sabato 12 novembre 2011

Il significato della morte di Gheddafi per la Russia e la sfida della Siria.

Valerij Rashkin è segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa e deputato alla Duma di Stato. Antonio Grego lo ha intervistato per noi in esclusiva l’8 novembre scorso, a margine di una tavola rotonda sul tema “La personalità e l’eredità politica di Muammar Gheddafi” svoltasi a Mosca. Rashkin ha parlato di come la guerra in Libia, la morte di Gheddafi e le minacce alla Siria pesino sulla strategia internazionale della Russia.

Valerij Rashkin
                                                                                                                

Antonio Grego – Quanto è importante la morte di Gheddafi per il vostro partito e per la Russia in generale?

Valerij Rashkin – In primo luogo penso che questa sia una tragedia. Una tragedia non solo per il popolo libico, ma una tragedia di carattere globale. Leader come Gheddafi, credo che è necessario proteggere ovunque, nell’intero globo. Bisogna studiare la sua storia, leggere i suoi scritti e maledire tutti quelli che hanno commesso questa sconsiderata aggressione e avventura. In secondo luogo si deve imparare la lezione che viene da questa esperienza ovvero che la NATO e gli Stati Uniti non amano i Paesi con una forte politica sociale e una forte rete di sicurezza sociale per i deboli e la popolazione. E in terzo luogo che tutti coloro che hanno stima di sé, un sentimento di indipendenza politica per la loro Nazione, non hanno alcun diritto di rimanere in silenzio, hanno come esempio la lotta di Gheddafi e del suo popolo per trarre le dovute conclusioni e per prevenire tali avvenimenti nei loro Paesi, in ogni caso.

A.G. – Perché, secondo lei, l’Occidente ha deciso di invadere la Libia ed eliminare Gheddafi? Quale esempio rappresentava la Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare per il mondo?

V.R. – Credo che il golpe militare, che è stato organizzato in Libia, abbia portato il Paese ad una situazione di schiavitù. Gli Stati Uniti ed il loro blocco NATO oggi sono i poliziotti internazionali. Di ciò ne parla tutto il mondo. Questo gendarme usa il suo potere di intervento ovunque a piacimento. Ecco alcuni esempi: Afghanistan. Fanno entrare le loro truppe, e rimpiazzano la Russia e altri Paesi. L’esercito americano ha preso in custodia i campi dove cresce l’oppio. Adesso l’80% della droga coltivata su questi campi finisce nel nostro Paese, in Russia. E avvelena i nostri giovani. E stiamo perdendo ogni anno 226 mila giovani di età inferiore ai 25 anni, solo a causa del consumo di droghe. L’Iraq. Gli Stati Uniti avevano bisogno per se stessi delle risorse petrolifere di questo Paese e sono andati in guerra. Con la Yugoslavia hanno usato lo stesso schema. Lo stesso metodo da gendarmi. Gli stessi bombardamenti, la stessa guerra, persino gli stessi aerei.
L’assassinio di Gheddafi lo considero certamente un atto blasfemo e un crimine assoluto contro la comunità internazionale. Il leone ferito può essere preso a calci da uno sciacallo qualsiasi. E così è successo con Gheddafi. Quando è iniziato l’intervento armato, i bombardamenti, è rimasto ferito. Poi hanno iniziato a prendersi gioco di lui. Questo non è degno di esseri umani, è inumano. Questo gesto non rientra nella tradizione di questo Paese. Ma lo hanno fatto. In tutti i regolamenti internazionali, i leader di questo livello devono essere protetti e difesi, e poi essere condotti in vita davanti ad un tribunale. Questo era un uomo di tale grandezza ed è stato ucciso in modo vile e disgustoso. Quel sistema, che era stato costruito e tenuto in vita per più di 40 anni in quel Paese, era giudicato legittimo dalle popolazioni tribali che lì vivono. Perché? Vediamo in che consiste questo sistema e perché hanno ucciso Gheddafi e distrutto il sistema di governo che aveva creato.
Facciamo un parallelo con la Russia. In Libia, l’indennità di disoccupazione era di 730 dollari a persona. Se trasferiamo nella nostra valuta, si ottiene 22 mila rubli. A chi poteva piacere questo fra coloro che odiavano Gheddafi? Andiamo al salario medio, e questo per noi è esemplare. Lo stipendio di una infermiera in Libia era di almeno 1000 dollari. In Russia, un’infermiera riceve 7.000 rubli (circa 170 euro, n.d.r.). Potete immaginare? Gheddafi ha inoltre dato le seguenti disposizioni: per i nuovi sposi che vogliono comprare un appartamento lo Stato dava 64.000 dollari, che è pari a 1,9 milioni di rubli. Se si vuole intraprendere un’attività in proprio lo Stato regalava subito 20.000 dollari per lo sviluppo del proprio business. L’istruzione e la sanità in Libia erano gratuite. Oggi, se in Russia andate in qualsiasi ospedale vi chiedono soldi.
Le famiglie con molti figli in Libia potevano comprare i generi alimentari in apposite reti di negozi. Per loro si applicava un prezzo simbolico per l’abbigliamento dei bambini e per il cibo. Qui in Russia, in un qualsiasi negozio per bambini a volte le scarpe per bambini costano più di un intero vestito di un adulto. In Libia, si forniva supporto per la crescita della popolazione e ci si preoccupava per il futuro della nazione e il futuro del Paese. Gheddafi odiava i ladri e i truffatori. Per la contraffazione di medicinali c’era la pena di morte. È una cosa rude, crudele? Se ci fosse in Russia, chi dovrebbe per primo essere fucilato per contraffazione? Ne abbiamo un sacco di gente così. In Libia, non esisteva l’affitto. A chi in Occidente piace questo ordine di cose? Qui abbiamo fino al 50% del reddito familiare che viene usato per pagare le utenze e gli alloggi. In Libia l’energia elettrica era gratuita. E bisogna considerare che in Libia non c’è l’abbondanza di fiumi e impianti idroelettrici come in Russia, ma c’era l’elettricità gratuita. I prestiti per l’acquisto di auto e casa, in Libia, erano senza interessi. In qualsiasi banca in Russia, in USA e in Occidente, non troverete prestiti senza interessi per comprare un appartamento o una macchina. Da noi il mutuo ha un tasso che va dal 13 al 24 per cento, per non parlare delle percentuali per l’acquisto dell’auto. Gheddafi riteneva che in Libia dovessero essere vietati gli agenti immobiliari, e li proibiva. Odiava gli speculatori, e questa è proprio la teoria degli speculatori, la teoria dell’Occidente, la teoria degli imbroglioni e ladri che vivono su questo.
Naturalmente, credo che chiamare Gheddafi un tiranno è una questione inutile, l’Occidente e l’America, e tutta la NATO lo hanno chiamato tiranno. Credo che i tiranni siano coloro che siedono sul gas, sul petrolio e sulle risorse naturali che vengono sottratte al popolo e date in mani private. Io credo che Gheddafi debba essere considerato un eroe per come ha gestito il suo Paese. Il Paese era tranquillo, stabile, senza guerre, e questo non piaceva agli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’America, essa si inserisce ovunque. Ovunque ci sono divisioni, vi si trova necessariamente l’America. Siano esse in Europa, in Africa o in Asia. E la causa principale di questo sono le risorse naturali, il petrolio, il gas e i metalli. Il fatto è che gli statunitensi pensano che le risorse naturali del mondo siano di loro proprietà. E se vi ricordate di Cesare, anche lui era chiamato tiranno. Ma per una sola ragione: non permetteva che i senatori rubassero.
Molti Stati hanno debiti enormi con la Libia. Gheddafi ha introdotto una tale politica cioè quella di dare in prestito denaro e petrolio. Sia la Gran Bretagna che la Francia hanno accumulato enormi debiti con la Libia. Capisco perché sono stati eliminati quelli con i quali sono stati contratti i debiti e non quelli che sono in debito. Perché? Se Gheddafi e la Libia hanno prestato soldi all’Inghilterra e all’Occidente eliminando Gheddafi e il suo Paese non c’è più bisogno di onorare il debito. Quindi il blocco NATO ha preso di mira e distrutto questo Paese e tutti i loro debiti sono stati dimenticati. Questo è uno dei motivi per cui hanno distrutto la struttura della società che era sotto Gheddafi.

A.G. – Come dovrebbe comportarsi la Russia con la Siria e l’Iran, a suo parere, affinché non si ripeta lo stesso scenario visto in Libia?

V.R. – A mio parere, in Russia (e sotto il regime attuale, del capitale oligarchico, che oggi è uno dei fondamenti del tessuto della nostra società) questo scenario non è possibile che si ripeta.
Per questo motivo la Russia deve essere il successore della grande potenza – l’Unione Sovietica – non a parole ma nei fatti. Deve essere assolutamente non sensibile alla politica, ma questo può avvenire solo con una Russia forte, con un forte esercito, in un sistema dove la gente sostiene il suo governo, vero e da lei scelto. Dopo di che, la Russia si rimetterà molto rapidamente in piedi, se il popolo ha fiducia nel governo che ha eletto, lei si alzerà immediatamente in piedi, sarà una grande potenza, e la sua parola sarà ascoltata. E quello che è successo con la Libia, non succederà con nessun altro Paese.
Per quanto riguarda l’Unione Sovietica. Se l’Unione Sovietica fosse ancora in vita, quello che è successo in Libia non sarebbe accaduto. In generale, era una grande potenza e una potenza alternativa al sistema di vita degli altri Paesi, ed era un’alternativa alla classe e al capitale. Se l’Unione Sovietica non si fosse sciolta e non ci fosse stato il golpe del 1991, la Libia avrebbe vissuto in amicizia con il popolo sovietico, e il popolo avrebbe ricevuto questi benefici. Purtroppo, la Russia non ha adempiuto alla sua missione come Stato successore dell’Unione Sovietica.
La Russia in questo caso ha svolto un ruolo negativo. Avevamo stipulato un contratto per un’enorme fornitura di armamenti. Abbiamo perso un partner di fiducia come non ce n’erano altri al mondo. Siamo ora esclusi dalle decisioni che riguardano il futuro della Libia. Avevamo il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza e non lo abbiamo sfruttato. Ed è stato un errore madornale. La Russia si mostra debole al cospetto della classe dominante colpevole della situazione che ora c’è in Libia. Credo che la Russia sia la prossima nella lista. La Libia e la NATO non sono cose a sé stanti, tutto è interconnesso. La politica internazionale sul globo, che è rotondo e piccolo, non è fatta di fenomeni che possono essere isolati. Tutti noi abbiamo risorse enormi, e questo è un bocconcino succulento per la NATO e gli Stati Uniti. Abbiamo enormi riserve di petrolio, gas, metalli, minerali, abbiamo le risorse naturali rinnovabili come legname e pesce. Il 60% dell’acqua dolce è sui nostri territori.
Oggi in Russia quello che trattiene il blocco NATO dall’aggressione è solo lo scudo nucleare che si trova sul nostro territorio, compreso dentro e intorno a Mosca. Senza di questo, quelle risorse e quelle riserve, che sono bramate dalla classe capitalistica mondiale, sarebbero prelevate dalla Russia a prezzi stracciati. Lenin aveva assolutamente ragione quando diceva che finché sulla Terra ci sarà il capitalismo, la guerra non si fermerà. E noi sappiamo dalla storia della statistica, che mentre era in vita l’Unione Sovietica, la guerra nel mondo era molto più ridotta. Perché era preso in considerazione il punto di vista del Cremlino. Avevamo il più forte esercito del mondo, con il quale doveva fare i conti il mondo intero. Per non parlare del fatto che abbiamo vinto la seconda guerra mondiale. E un contributo significativo e importante a questa vittoria lo ha portato l’Armata Rossa e il popolo sovietico. E dopo la Grande Guerra Patriottica nessun accordo, nessuna provocazione non deve essere avviato senza l’approvazione dell’Unione Sovietica. Oggi, l’opinione – che è questa Russia? È corretto dire che se vuoi la pace devi prepararti alla guerra.
Un’altra conferma che noi siamo un bocconcino succulento e che ci spetta il compito di decidere come evitare il saccheggio delle nostre risorse. Madeleine Albright ha parlato in modo chiaro, ripetendo le parole di Churchill: «Non è affatto vero che le ricchezze della Siberia debbano appartenere ad un solo Paese (cioè la Russia). Esse devono essere di proprietà di tutto il mondo». Saranno loro a decidere dove andranno le ricchezze del Kuzbass e di Novosibirsk. A chi andranno tutte le ricchezze della Siberia e dell’Estremo Oriente. Io non sono assolutamente d’accordo con loro.
Pertanto, ecco le conclusioni che si possono trarre da quanto accaduto in Libia, dove hanno scatenato una guerra, uccidendo il suo leader Gheddafi, che tra l’altro aveva più volte visitato l’Unione Sovetica e ha costantemente perseguito una politica di sicurezza sociale per il suo Paese: Gheddafi è stato un combattente indomito per la giustizia sociale e per il bene del suo popolo. Io lo rispetto profondamente, e credo che la sua morte abbia fatto risvegliare schiere di politici in questo Paese e in tutto il mondo. La sua morte ha sollevato la questione del patriottismo e il mondo oggi guarda con occhi diversi la NATO, questi gendarmi, e quello che stanno facendo in tutto il mondo.

Intervista dell'8 Novembre 2011 in esclusiva per la Rivista di Geopolitica Eurasia rilasciata al Prof. Antonio Grego. Pubblicata www.eurasia-rivista.org 

giovedì 3 novembre 2011

TAWERGHA LIBIA - ORA DISABITATA

Neri catturati in Tawergha
Fonte: “Nena News”                                                           

Denunce inascoltate fin da giugno. Gli ex “ribelli” di Misurata hanno espulso, derubato (con molte uccisioni) gli abitanti di un’intera città nera vicino Misrata. E a metà settembre Jibril aveva dato via libera

Roma, 01 novembre 2011, Nena News – Insieme a Sirte assediata e distrutta, Tawergha, la città dei neri libici, diventa il simbolo della Libia “liberata” grazie alla Nato. Situata a qualche decina di chilometri da Misurata, Tawergha contava circa 30mila abitanti, in gran parte libici di pelle nera: nacque nel XIX secolo come città di transito nel traffico degli schiavi. E “schiavi” (abeed) è l’insulto che più ricorre sui muri della città dopo la conquista in agosto da parte delle truppe dei “ribelli della Nato” provenienti da Misurata. Il suo nome è stato cancellato sul cartello stradale e sostituito da “Nuova Misurata”.
Tawergha è ora disabitata (e molte case incendiate e saccheggiate): i suoi abitanti sono scappati altrove all’avvicinarsi delle forze anti-Gheddafi due mesi fa; le ultime centinaia sono state espulsi in seguito dalle milizie. A decine di migliaia sono adesso sparsi presso parenti e soprattutto in campi profughi improvvisati; di tanti si sono perse le tracce. In molti sono stati arrestati ai check-point o addirittura prelevati dagli ospedali e scomparsi. Non si contano gli assassinati in questa pulizia etnica nella quale l’odio razziale si è mescolato all’accusa ai tawerghani di essere stati pro-Gheddafi e suoi “mercenari” (ma sono libici), perché da quella zona l’esercito libico lanciava gli attacchi contro Misurata.



Risale agli inizi del conflitto la demonizzazione (e molte uccisioni anche con decapitazioni) dei neri libici, combattenti e non, accusati senza prove di crimini e stupri. Tawergha è il genocidio di un’intera città. Il primo a lanciare l’allarme, inascoltato, era stato il…IbrahWall Street Journal il 21 giugno (“Libyan City Thorn by Tribal Feud”; http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304887904576395143328336026.html): uno suo reporter, Sam Dagher, aveva intervistato i comandanti militari di Misrata (schierati con i “ribelli” e la Nato): im al-Halbous, per esempio, diceva con chiarezza che una volta conquistata la cittadina, i suoi abitanti avrebbero dovuto fare fagotto, perché “Tawergha non esiste più, c’è solo Misrata”. Altri “ribelli” raccomandavano di impedire ai tawerghani di lavorare e mandare i bambini a scuola a Misrata. Dagher parlava dell’esplodere di un “razzismo che prima del conflitto era latente”. Fra le due città, sui muri le scritte pro-Gheddafi erano state sostituite da moniti tipo “siamo la brigata che ripulirà la Libia dagli schiavi neri”. Allarmato, il reverendo nero statunitense Jesse Jackson a giugno chiese – ovviamente invano – un’indagine della Corte penale internazionale.
La situazione di Tawergha precipita in agosto. Ricostruiva la vicenda l’inchiesta “Ethnic Cleansing, Genocide and the Tawergha”, di Human Rights Investigation (http://humanrightsinvestigations.org/2011/09/26/libya-ethnic-cleansing-tawargha-genocide/), un piccolo gruppo di ricercatori indipendenti nel campo dei diritti umani, da non confondere con la ben più nota Human Rights Watch – il cui rapporto su Tawergha è del 30 settembre, v. oltre). Grazie ai bombardamenti aerei della Nato e ai missili Grad degli alleati “ribelli”, Tawergha viene presa il 13 agosto (e la Bbc intervista il solito comandante al-Halbous ma “dimentica” di parlare del colore della pelle degli tawerghani). Al Jazeera stessa mostra case distrutte, prigionieri messi in un container di ferro (ma viene impedito di filmarli), un ferito in abiti civili portato via chissà dove e armati che obbligano gli ultimi abitanti a partire. Quando Telesur si reca sul posto “non c’è più nessuno, salvo nella parte antica dove i ‘ribelli’ non ci hanno lasciati entrare; pare che là ci sia ancora qualcuno, e quando escono in cerca di cibo o acqua li catturano”.
HRI richiama la convenzione Onu per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio: all’art. 2 definisce genocidio uno dei seguenti atti commessi nell’intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, uccidendone membri, danneggiandoli fisicamente o psicologicamente, infliggendo loro condizioni di vita distruttive (…).
A fine agosto Amnesty International (http://www.amnesty.org.uk/news_details.asp?NewsID=19674) denuncia il fatto che decine di migliaia di tawerghani non possono tornare a casa per paura di essere arrestati come è successo a molti, perfino prelevati negli ospedali e poi scomparsi. Anche nei campi dove sono ospitati, si susseguono arresti e sparizioni. Denunce credibili anche di stupri ai danni di donne di Tawergha e di esecuzioni di soldati e volontari arrestati. L’organizzazione indica nei Tawergha un gruppo particolarmente vulnerabile che abbisogna di protezione. Chiede anche ai nuovi governanti di farla finita con l’impunità. Questi ultimi fanno orecchio da mercante su Tawergha.

Il CNT APPROVA LA PULIZIA ETNICA

Intanto, sempre il Wsj riferisce che l’autonominato Primo Ministro Mahmoud Jibril il 18 settembre in un incontro pubblico a Misurata dà il via libera alla cancellazione della città: “Su Tawergha, ritengo che nessuno debba interferire, salvo la popolazione di Misurata. Non possiamo riferirci alle teorie della riconciliazione nazionale usate in Sudafrica, Irlanda o Europa dell’Est”. Grandi applausi e urla “Allah u Akbar”. In quei giorni molte case della cittadina venivano incendiate, “per evitare che ritornino”, spiegava un “ribelle”.
Il 30 ottobre Human Rights Watch (Hrw) riepiloga la tragedia della città nel suo rapporto “Beatings, Shootings, Deaths in Detention of Tawerghans [ 82710 ]” (http://www.hrw.org/news/2011/10/30/libya-militias-terrorizing-residents-loyalist-town). “Le milizie di Misurata terrorizzano gli sfollati da Tawergha –abbandonata, saccheggiata e in parte bruciata – e assicurano che quelli non ritorneranno mai”. Hwr ha intervistato decine di sfollati in tutto il paese, e fra questi 26 detenuti a Misrata e nei dintorni e 35 sfollati a Tripoli, Heisha e Hun. Le denunce, “credibili”, parlano di ferimenti o esecuzioni di persone disarmate, arresti arbitrari e torture su detenuti, fino alla morte in alcuni casi. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, i 15mila tawerghani sono fuggiti in gran parte nella regione Jufra. Nella città di Hun erano arrivate agli inizi di ottobre quattromila persone, ospitate in tre campi, e molte altre nella città di Sokna e nelle campagne circostanti. In seguito circa 5mila persone si sarebbero spostate verso Bengasi o Tripoli, altre a Tarhouna, Khoms o nel Sud.
Il 25 ottobre Hrw è stata testimone, nella Tawergha spopolata, di un saccheggio totale e il giorno dopo ha visto diverse case date alle fiamme, sotto gli occhi delle brigate di armati di Misurata.
Muhammad Grarya Tawergi, un ex coltivatore di datteri, ottant’anni, ha detto a Hrw che i “ribelli” arrivati a Tawergha in agosto hanno obbligato anche le persone non armate a lasciare la casa.
Molti abitanti di Tawergha sostenevano Gheddafi, e centinaia di loro si erano arruolati fra marzo e maggio, durante l’assedio a Misurata. Dopo il cambio di regime è stato un susseguirsi di abusi, arresti arbitrari e persecuzione dell’intera comunità. Il 20 agosto, è stato riferito a Hrw, nella prigione di Misurata un conducente del camion dell’immondizia, Amhamid Muhammad Shtaywey, è stato torturato perché confessasse di aver commesso stupri e alla fine è morto per le torture. Nena NEWS





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