dimostrando come l’Islam non lasci spazio alcuno alla discriminazione sessuale.
· La creazione: Nei versetti in cui il Corano descrive la creazione dell’uomo, la sua posizione di vicario di Dio, la prostrazione degli angeli, il soffio dello Spirito Divino nell’uomo, l’insegnamento dei Nomi Divini, il sussurro di Satana, la disobbedienza di Adamo (as), il suo pentimento ecc., non viene operata alcuna specifica distinzione tra uomo e donna. Tutti questi versetti parlano di “umano”, “uomo”, “figli di Adamo”, non operando alcuna differenza tra i due sessi (2: 30-38).
· Potenziale comune: Rispetto alle potenzialità di conoscenza esoterica, al possesso di uno Spirito Divino, alla capacità intellettiva, alla consapevolezza etica e al ruolo di vicario di Dio, il Corano non distingue tra uomo e donna riferendo le citate caratteristiche ad ambedue.
· Il fine della creazione: Secondo il Santo Corano, il fine della creazione dell’uomo e della donna è la sottomissione ad Allah, la messa alla prova ed il conseguimento di una vita pura.
· Valori umani: riguardo alle virtù e ai valori umani quali la fede, la conoscenza, la purezza, la pietà, e alle buone azioni, Hajj e Jihad compresi, il Corano non fa distinzione tra uomo e donna. Il Corano, nella Sura Al-ahzâb, 33: 35, pone l’accento su tale uguaglianza dicendo: “In verità i musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i leali e le leali, i perseveranti e le perseveranti, i timorati e le timorate, quelli che fanno l'elemosina e quelle che fanno l'elemosina, i digiunatori e le digiunatrici, i casti e le caste, quelli che spesso ricordano Allah e quelle che spesso ricordano Allah, sono coloro per i quali Allah ha disposto perdono ed enorme ricompensa” .
· Cammino verso la perfezione: Secondo l’Islam, uomo e donna hanno ricevuto entrambi l’ordine da Allah di camminare sulla Retta Via e di tendere verso la perfezione.
· Nemico comune: Secondo il Corano, Satana è il nemico comune dell’uomo e della donna; entrambi sono suscettibili alle sue insidie malefiche, e ad entrambi si chiede di guardarsi dai complotti malvagi del nemico dell’umanità (12: 5; 36: 60). Per l’Islam, Satana ha ingannato entrambi, al principio della creazione, e il Corano non considera la donna responsabile della “caduta dell’uomo” (2: 187).
· L’uomo e la donna si completano a vicenda: Il Corano attesta che l’uomo e la donna si completano l’uno con l’altra (2: 187).
· Credenti e miscredenti: Il Corano utilizza esempi femminili per descrivere credenti e miscredenti: Maryam (as) e Asiyeh (as), la moglie del Faraone, sono usate per descrivere delle persone pie e religiose, mentre i nomi delle mogli del profeta Noè (as) e di Lot (as) sono utilizzati al fine di rappresentare il prototipo del miscredente. Il Corano, nella Sura At-tahrim, dice: "Allah ha proposto ai miscredenti l'esempio della moglie di Noè e della moglie di Lot. Entrambe sottostavano a due dei Nostri servi, uomini giusti. Entrambe li tradirono, ed essi non poterono in alcun modo porle al riparo da Allah. Fu detto loro: «Entrate entrambe nel Fuoco, insieme con coloro che vi entrano». Allah ha proposto ai credenti l'esempio della moglie di Faraone, quando invocò: « Signore, costruiscimi vicino a Te una casa nel Giardino. Salvami da Faraone e dalle opere sue. Salvami dagli ingiusti». E Maria, figlia di 'Imrân, che conservò la sua verginità; insufflammo in lei del Nostro Spirito. Attestò la veridicità delle Parole del suo Signore e dei Suoi Libri e fu una delle devote".
· Ricompense: Il Corano valuta le buone azioni di uomini e donne allo stesso modo e promette loro le stesse ricompense per il loro agire. Così si legge nella Sura Al-imran, 3: 195: “Il loro Signore risponde all'invocazione: "In verità non farò andar perduto nulla di quello che fate, uomini o donne che siate, ché gli uni vengono dagli altri … ”.
· Diverse responsabilità: In alcuni punti del Corano, Allah ha imposto agli uomini doveri specifici, distinti da quelli delle donne. Per esempio, il Corano, nella Sura An-nisa, 4: 19, rende dovere specifico dell’uomo trattare le donne gentilmente: “Comportatevi verso di loro convenientemente. Se provate avversione nei loro confronti, può darsi che abbiate avversione per qualcosa in cui Allah ha riposto un grande bene” . Questi versetti, tuttavia, non discriminano tra i due sessi.
· Dovere di ordinare il bene e proibire il male: Il precetto islamico di ordinare il bene e proibire il male (Amri bi-l-ma’roof wa Nahyi ani-l-munkar) è tale per uomini e donne. Il Corano, nella Sura At-tawba, 9: 71, dice: “I credenti e le credenti sono alleati gli uni degli altri. Ordinano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole, eseguono l'orazione, pagano la decima e obbediscono ad Allah e al Suo Messaggero. Ecco coloro che godranno della misericordia di Allah. Allah è eccelso, saggio”.
· Uguale partecipazione: Secondo l’Islam, l’uomo e la donna hanno ugualmente il diritto di stipulare alleanze, giurare, votare, eleggere o stringere accordi. Il Corano, alla Sura Al-Mumtahana, 60: 12, dice: “O Profeta, quando vengono a te le credenti a stringere il patto, [giurando] che non assoceranno ad Allah alcunché, che non ruberanno, che non fornicheranno, che non uccideranno i loro figli , che non commetteranno infamie con le loro mani o con i loro piedi e che non ti disobbediranno in quel che è reputato conveniente, stringi il patto con loro e implora Allah di perdonarle. Allah è perdonatore, misericordioso”.
· Pietà: Il Corano intima la pietà e la purezza ugualmente all’uomo e alla donna. La castità va preservata, nell’Islam, da parte di entrambi i sessi. Il Corano, nella Sura An-nur, 24: 30-31, dice: “Di' ai credenti di abbassare il loro sguardo e di essere casti. Ciò è più puro per loro. Allah ben conosce quello che fanno. E di' alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare …“.
· Eguaglianza tra i sessi: L’Islam condanna decisamente la discriminazione tra i sessi. Prima della Rivelazione, la condizione della donna era miserabile. La nascita di una bambina era considerata infamante ed era diffusa l’usanza di seppellire vive le neonate. L’Islam ha condannato con forza e posto fine a tali usanze barbariche e crudeli. Il Corano ammonisce, nella Sura An-nahl, 16: 58–59: “Quando si annuncia ad uno di loro la nascita di una figlia, il suo volto si adombra e soffoca [in sé la sua ira]. Sfugge alla gente, per via della disgrazia che gli è stata annunciata: deve tenerla nonostante la vergogna o seppellirla nella polvere? Quanto è orribile il loro modo di giudicare”.
· Rispetto verso entrambi i genitori: Gli insegnamenti islamici impongono di rispettare entrambi i genitori e, in ambito coranico, sia il padre che la madre detengono una posizione elevata. Il Corano enfatizza il rispetto e le attenzioni per i genitori e in special modo per la madre. Nella Sura Al-ahqaf, 46: 15, dice: “Abbiamo ordinato all'uomo la bontà verso i genitori: sua madre lo ha portato con fatica e con fatica lo ha partorito … ”. E nella Sura Luqman, 31: 14: “Abbiamo imposto all'uomo di trattare bene i suoi genitori: lo portò sua madre di travaglio in travaglio e lo svezzò dopo due anni”.
- La cultura Islamica attraverso le tradizioni profetiche: Il Profeta dell’Islam (saw) ha detto: “Le donne sono uguali agli uomini” (Musnad, Ahmad Ibn Hanbal, v. 6 p.256), “Il Paradiso giace sotto i piedi della madre” (Kanzu-l-Ummal, v.16, p.261) e “Il Paradiso giace sotto i piedi delle donne” (Tabaqat al-kubra, Ibn Sa’d, v.2, p.272)
Il Profeta (saw) rispettava profondamente le donne e diceva: “I migliori tra voi sono quelli che trattano bene le donne” (Sunanu Ibn Maj’ah, v.2, p.636).
Un altro famoso detto profetico è: “Gli uomini generosi rispettano le donne, mentre gli uomini vili mancano loro di rispetto e sono sgarbati con loro” (Storia di Damasco, v.7, p.50).
Durante tutta la sua vita, il profeta Muhammad (saw) trattò le donne gentilmente e diede l’esempio ai suoi discepoli, affinché le rispettassero e fossero gentili e generosi con loro. Una tradizione profetica narra: “Nel distribuire tra i vostri figli siate equi e giusti. Se io potessi scegliere di preferire qualcuno, darei la precedenza alle donne sugli uomini”. (Sahih, Bukhari, v.3, p.157).
- Il comportamento del Profeta (saw) verso le donne: Il Profeta (saw) mai alzò le mani su una donna. Egli insegnò che soltanto i vili picchiano le donne (Tabaqat al-kubra, Ibn Sa’d, v.8, pp.204 s.).
Il Profeta (saw) consultava le sue mogli e sua figlia su varie questioni: si narra che ogni volta che qualcuno gli chiedeva la mano di sua figlia, lui la consultava e ascoltava la sua opinione. Si narra che usasse consultare le sue mogli per questioni mediche e ne accettasse i consigli. Ogni qualvolta si metteva in viaggio, portava con sé una o due delle sue mogli (Sunanu Ibn Maj’ah, v.1, p.633).
Il Profeta (saw) trattava tutte le donne con grande delicatezza e non solo quelle della sua famiglia. Le visitava qualora fossero malate (Sunanu at-Tirmidhi, v.1, p.456). Le donne potevano facilmente avvicinare il Profeta (saw) per porgergli domande ed esporgli le proprie difficoltà, ed egli le accoglieva sempre con gioia.
- Conclusione: Da quanto sopra esposto, è possibile comprendere la condizione e la posizione della donna nella cultura islamica e come questa incoraggi una interazione sociale tra i credenti basata sulle umane virtù e su un comportamento etico, e non certo fondata sul sesso di appartenenza.
Postato da Shia-Italia alle ore 10.44 di Mercoledi 3 Giugno 2009
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