giovedì 31 marzo 2011
Libia: campo di battaglia tra Occidente e Eurasia
Libia :::: Alessandro Lattanzio :::: 29 marzo, 2011 ::::
1. Le operazioni clandestine sul terreno
A fine Marzo è oramai chiaro che la ‘rivolta popolare’ o meglio, la rivoluzione colorata con cui si è tentato di rivestire il golpe con cui abbattere la Jamahiriya, è fallita. Il piano era in preparazione almeno dal 20 ottobre 2010, quando il governo francese aveva invitato a Tunisi Nouri Mesmari, capo del protocollo del governo Libico, e il giorno successivo giungeva a Parigi, dove in pratica resta in esilio ad organizzare il golpe.
“Sicuramente ai primi di novembre sono visti entrare all’Hotel Concorde Lafayette di Parigi, dove Mesmari soggiorna, alcuni stretti collaboratori del presidente francese Sarkozy. Il 16 novembre c’e’ una fila di auto blu fuori dall’hotel. Nella suite di Mesmari si svolge una lunga e fitta riunione. Due giorni dopo parte per Bengasi una strana e fitta delegazione commerciale francese. Ci sono funzionari del ministero dell’Agricoltura, dirigenti della France Export Cereales e della France Agrimer e manager della Soufflet, della Louis Dreyfus, della Glencore, della Cani Cereales, della Cargill e della Conagra.” Una missione commerciale che serve a coprire un gruppo di militari e di agenti dell’intelligence che a Bengasi incontrarono il colonnello dell’aeronautica libica Abdallah Gehani, disposto a disertare e che aveva contatti con dei dissidenti tunisini.
Il 28 novembre, a seguito delle indagini del controspionaggio libico, Tripoli emette un mandato di cattura internazionale nei confronti di Mesmari, che viene trasmesso anche alla Francia. Gli uomini di Sarkozy inscenano un finto arresto, che si tramuta in una confortevole permanenza parigina per il complottatore bengasino. Mesmari, dopo aver chiesto ufficialmente alla Francia asilo politico svela i segreti della difesa militare e delle alleanze diplomatiche e finanziarie della Libia, descrivendo il quadro dei possibili dissidenti disposti a passare con le forze nemiche di Tripoli. Dopo aver respinto i successivi tentativi di contatto del governo libico, Mesmari, il 23 dicembre 2010 incontra i transfughi politici Farj Charrant, Fathi Boukhris e Alì Ounes Mansouri, che diverranno i dirigenti della presunta rivolta popolare di Bengasi. I tre sono accompagnati da funzionari dell’Eliseo e da dirigenti del servizio segreto francese (DGSE).
A Gennaio 2011 la Francia è pronta ad avviare il golpe contro il governo Libico. Il 22 gennaio il comandante del controspionaggio in Cirenaica, il Generale Aoudh Saaiti, fa arrestare il colonnello dell’aeronautica Gehani, collegamento occulto dei servizi francesi con la rete dei prossimi rivoltosi. Rivolta che esplode egualmente il 17 febbraio a Bengasi. Da subito, gli Israeliani indicano la presenza di elementi esterni e stranieri dietro la ‘rivolta popolare’. Decine, e poi centinaia, di ‘consiglieri‘ militari ed agenti dei servizi segreti statunitensi, britannici e francesi, sono sbarcati a Bengasi e a Tobruk almeno fin dal 2 febbraio 2011, per creare e alimentare la rivolta. Lo scopo della loro missione era triplice: aiutare i comitati rivoluzionari a stabilire infrastrutture governative; organizzare i rivoltosi in unità paramilitari, addestrandoli all’uso delle armi; preparare l’arrivo di altre unità militari straniere, forse egiziane e saudite, oltre a reparti di ex-guerriglieri in Afghanistan, gli ‘afgansy’, collegati con l’universo islamista egiziano e saudita.
Di fatti erano giunti a Bengasi cannoni anticarro da 106 millimetri di provenienza NATO, con munizionamento inglese, e armi antiaeree, il tutto camuffato da aiuti umanitari alla popolazione civile; da ciò si può ben comprendere quale sia, in realtà, il vero delle ONG umanitarie che reclamano fin dall’inizio delle ostilità, l’istituzione di ‘corridoi umanitari’ per la popolazione civile (nome in codice per indicare i mercenari e la guerriglia anti-Jamahiriya). Camuffate da aiuti umanitari le armi, camuffati da volontari umanitari i gli istruttori militari occidentali che, appena sbarcati, iniziano l’addestramento dei rivoltosi; mentre commandos di incursori iniziavano a compiere operazioni clandestine di sabotaggi e provocazione. Tutto ciò, secondo le fonti interne francesi, avviene da ben prima della risoluzione 1973, adottata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 17 marzo, che chiede “un immediato cessate il fuoco” e autorizza la comunità internazionale ad istituire una no-fly zone in Libia e a utilizzare tutti i mezzi necessari per proteggere i civili. Lo stesso ministro degli interni francese, Claude Guéant, aveva parlato di «una crociata» riferendosi all’operato di Sarkozy.
L’insieme delle operazioni clandestine anglo-francesi rientra dell’ambito dell’operazione South Mistral. La cui versione ufficiale, ovvero le operazioni di bombardamento sotto mandato ONU; sono denominate Harmattan, in francese, o Ellamy, in inglese, che a loro volta rientrano nell’operazione Odissey Dawn, voluta dal salotto dirittumanitarista di sinistra di Washington, che ha le sue massime espressioni nella segretaria di stato USA Hillary Rodham Clinton, nell’ambasciatrice USA all’ONU Susan Rice e nell’intellettuale-gangster Samantha Power, notoria cantrice dell’interventismo armato umanitario internazionale degli USA.*
Gli screzi non sono mancati, comunque, all’interno del disomogeneo fronte anti-Jamahiriya, che è stato formato rappattumando svariati gruppi e clan spinti alla rivolta con motivazioni e per interessi differenti. Ai primi di marzo, due agenti dell’MI6 e sei incursori delle SAS inglesi, mentre stavano scortando un diplomatico britannico, appena scesi dall’elicottero che li aveva trasportati nella loro zona operativa, a Bengasi, furono catturati dai guardiani di una fattoria e consegnati alla fazione in ribelle gestita dai francesi o dagli egiziani, e non dagli inglesi. Interrogati, non avevano svelato nulla ed erano stati poi esfiltrati e fatti rientrare con la fregata HMS Cumberland. Secondo The Times, la presenza inaspettata di questa unità “avrebbe irritato gli esponenti dell’opposizione libica, che hanno trasferito i soldati in una base militare“. In effetti, questi elementi sono aggregati ai circa 200 militari dello Scottish Royal Regiment, reparto inglese rientrato dall’Afghanistan nel 2009, che partecipa alle operazioni militari coperte da azioni umanitarie e sgombero. Il ministro della Difesa britannico aveva ammesso che questi militari operano nel bengasino da almeno tre settimane: ufficialmente per assistere piloti abbattuti.
Lo scopo di questo tipo di operazioni, di questo dispiegamento sul campo di reparti speciali, era anche quello di approfittare del caos a Tunisi e Cairo, per consentire l’ingresso dai due paesi confinanti con la Libia, di mercenari, volontari islamisti e almeno un centinaio di membri dell’Unità , le forze speciali egiziane, tutti inviati per fornire sostegno tecnico, nuovi armamenti e appoggio tattico alla presunta spontanea ‘rivolta popolare libica‘.
* Il jetset cosmopolita che l’intellettualità di sinistra italiana, soggetta a un perpetuo senso di inferiorità, ama frequentare e celebrare con assiduità. Si ricordi, tal riguardo, dei non casuali articoli panegirici della direttrice dell’Unità Concita Degregorio verso questo bel mondo cosmopolita.
2. Il ruolo dell’islamismo radical-coloniale e della sinistra brezinskiana occidentale
Quella che si sta svolgendo nel mondo arabo, in questi mesi, è senza dubbio frutto di una lunga e ben pianificata campagna di disgregazione del processo di formazione del Continentalblock Eurasiatico. Il culmine, al momento, di questa operazione, è senza dubbio l’aggressione armata alla Libia da parte della NATO.
L’operazione sembra essere, e probabilmente è, un parto degli strateghi brzezinskiani. Non va dimenticato che Brzezinsky è il mentore ideologico-culturale di Barack Hussein Obama. E probabilmente l’elezione di Obama stesso rientra in questa operazione; Obama forse non è neanche cittadino statunitense, su ciò aleggiano più che fondati sospetti, e forse è collegato a quell’ambito ideologico-religioso arabo mobilitato, in questi mesi, per avviare i cosiddetti processi di ‘democratizzazione’ nel Mondo Arabo. Ma tutto ciò non ha impedito la sua elezione alla presidenza USA. Una figura liberale, come lui appare, era necessaria per attirare i voti della popolazione statunitense delusa dalla politica criminale della fazione neocon-ultrasionista della banda Cheney-Rumsfeld-Perle. Il liberalismo di sinistra ed ecologico, propagandato da Obama, serviva anche a raccogliere intorno alla futura, e oggi attuata, nuova politica interventista armata statunitense, il consenso della ‘sinistra’ occidentale, pro-occidentale e occidentalizzante: socialdemocratici ed ecologisti europei, progressisti nordamericani, asiatici ed arabi, e financo folkloristici residui ‘comunistoidi’, sono la nuova base popolare, di massa, che Washington ha ammassato e sui cui ha posto l’artiglieria massmediatica guerrafondaia (ma camuffata dai soliti infingimenti umanitari) col cui rombo coprire quello dei cacciabombardieri e dei Tomahwak che straziano al Libia oggi. Già dal golpe orchestrato contro l’Honduras, e quello fallito contro l’Ecuador, dimostrano che Obama e il suo entourage non ha altro scopo che portare avanti, con accenti rinnovati, la stessa vecchia politica di dominio ed espansione imperialista degli USA.
Nel caso delle presunte ‘rivoluzioni arabe’ di questi mesi, in effetti, sia sostenitori che soprattutto i critici di esse, si sono soffermati fin troppo sulle operazioni di propaganda e infiltrazione delle agenzie di destabilizzazione strategica anglo-statunitensi, e occidentali in generale, ritenendo e pensando che la leva rivoluzionaria araba fosse rappresentata dalla esigua società civile occidentalizzante dell’Arabia. Il fatto è che soprattutto i padroni e i manovratori di costoro, di questi elementi borghesi arabofoni, acquistati con donazioni e viaggi premio a Washington, non costituivano alcuna garanzia per la vittoria e le presa del controllo dei poteri nei paesi obiettivi delle sovversioni. Serviva e serve ben altro per poter contare su un solido controllo sugli stati e le società ‘liberate’ e liberalizzate del mondo arabo, dell’Arabia. Questa forza è da sempre collegata strettamente con due realtà politiche, geopolitiche e geoeconomiche determinate: il colonialismo francese e soprattutto inglese, cioè Londra, e il servile complice all’imperialismo e del colonialismo occidentale, l’entità statale basa sulla rendita petrolifera gestita dalla famiglia compradora dei Saud, e dall’apparato poliziesco-propagandistico parassitario che sempre tale famiglia controlla.
L’Arabia Saudita è un alleato fondamentale, grazie al controllo che essa esercita sulle e varie filiazioni islamiste che Riyad finanzia abbondatemente e addestra meticolosamente da decenni. Lo scontro inter-arabo e intra-arabo è un colossale regolamento di conti tra la parte feudale del mondo islamico, dei regimi islamici più arretrati, e l’eredità storico-politica del Nasserismo, del Baathismo, del Socialismo e del Marxismo che il Mondo Arabo ha avuto in lascito nel corso degli ultimi sessant’annni.
Ovviamente le realtà più oscurantiste e arretrate del mondo colonizzato, sono sempre state fedeli alleate dell’egemonismo politico-miliatre e tecnico-industriale dell’Occidente. Il wahhabismo, la fratellanza mussulmana e le altre realtà islamiste sunnite hanno sempre avuto la possibilità di pesare sulle società del mondo arabo, grazie ai loro pesanti legami con le centrali imperialiste metropolitane. Soprattutto con Londra, base operativa degli islamisti rimessi in sella a Tunisi e a Bengasi, per esempio. Oppure base operativa dei network tv come al-Arabya e al-Jazeera, dei micidiali centri di disinformazione strategica e di propaganda reazionaria, filo-islamoliberista e reazionaria. Stanno svolgendo a pieno le azioni operative ad esse assegnate, non svolgendo solo campagne mediatiche a favore delle ‘rivoluzioni colorate’, e non solo plasmando un ‘modus pensandi’ che favorisce e appoggia le azioni e le interferenze di Londra, Washington e Parigi nell’Arabia, ma operando effettivamente come vere e proprie agenzie d’intelligence e ricognizione integrate nelle operazioni belliche USA/NATO, come avviene in Libia in questi giorni. Lo Yemen ha compreso questo ruolo, e alla fine, dopo che Riyad ha deciso di abbandonare Sanaa, probabilmente in accordo con le potenze occidentali, il presidente yemenita abbia deciso di espellere dal paese al-Jazeera, agente attivo nelle rivolte antigovernative, dimostrando così, in modo indiretto, la connessione esistente tra la moderna e liberale agenzia televisiva panaraba e il regime oscurantista della famiglia dei Saud.
Ad esempio, il ruolo del TG3 è emblematico, non è un caso che queste vera e propria dependance, se non dell’ambasciata USA a Roma, del NED e del partito democratico USA* porta avanti, da almeno un paio di anni, una forsennata campagna di aggressione mediatica e di banditismo ideologico contro la Libia. Ua campagna bellica vera e propria, che è riuscita ad arruolare in pratica tutta l’amorfa e moribonda sinistra fu marxista italiana. Dal partito della sinistra apertamente ultramericana, PD, che acclama acriticamente le guerre condotte dalle amministrazioni democratiche, da Clinton a Obama, alle sinistre cripto-brezinskiani. Che si tratti di Vendola o di Ferrero, della maggioranza dei trotskisti o dei maoisti, o perfino dell’armata folkloristica degli antimperialisti pro-alQaida, nulla cambia per i decisori e gli strateghi dell’assalto finale, e disperato, al mondo arabo, o quella parte del mondo arabo, che aveva iniziato la marcia di avvicinamento all’asse economico-strategico Mosca-Beijing.
Non è un caso che si aggrediscano, con tali sommosse teleguidate, realtà che si oppongono od ostacolano l’egemonia regionale anglostatunitense: Libia, Siria, Sudan, Yemen (alleato con l’Eritrea). Oltre al processo di frantumazione nazionale, che a quanto pare non è ritenuto sufficiente dalle centrali strategiche occidentali, viene avviato un immenso processo di revanscismo islamista, protesa a creare il tento mitizzato emirato islamico, ideologia aggregante per le forze arabofone antinazionali più arretrate e oscurantiste, permettendone la mobilitazione anche in realtà statuali più consolidate, come la Siria. Tutto ciò amalgamato con il disegno dell’asse Washington-Londra-Parigi di affidare questo fantomatico emirato islamista alla decadente famiglia compradora dei Saud. Scopo ultimo, impedire lo sviluppo tecnico-sociale-economico regionale, grazie all’imposizione di un ordine parassitario e anti-sviluppista e anti-progressista (che tanto piace alle anime belle razziste d’occidente, afflitte da una sorta di orientalismo impegnato), che impedirebbe i piani strategici industriali ed economici di collaborazione con le potenze asiatiche ed eurasiatiche. Tale blocco e arretramento economico-industriale verrebbe volto a favore delle potenze occidentali, che potranno sottrarre le risorse energetiche e idriche regionali, che rimarrebbero inutilizzabili con l’inattuazione della modernizzazione tecnico-economcio-sociale degli stati arabi colpiti dalla sovversione islamo-colonialista camuffata da ‘rivolte democratiche civili’.
Inoltre, non solo tale sabotaggio strategico regionale colpirebbe lo sviluppo regionale, ma attenterebbe pesantemente al progetto eurasiatico basato sull’aggregazione e il riavvicinamento tra potenze come Russia, Cina, Turchia, Pakistan e Iran. E inoltre il fantomatico emirato islamocolonialista che verrebbe creato, fattualmente o ideologicamente che sia, diverrebbe una potente piattaforma per avviare la destabilizzazione della Federazione Russa, della Repubblica Popolare di Cina e l’Unione Indiana, nonché uno strumento sia per colpire in modo devastante l’Iran e la Turchia, che per distruggere realtà statali come il Pakistan e le repubbliche caucasiche e centrasiatiche.
La mano brezinskiana e il tocco tipicamente londinese del divide et impera colonialista, sono ben visibili per chiunque voglia guardare in faccia la realtà dei fatti internazionali che oggi si osservano.
Alla luce della mossa del cavallo all’ONU, attuata dall’asse atlantista e dalla cerchia brezinskiana-rhodesiana, Mosca e Beijing stanno iniziando a comprendere che non c’è più tempo da perdere, in danze diplomatiche e salamelecchi bipartizan, con entità che vogliono soltanto aggredirle e rovinarle.
* Alessandro Lattanzio è redattore di “Eurasia”
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