martedì 31 agosto 2010

Il ruolo della Libia nel Nordafrica e nel Mediterraneo


La Libia, parte della Nazione Araba e del mondo islamico    

Per quanto la Libia faccia parte del Maghreb, ossia dell'”Occidente” arabo, assieme alla Tunisia, all'Algeria ed al Marocco, la sua posizione risulta tuttavia periferica rispetto ad esso; anzi, come si può leggere in una tesi di diploma in Scienze politiche presentata dieci anni fa all'Università di Toulouse (1), "la Libia è integrata nel Maghreb, tuttavia la frequenza e la continuità dei suoi rapporti politici con il Mashreq [l'”Oriente” arabo, quello che dalla Siria e dalla Mesopotamia si estende a tutta la penisola arabica] la portano ad essere parte attiva del Mashreq". E al Mashreq la Libia apparterrebbe anche per via del ruolo che essa riveste nell'intreccio delle relazioni interne al mondo arabo. Anche il geografo egiziano Gamâl Hamdân considera la Libia come un paese che solo sotto il profilo antropologico e culturale può esser detto maghrebino, mentre rientra nell'ambito del Mashreq per quanto concerne le caratteristiche naturali (geologia, rilievi,clima). "La Libia - scrive Hamdân - continua ad essere l'ingresso del Maghreb e la porta del Mashreq" (2). Secondo altri ancora, la Libia apparterrebbe, con l'Egitto e con il Sudan, alla "regione del centro" (al-iqlîm al-wasat), cioè alla regione della valle del Nilo, che risulta centrale in quanto situata tra il Maghreb propriamente detto e la parte di mondo arabo situata nel Vicino Oriente.
Insomma, in ogni caso la Libia occupa una posizione centrale tra i due insiemi subregionali arabi, il Maghreb e il Mashreq, ragion per cui essa si configura come un elemento di unione tra le due ali - occidentale e orientale - del mondo arabo.
La consapevolezza geopolitica di questa posizione, nonché dell'importanza geostrategica ad essa collegata, emerge in maniera chiarissima nei discorsi di Gheddafi, il quale parla della Libia, con le sue "mille miglia di litorale mediterraneo", come di una "testa di ponte" del mondo arabo e dichiara: "L'importanza strategica della Libia non è venuta meno in conseguenza del fatto che la rivoluzione ha smantellato le basi inglesi e americane, poiché la Libia continua ad essere di enorme importanza strategica per gli Stati occidentali in caso di conflitto internazionale e per il dominio del Mare Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra al canale di Suez. (...) La posizione della Libia è fondamentale per chi intenda esercitare un controllo sul Mediterraneo e sul Nordafrica, di cui la Libia rappresenta l'antemurale" (3).
Paese centrale del mondo arabo, nei primi anni seguiti alla rivoluzione del 1° Settembre 1969 la Libia si è proposta come centro propulsore dell'unità araba. "La Nazione Araba è un'unica nazione", dichiara Gheddafi il 28 marzo 1972 alla prima conferenza nazionale generale dell'Unione Socialista Araba.
L'Unione Socialista Araba, per citare le parole pronunciate dallo stesso Gheddafi il 28 marzo 1972, si ispira a "una dottrina d'avanguardia (...) che è stata applicata prima dall'Egitto, poi dalla Repubblica Araba Libica e dalla Repubblica del Sudan". In tal modo la rivoluzione del 1° Settembre 1969 veniva esplicitamente ricondotta ad una matrice nasseriana; d'altronde nel giugno del 1970 il Raìs Gamâl ‘Abd en-Nâser si era recato in Libia e aveva detto, congedandosi dal popolo di Bengasi: "Sento che la Nazione Araba si riconosce in voi ed ha ritrovato la sua determinazione. Io vi lascio dicendo: 'Il mio fratello Mu‘ammar al-Qadhdhâfî è il depositario del nazionalismo arabo, della rivoluzione araba e dell'unità araba'. Cari fratelli, che Iddio vegli su di voi per il bene della Nazione Araba. Che possiate passare di vittoria in vittoria, poiché le vostre vittorie saranno la vittoria dell'intera Nazione Araba".
L'idea dell'unità della Nazione Araba, fondamento del programma panarabo che ‘Abd en-Nâser aveva lasciato in eredità a Gheddafi, viene proclamata in maniera esplicita nei discorsi pronunciati da Gheddafi nella fase iniziale della sua attività di capo politico e teorico di una "terza via" ugualmente distante dalla democrazia capitalista e dal socialismo marxista.
In una lunga intervista del 1974 (4) Gheddafi assegnava alla Nazione Araba la missione storica di "lanciare l'appello all'Islam". Riconoscendo come cosa ovvia che "il Corano non appartiene solamente alla Nazione Araba", Gheddafi affermava che era compito del nazionalismo panarabo rivitalizzare tutto quanto il mondo islamico, arabo e non arabo, a vantaggio del Terzo Mondo e dell'intero genere umano. "L'appello al nazionalismo arabo - diceva testualmente - si identifica con l'appello alla potenza dell'Islam".
In tal modo Gheddafi si contrapponeva a tutti quei modernisti del mondo musulmano che, a partire dai primi anni del Novecento, avevano affermato, in maniera più o meno velata, che l'Islam aveva addormentato il mondo arabo col fatalismo, rendendolo incapace di affrontare le sfide dei tempi nuovi e causandone la decadenza. Gheddafi sosteneva una veduta diametralmente opposta: il mondo arabo era decaduto, sprofondando nell'ignavia, nell'impotenza e nella divisione, proprio perché aveva abbandonato l'Islam. "L'Islam - dice Gheddafi - è la religione che procurò ai nostri antenati la gloria dei loro tempi. (...) Ciononostante, alcuni disprezzano tutto quanto è arabo e musulmano. (...) Noi dobbiamo ritornare alle nostre radici originarie, dobbiamo incamminarci di nuovo sul retto sentiero".
Nei discorsi degli anni Settanta, Gheddafi interviene più volte sull'importanza fondamentale della religione. "La religione - dice - è un fatto basilare nella vita umana e la stabilità dell'uomo riposa sulla religione". E ancora, in una conferenza stampa del 13 maggio 1973: "Non si può immaginare un uomo senza religione, poiché un uomo del genere sarebbe un idolatra. Noi abbiamo, grazie a Dio, una religione celeste e non adoriamo né un idolo, né un pupazzo di paglia, né un Dollaro, né una macchina".
Dell'Islam, in particolare, Gheddafi dice: "L'Islam prepara l'uomo a vivere sulla terra e dopo la morte fisica. Perciò i cittadini arabi devono aderire al concetto di giustizia, al fine di mantenersi sempre sul retto sentiero. L'Arabo deve restare fedele agl'insegnamenti dell'Islam, che sono idonei a guidare l'uomo sia su questa terra sia dopo la morte. Tali insegnamenti sono quelli che Dio ci ha trasmessi attraverso il Suo ultimo Messaggero, Muhammad (benedizione e pace su di lui)". Gheddafi ribadisce inoltre la validità perenne del Corano, quindi la sua attualità: "Non ha nessuna importanza - dice - che il Corano sia stato rivelato al Profeta Muhammad (benedizione e pace su di lui) quattordici secoli or sono, poiché il Corano non è una teoria umana, ma sta al di là dello spazio e del tempo".
Infine riafferma il concetto islamico del dîn wa dawla, cioè dell'unità inscindibile di religione e politica, respingendo il principio dello Stato laico. "Nell'Islam - dice - non c'è nessuna separazione fra religione e politica. La separazione fra Stato e religione è d'origine occidentale. L'Islam non conosce una tale separazione".
Da questa proclamata adesione alla tradizione islamica nasce la "rivoluzione culturale" libica, proclamata il 16 aprile 1973. Di "rivoluzione culturale", Gheddafi aveva già parlato il 19 dicembre 1971, nel discorso pronunciato nella moschea principale di Tripoli. "La rivoluzione culturale - aveva detto - non è affatto venuta dalla Cina. L'Islam la ha preconizzata da secoli. Noi dobbiamo orientarci verso una rivoluzione spirituale e culturale, una rivoluzione che avvenga all'interno di noi stessi, in modo che ciascuno di noi possa incamminarsi sul retto sentiero". Il 13 maggio 1973 definirà la rivoluzione culturale libica come "una depurazione dello spirito arabo".
L'obiettivo della rivoluzione culturale doveva consistere, secondo le parole dello stesso Gheddafi, nel respingere tutte le ideologie d'importazione, per recuperare l'identità culturale specifica della Nazione Araba, che è intimamente legata all'Islam. In una conferenza stampa tenuta il 13 maggio 1973, Gheddafi dice: "Noi non inventiamo nulla di nuovo, ma semplicemente ritorniamo alla nostra autenticità, alla nostra identità e alle nostra vera visione del mondo, operando in tal modo un ritorno alle origini".
Cito testualmente alcuni brani del discorso del 16 aprile 1973. "Dovrà prevalere la dottrina veridica, che è quella che emerge dal Sacro Corano. Dovrà esserci spazio soltanto per quelle idee in cui si manifestano il vero arabismo, il vero Islam, così come esso fu originariamente rivelato da Dio. Quanto alle concezioni travianti e sospette importate dall'Est e dall'Ovest, concezioni settarie e reazionarie, esse dovranno venire spazzate via, poiché sono contraddittorie nella loro essenza. Dovrà prevalere soltanto il pensiero che emerge dal Libro di Dio, autentica espressione di Islam, di arabismo, di umanità, di socialismo e di progresso. (...) Noi siamo contro il capitalismo e il comunismo; basta con la putrida ideologia del capitalismo, basta col marxismo ingannatore (...) Fra noi non c'è nessuno spazio per i settari che vogliono dominare il popolo attraverso il loro partito. (...) Mai più questo popolo dovrà avere bisogno di partiti o di un demagogo che sventoli ipocritamente la bandiera del Vangelo, del Corano o di credi e ideologie capitaliste, comuniste e simili. Il popolo è stanco delle teorie di destra e di sinistra; esso ha un bisogno spaventoso di infrangere le sue catene per dare via libera alla propria volontà. (...) La libertà non deve essere monopolizzata da una classe in nome del popolo. Nemico è chi reclama la libertà per se stesso, per la sua famiglia, per la sua cricca o per gli affiliati al suo partito: un tale nemico deve essere annientato. Non ci deve essere spazio, nella nostra società, per gli iscritti di alcun partito, né per corrotti capitalisti o reazionari (...) Non ci deve essere posto per l'ipocrita, l'opportunista, il regionalista, il separatista, il membro di un partito corrotto" (5).

Dal panarabismo al panafricanismo
Consapevole del fatto che un paese con le dimensioni territoriali e demografiche della Libia può garantire stabilmente la propria libertà dal dominio straniero solamente integrandosi in una più vasta unità geopolitica, Gheddafi ha perseguito con ammirevole perseveranza il disegno dell'unificazione politica con altri paesi che condividono con la Libia l'identità araba e islamica. Nel 1972 il governo di Tripoli stipulò con quelli del Cairo e di Damasco un accordo che avrebbe dovuto realizzare una Federazione delle Repubbliche Arabe comprendente Libia, Egitto e Siria. In particolare, la Libia avviò con l'Egitto una serie di negoziati intesi ad accelerare l'unione politica tra i due paesi. Nei quindici anni successivi furono intrapresi analoghi tentativi nei confronti della Tunisia, del Ciad, del Marocco, dell'Algeria e del Sudan, ma nessuno di essi approdò a buon fine. Nel 1989, un trattato siglato da Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania dava vita all'Unione del Maghreb; ma dopo qualche anno anche questo tentativo finì in un vicolo cieco.
Dai fallimenti con cui si sono puntualmente conclusi tutti questi tentativi e dall'inettitudine delle classi politiche arabe a dare risposte chiare sulla Palestina e sull'Iraq, Gheddafi ha tratto conclusioni molto pessimistiche per quanto riguarda le istituzioni del mondo arabo. In un'intervista rilasciata nel 2002 alla televisione di Abu Dhabi, disse testualmente: "La Lega Araba non è altro che un giochetto per bambini, ed è bene ricordare che la Libia ha definitivamente rotto ogni legame con gli Arabi".
Gheddafi era ormai "Gheddafi l'Africano". " 'Gheddafi l'Africano' nasce ufficialmente nel 1999 a Sirte, con la firma del Patto istitutivo dell'Unione Africana, confermato due anni dopo nella stessa città; l'Unione Africana, passando per la comunità degli Stati sahel-sahariani, è praticamente farina del sacco di Gheddafi, passata al setaccio mentre s'infrangeva l'assedio ai suoi danni. Dalla Sirte al Capo, uno spazio sterminato in cui muoversi con maggior disinvoltura che in un mondo arabo infido e saturo di primedonne, proponendosi così come mediatore nei conflitti interafricani. Se non si tratta di una strategia estemporanea del colonnello, l'idea di unire il Continente Nero apre delle prospettive interessanti anche per l'Europa. E' qui il caso di accennare all'Eurafrica, una visione geopolitica frutto delle riflessioni coloniali italiane degli anni Trenta che, spogliata degli elementi più anacronistici, potrebbe essere aggiornata nell'interesse delle popolazioni dei due continenti, con la Libia di nuovo al centro della scena. Il vertice Africa-Europa tenutosi al Cairo il 3-4 aprile 2000 e quello dei capi di governo euro-africani che la Grecia [ha ospitato] nel 2003 sono un segnale che qualcosa in questa direzione si sta muovendo. Un fatto è innegabile: l'Africa ha restituito le luci della ribalta a Gheddafi" (6).
Tra il giugno e il luglio del 2007, nel corso di una visita ufficiale in alcune capitali africane, Gheddafi ha avanzato ripetutamente la proposta di intraprendere passi decisivi per gettare le basi di un'integrazione politica continentale. "Dobbiamo costruire un solo, potente governo africano, un esercito con due milioni di soldati, una moneta, un'identità africana, un passaporto africano. (...) L'Organizzazione dell'Unità Africana [organismo che ha preceduto l'Unione Africana] ha fallito, il consiglio dei ministri africani ha fallito, il parlamento africano è un parlamento inutile. (...) In Africa non siamo stati capaci di creare un governo unitario, né alcuno strumento che possa realizzare i nostri obiettivi. (...) Le masse popolari vogliono strade, ponti, sanità, istruzione, agricoltura, acqua ed elettricità. Come realizzare tutto ciò? Creando una vasta unione, ampi spazi, grandi mercati; anche l'Europa può assicurare la propria sopravvivenza solo grazie all'unione". Sul fenomeno migratorio: "Io vedo davanti a me dei giovani che vogliono andare in Europa transitando per la Libia. Perché volete andare in Europa? Dobbiamo decidere di vivere e morire nei nostri paesi. Tutto ciò deve finire, grazie alla creazione degli Stati Uniti d'Africa".
Nella politica africana della Libia, un ruolo particolare è stato assegnato al Portogallo, che viene considerato come il pilastro europeo per il dialogo con l'Unione Africana. Non a caso, Lisbona è una delle capitali europee in cui Gheddafi si è recato in visita ufficiale, circa un anno fa. La Libia non solo intende intensificare i suoi investimenti nel settore turistico e immobiliare portoghese; non solo si è accordata col Portogallo per dar vita a progetti congiunti nel settore petrolifero e petrolchimico. Una cosa particolarmente interessante è che la Libia intende utilizzare l'esperienza acquisita dai Portoghesi in Africa nel periodo coloniale, e ciò al fine di avviare progetti congiunti libico-portoghesi nel Continente Nero, soprattutto nei settori d'interesse comune (istruzione, sanità, infrastrutture, energia, turismo). Un ruolo analogo, a quanto pare, la Libia vorrebbe riservare alla Spagna.

Il Mediterraneo
Nel X secolo, il geografo arabo Ibn Hawkal, nell'opera Kitâb al-masâlik wa 'l-mamâlik (Il libro degli itinerari e dei regni) chiama il Mediterraneo Bahr ar-Rûm ("Mare dei Romani", cioè dei Bizantini e dei popoli dell'Europa cristiana); fino al XIX secolo, gli Arabi hanno indicato il Mediterraneo come Bahr ar-Rum, oppure come Bahr ash-Shâm ("Mare della Siria", vale a dire "della Siria e del Libano"). Nel 1848, in un'opera dello scrittore egiziano Refâ'at at-Tahtawî, Takhlîs al-ibrîz fi talkhîs Bârîs, (Raffinazione dell'oro puro nel resoconto da Parigi), compare una nuova definizione: al-Bahr al-Abyad al-Mutawassit, "Mare Bianco Intermedio". Questa denominazione araba vuole esprimere la medesima idea di centralità e di appartenenza comune che sta all'origine dell'aggettivo latino mediterraneus, -a, -um. Ci troviamo così di fronte ad un importante mutamento di prospettiva nella visione araba del Mediterraneo, che nell'Ottocento comincia ad essere considerato come un mare "che sta in mezzo" a due sponde e a due civiltà.
È stato detto che nella teoria e nella prassi politica degli Stati arabi la prospettiva mediterranea è assente e che solo paesi filoccidentali come la Tunisia di Burghiba e l'Egitto di Sadat hanno manifestato, in una certa misura, una visione mediterranea. Per spiegare questa renitenza araba a concepire una dimensione geopolitica mediterranea, sono state addotte due spiegazioni. Si è detto che i paesi arabi, essendo stati oggetto di una colonizzazione esercitata in parte da potenze mediterranee (Spagna, Francia, Italia) o comunque arrivate da nord attraverso il Mediterraneo (Inghilterra), hanno girato le spalle al Mediterraneo per riconfermare un'appartenenza continentale e un'identità culturale che li distinguessero dall'Europa. Insomma, pensarsi come mediterranei avrebbe significato, per gli Arabi, condividere una rappresentazione legata al passato coloniale. Non a caso i colonizzatori francesi dell'Algeria dicevano che "il Mediterraneo attraversa la Francia come la Senna attraversa Parigi"; e gl'Italiani, analogamente, che "la Libia è separata dall'Italia soltanto dal Mediterraneo, così come le due parti di Roma sono separate dal Tevere".
Gheddafi esprime una visione molto diversa, allorché dichiara testualmente: "La terra libica araba non è mai stata la quarta sponda dell'Italia, così come non sarà mai una parte dell'Europa" (7). Ma Gheddafi non si ferma qui. L'idea di una contrapposizione tra l'Europa e il mondo arabo viene superata dall'idea di un condominio euro-arabo del Mediterraneo, un condominio che deve essere esercitato soltanto dall'Europa e dai paesi arabi rivieraschi. "Il Mediterraneo - diceva Gheddafi una ventina d'anni fa - è un mare condiviso tra Arabi ed Europei. Quanto agli intrusi, questi lo devono abbandonare. (...) I sionisti sono degli intrusi e devono abbandonare questa regione, come pure sono degli intrusi gli americani, che devono andarsene dal Mediterraneo" (8). E ancora: "La Libia si è associata ai paesi che esigono che il Mediterraneo sia libero dalla presenza di flotte straniere, in modo che esso ridiventi un mare di pace al servizio di tutti i popoli rivieraschi" (9).

Non si può negare che Gheddafi sia stato coerente rispetto a queste dichiarazioni di oltre trent'anni fa. Nel 1995 ha rifiutato il partenariato euro-mediterraneo della Conferenza di Barcellona, perché vi era stato chiamato a partecipare lo "Stato d'Israele" e aderirvi avrebbe significato riconoscere l'occupazione della Palestina. Ancora nel luglio di quest'anno, si è pronunciato in maniera molto recisa contro la cosiddetta "Unione per il Mediterraneo" lanciata da Sarkozy. Il quale, come è noto, vorrebbe procedere all'istituzione di un partenariato euro-mediterraneo che coinvolgesse i 27 Stati membri dell'Unione Europea, quelli che aspirano ad entrarvi (Albania, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro), il Principato di Monaco, la Turchia, i Paesi arabi della sponda orientale e meridionale del Mediterraneo, fino alla Mauritania, nonché lo "Stato d'Israele". Ma l'Unione per il Mediterraneo, ideata da un presidente francese che ha seppellito il gollismo riportando la Francia nella NATO e la NATO in Francia, nascerebbe innervata dalle istituzioni e dalle infrastrutture militari di un'alleanza militare controllata dagli Stati Uniti.
Ebbene Gheddafi, nonostante il riavvicinamento della Libia agli Stati Uniti e nonostante l'accordo di cooperazione militare-industriale, culturale, scientifica e tecnica siglato un anno fa con la Francia (accordo che tra l'altro dovrebbe fornire alla Libia un reattore nucleare per trasformare l'acqua marina in acqua potabile), è stato molto duro nei confronti dell'iniziativa francese, individuando in essa un cavallo di Troia statunitense, con l'Europa ridotta, more solito, a un ruolo subalterno. Tra l'altro, la Libia condanna l'esclusione dell'Unione del Maghreb Arabo dal progetto di Unione del Mediterraneo e vorrebbe che fosse questo organismo unitario a rappresentare ufficialmente tutti i paesi del Maghreb nelle sedi internazionali. Una esplicita freddezza, d'altronde, e probabilmente per motivi analoghi, è stata manifestata anche dall'Algeria, nonché da un altro paese mediterraneo che si va lentamente e cautamente svincolando dalla tutela statunitense, cioè la Turchia.
Questa aspirazione alla libertà del Mediterraneo dall'intrusione straniera, con le acute tensioni che hanno contrapposto la Libia agli Stati Uniti, può contribuire a spiegare alcune passate dichiarazioni di Gheddafi che sono state intese come rivendicazioni territoriali su alcune isole dell'Italia o come tentativi di attizzarvi tendenze separatiste. "Io - diceva Gheddafi nel 1987 - sono un amico del popolo italiano e delle popolazioni di Lampedusa, della Sicilia e di Pantelleria, e mi auguro che queste isole siano indipendenti, a meno che lo Stato italiano non voglia offrire la Sicilia all'inferno americano. (...) Quanto a noi, auguriamo la pace al popolo della Sicilia, un popolo che per la sua sicurezza deve smantellare le basi americane sull'isola. Abbiamo bombardato Lampedusa con dei missili e abbiamo distrutto la stazione di telecomunicazioni appartenente alla Sesta Flotta americana perché Lampedusa è stata usata come base contro di noi". In effetti, gli USA bombardarono la Libia utilizzando Lampedusa: il coordinamento tra la Sesta Flotta e gli aerei dell'USAF decollati dall'Inghilterra venne effettuato per mezzo del sistema Beacon della base statunitense installata sull'isola.
Insomma, quelle che a volte sono sembrate rivendicazioni territoriali su alcune italiane, in realtà sono state il prodotto del rapporto conflittuale fra Libia e Stati Uniti. Come è stato fatto osservare qualche anno fa da un analista particolarmente informato, "leggendo al-Sigil al-qawmî notiamo che Gheddafi, ogni qualvolta parla dell'Italia o delle isole italiane, stabilisce un collegamento con la presenza americana o NATO sul territorio italiano. Considera insomma quelle isole come soggette all'occupazione 'atlantica' NATO" (10).
Si capisce perciò come la politica della Libia nei confronti dell'Italia non abbia potuto prescindere dalla presenza militare statunitense nella Penisola, presenza che a Tripoli viene percepita come una minaccia costante per la sicurezza libica. Come risposta a questa minaccia, Gheddafi ha dichiarato che, nel caso di un futuro scontro militare fra Libia e USA, la Libia non esiterà a bombardare le isole dell'Italia. "Il popolo della Sicilia, fratello ed amico, - disse testualmente nel 1986 - deve far smantellare le basi americane di cui l'isola è piena, basi che noi attaccheremo in caso di aggressione. (...) Agli abitanti di Lampedusa diciamo che distruggeremo totalmente l'isola in caso di aggressione americana contro di noi. Oppure siano loro, gli abitanti di Lampedusa, a costringere gli americani ad andarsene".
Al di là dei discorsi di questo tenore, lo scopo sostanziale di Gheddafi è di far in modo che il governo di Roma attenui la sua subordinazione nei confronti degli USA. Rientra in questa strategia anche la recente divulgazione, fatta da Gheddafi, del contenuto dell'articolo 4 del "Trattato di Amicizia, partenariato e cooperazione" siglato fra Italia e Libia. L'articolo 4 stabilisce che "Nel rispetto dei princìpi di legalità internazionale, l'Italia non userà o non consentirà l'uso dei propri territori nell'eventualità di un'aggressione contro la Libia" e che la Libia si impegna a fare altrettanto nei confronti dell'Italia. Gheddafi ha anche precisato che Tripoli ha chiesto all'Italia l'assicurazione che "né gli Stati Uniti né la NATO usino i territori italiani contro la Libia".
I contenuti del Trattato sono noti. L'Italia riconosce formalmente le sofferenze derivate alla popolazione libica dall'occupazione coloniale iniziata con l'impresa giolittiana del 1911 e proseguita fino al 1943 e si impegna a risarcire la Libia versandole 5 miliardi di dollari nei prossimi 25 anni. È quindi prevista una serie di investimenti italiani, grazie ai quali saranno portati a termine diversi progetti: la costruzione di una grande autostrada litoranea che ricalcherà la vecchia Via Balbia (la prima grande strada italiana in Africa, che unì la Tripolitania e la Cirenaica), la costruzione di numerose infrastrutture lungo il tragitto, la costruzione di due grandi ospedali, la predisposizione di un piano di miglioramento scolastico con borse di studio per studenti libici in Italia. Dietro tutto ciò vi sono ovviamente le grandi imprese edili ed energetiche; proprio l'anno scorso l'ENI ha ottenuto il rinnovo per 25 anni delle concessioni per l'estrazione di gas e petrolio. Altri lavori coinvolgeranno l'Impregilo e la Finmeccanica e perfino l'Università di Palermo, che ha instaurato rapporti con quella di Bengasi. Un passo avanti è stato fatto anche per la restituzione dei visti ai 20.000 coloni italiani espulsi dalla Libia. Infine, la guerra ai "mercanti di schiavi", da effettuare attraverso pattugliamenti congiunti italo-libici nel canale di Sicilia e l'intensificazione dei controlli, anche a mezzo radar, ai confini col Ciad, il Niger e il Sudan.
Non ci sarebbe nulla di cui scandalizzarsi per la clausola relativa ad un patto di non aggressione tra due Stati, anzi. E invece, da parte dell'opposizione parlamentare sono giunte richieste di chiarimenti ed esortazioni a non dimenticare che l'Italia è un paese membro dell'Alleanza Atlantica e della NATO. Alle perplessità espresse in Italia dal Partito Democratico hanno fatto immediatamente seguito alcuni avvertimenti mafiosi arrivati dall'altra sponda dell'Atlantico. Daniel Pipes, famigerato "falco" neocon e filosionista, ha subito messo in guardia il governo italiano a non indebolire il fronte occidentale. "Come Putin cerca di indurre i Paesi europei che più dipendono da petrolio e gas russi a prendere le distanze da noi [cioè dagli USA], così Gheddafi cerca di indurvi a stare dalla sua parte nel caso di un nuovo scontro con l'America. Avete firmato un accordo non solo commerciale ma politico".
Insomma, sembra di capire che i trattati sottoscritti dall'Italia nel 1949 e nel 1954 impediscano ai governi italiani di garantire che il territorio nazionale non venga utilizzato - dagli alleati della NATO o da uno di essi - per operazioni militari dirette contro la Libia. Tuttavia non mancano precedenti interessanti: nel 1986, quando gli USA, dopo le loro provocazioni nel Golfo della Sirte e l'abbattimento di due aerei libici, bombardarono Tripoli e Bengasi per vendicare un attentato attribuito ai Libici e causarono decine di vittime tra la popolazione civile libica, aerei FB-111 dell'USAF decollati dall'Inghilterra dovettero raddoppiare il percorso e la durata dei voli, perché la Francia e la Spagna, che pure aderivano al Patto Atlantico, avevano negato agli aerei statunitensi l'uso del loro spazio aereo. Non è escluso che Gheddafi, facendo cenno al contenuto dell'articolo 4 del recente Trattato, si riferisse al comportamento autonomo tenuto ventidue anni fa da Parigi e Madrid.
In maniera che potrà apparire paradossale e contraddittoria a chi attribuisca un valore sostanziale alle classificazioni basate sulle categorie parlamentari di "destra" e di "sinistra", firmando il Trattato con la Libia il governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi ha preso un indirizzo che, fatte le dovute proporzioni, ricorda la politica mediterranea di alcuni uomini dei governi di centrosinistra: Moro, Andreotti, Craxi. In realtà, al di là di etichette che significano poco o nulla, il governo attuale ha ripreso una linea politica corrispondente alla posizione geografica di un Paese che, come il nostro, si trova letteralmente immerso nel Mediterraneo. D'altra parte, esiste per l'Italia la necessità di assicurarsi fonti di approvvigionamento energetico, per cui la politica italiana non dovrebbe prescindere da un oggettivo dato geografico: l'immediata vicinanza di due potenze energetiche quali l'Algeria per quanto riguarda il gas e la Libia per quanto riguarda il petrolio.
                                                               *************

1. A. Benantar, De l'existence d'un sous-système arabe, Université de Toulouse, 1998.
2. J. Hamdân, Al-jumhûrîyya al-'arabîyya al-lîbîyya: dirâsa fî 'l-jughrâfîyya al-siyâsîyya, (La Repubblica Araba Libica: studio di geografia politica), ‘Alam al-kutub, Il Cairo 1973, p. 104.
3. Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu‘ammar al-Qadhdhâfî, (Registro
Nazionale, Dichiarazioni, discorsi e interviste del colonnello Muammar Gheddafi), volume annuo, n. 17, 1985- 1986, Centre Mondial des Études et Recherches du Livre Vert, Tripoli 1986, p. 961).
4. Kadhafi messager du désert, Biographie et entretiens par Mirella Bianco, Stock 1974; ed. it.
Mursia 1977.
5. Per i brani dei discorsi di Gheddafi, cfr. Gheddafi templare di Allah. La Rivoluzione Libica nei
Discorsi di Mo’ammar El-Gheddafi, a cura di C. Mutti, Edizioni di Ar, Padova 1975.
6. Enrico Galoppini, Tripoli bel suol d'affari, "Limes", X, 5 (2002), p. 132.
7. Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu'ammar al-Qadhdhâfî, cit., p. 949.
8. Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu'ammar al-Qadhdhâfî, cit., p. 948.
9. Kadhafi, messager du désert, Biographie et entretiens par Mirella Bianco, cit.
10. Africanus, Geopolitica di Gheddafi: realismo travestito da stravaganza, "Limes", 2/1994, p.
114).

Articolo di Claudio Mutti, tratto da http://www.claudiomutti.com/  31 Agosto 2010.

                                                               

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