giovedì 23 settembre 2010

Una cerimonia ancestrale inaugura il summit dei popoli sul clima


La Venus di Willendorf
Da: greenreport Mercoledi,22/09/2010                                 
La Pacha Mama
La Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra (Cmpcc) di Tiquipaya-Cochabamba, è stata inaugurata ieri da una cerimonia ancestrale (waj´ta, in lingua aymara) alla quale hanno partecipato degli amautas andini (sacerdoti) e rappresentanti dei popoli autoctoni di tutto il mondo. Ecco come la descrive Rubén Sandi sul bollettno della Conferenza curato dall'agenzia boliviana Abi: «Con l'uluare del pututus (strumento a fiato costruito con il corno di manzo), flauti di Pan, strumenti tipici delle Ande, con offerte tradizionali ed abiti multiculturali multicolori, gli amautas hanno chiesto permesso al "Padre Cosmos" e alla "MadreTierra" perchè sostengano le posizioni a favore della natura e dell'umanità». Gli sciamani hanno messo sull'offertorio feti di camelidi, fiori, dolci, lamine di stagno, piombo e bronzo, alcool, vino di coca, incenso, resine e rappresentazioni di animali e beni terreni, poi hanno appiccato il fuoco e hanno dato vita, accompagnati da gruppi di popoli autoctoni in abiti tradizionali, ad una processione lungo i 4 punti cardinali per dare la forza spirituale necessaria ai più di 20 mila rappresentanti dei popoli autoctoni, degli ambientalisti e dei movimenti sociali riuniti nello stadio di Tiquipaya. Dopo la ceremonia ancestrale hanno parlato i rappresentanti dei popoli indigeni dei 5 continenti, concordi sulla necessità di realizzare un organismo mondiale per la difesa dei diritti di Pachamama, la Madre Terra in aymara.
Poi ha preso la parola l'attesissimo ed applauditissimo presidente della Bolivia, Evo Morales, che in un discorso di un'ora ha ribadito: «La crisi climatica non è una causa ma un effetto del sistema capitalista» ed ha chiesto di «Produrre alimenti ecologici, in línea con la cultura alimentare dei popoli indigeni ancestrali e in contrapposizione all'industria degli alimenti transgenici e gonfiati a base di ormoni sintetici e chimici, come ad esempio la bibita gassata Coca Cola, uno degli emblemi del sistema capitalista».
Morales ha detto ai delegati della Cmpcc: «Dobbiamo mangiare quinoa», il grano andino che fruttifica nelle Ande sudamericane ad alto valore proteico e vitaminico, «Nelle ultime settimane abbiamo sentito dire alla Fao che la quinoa é il miglior alimento del mondo». Il presidente boliviano ha magnificato anche il valore curativo degli infusi vegetali con i quali gli indios delle Ande combattono le loro malattie: «I fratelli e le sorelle dell'oriente e dell'occidente, sanno esattamente come ci curiamo con il mates, con il cosiddetto mate di coca, di manzanilla, di wira wira, sono i mgliori medicamenti che hanno i popoli indígeni originari», poi ha chiesto di rifiutare i farmaci basati su principi attivi sintetici che stanno invadendo la cultura curativa nativa arrivando dall'Occidente, senza per questo opporsi alla medicina scientífica propiamente detta. «Quando ci fa male il capo che fa la medicina occidentale? Ci porta un Alkaseltzer (un analgesico e febbrifugo a base di acido acetilsalicilico) e questa medicina occidentale cura bene il dolore di testa, però genera un altro dolore allo stomaco. Questa medicina occidentale sistema una cosa, però ne rompe due nel nostro corpo umano», Morales ha anche denunciato l'effetto chimico delle bevande gassate che contengono sostanze chimiche persistenti e dannose: «C'è qualcosa che ha attirato la mia attenzione sulla Coca Cola, tutti, putroppo, beviamo Coca Cola, però vi racconto un aneddoto: quando si ottura il bagno (Wc), che cosa facciamo? Chiamiamo l'idraulico, un esperto per sturare il water. Se però l'idraulico, con i suoi diversi strumenti non può risolvere la situazione, ci chiede: «Dammi 5 bolivianos, 8 bolivianos". Perché? Per comprare la Coca Cola. Compra la Coca Cola e la versa nella tazza del water, passa qualche minuto e questa stasa la tazza del bagno».
E' evidente che a Cochabamba siamo molto lontani dall'asettiche ed ipertecnologiche stanze della Cop 15 dell'Unfccc di Copenhagen e che Morales parla un linguaggio comprensibile a tutti, quasi per parabole moderne, aderente alla vita quotidiana dei popoli autoctoni, ma questo non gli ha impedito di criticare duramente la produzione di alimenti geneticamente manipolati e le sovvenzione che ricevono da alcuni governi europei e soprattutto degli Usa: «Usano combustibili e prodotti chimici per produrre Ogm, però risulta che gli Ogm dovrebbero servire per mangiare, ma non servono ad alimentarsi, questa è la profonda differenza cha abbiamo con l'Occidente e con i modelli sviluppisti o della modernizzazione. E' un affronto la produzione agroindustriale di tuberi che, prodotti in modo naturale in America latina, servirono a placare la fame in Europa nei secoli XVI e XVII. Bastano solo due esempi: la papa (patata, ndr) olandese e la papa originaria nativa. La patata olandese può produrre ogni tre mesi, quattro volte all'anno, questa patata olandese contiene sicuramente ormoni di pesce e le papas sono certamente,grandi e belle, però voglio dirvi che queste papas non sono per alimentarsi, mentre la papa originaria, come sanno i fratelli, chiamata papa imilla, la papa llokalla (in criollo) e molto saporita e molto nutriente».
Morales ha messo in guardia i delegati della Cmpcc anche sugli effetti negativi del consumo di carne di pollo sulla salute umana : «Quando parliamo di pollo, il pollo che mangiamo, è carico di ormoni femminili, per questo gli uomini quando mangiano questo pollo hanno deviazioni nel loro essere uomini». E Morales, un aymara di 50 anni con una folta e lucente capigliatura, sfotte gli occidentali: «Tra le altre carenze, c'è la calvizie precoce, così come le accelerazioni irregolari del metabolismo delle donne all'inizio della vita riproduttiva. La calvizie che ci sembra normale è una malattia in Europa, quasi tutti sono calvi, e questo è per le cose che mangiano, mentra tra i popoli indigeni non ci sono calvi, perchè noi mangiamo altre cose».
Morales, ha chiesto anche di evitare l'uso di contenitori di plastica, che diventano spazzatura e degradano l'ecosistema. Dopo aver presentato, a volte in tono scherzoso, le malattie provocate dall'ingestione di cibi Ogm, ha chiesto di riconoscere gli usi culturali e soggetti ai saperi ancestrali dei popoli autoctoni del pianeta, rappresentati dalla Cmpcc, «Che si materializzano nella popolazione subandina dei Tiquipaya» e ha concluso: «Siamo qui riuniti per recuperare, rivalorizzare l'esperienza dei movimenti sociali del mondo, ma soprattutto del movimento indigeno originario, come una vera alternativa ai modelli di sviluppo. Dato che vengo da questa importante area voglio prendere l'esperienza dei nostri antenati, la conoscenza, l'esperienza sulla vita e la terra, più conosciuta in Bolivia come Pachamama, o dagli scienziati, dagli storici, sociologi, antropologi, come il pianeta Terra. La filosofía che incarna la cultura della Pachamama si contrappone globalmente a quello che postula il sistema capitalista di arricchimento a tutti i costi. Quindi, giungo alla conclusione che il capitalismo rapina la Madre Terra per saccheggiare le sue risorse, per sfruttare i loro figli e figlie, per avvelenare i loro fiumi e laghi (...) Il capitalismo è il primo nemico dell'umanità. E il sinonimo dell'inazione, della disuguaglianza, della distruzione del pianeta terra. Invece, la dottrina ancestrale comunitaria dice che "l'uomo e la donna sono parte della terra, da lei veniamo ed a lei torniamo quando muoriamo, per questo non si può vendere la terra"».

Così come per noi mussulmani da Allah veniamo e ad Allah torniamo! (Nota di Janua Coeli)



martedì 21 settembre 2010

QUAESTIONES SICILIANAE.


                                                              


Che cos’è la Sicilia? Un’appendice insulare della penisola italiana? L’ombelico del Mediterraneo?Un ponte naturale tra l' Europa e l’Africa? Fra queste ed altre possibili rappresentazioni, quale è che meglio corrisponde alla sua visione della Sicilia come luogo della geografia culturale?
Sicuramente è un ponte naturale, ma non solo tra l’Europa e l’Africa. Grazie alla propria identità “trialettica”, infatti, ovvero essere partecipe di tre distinti destini culturali – uno volgente al nord, l’altro al sud, l’arco ionico ad est – la Sicilia si salda anche con l’Oriente del quale eredita il patrimonio spirituale e, con questo, una precisa antropologia: quel richiamo del sangue che fa di ogni siciliano un enigma. È nella specificità del siciliano l’essere attento al mistero, alla segretezza e all’omertà, che non è una deriva mafiosa bensì l’arte di “diventare uomo”. In Sicilia l’universalità è un istinto. Il paradigma per eccellenza resta quello di Federico II, il tedesco che volle farsi arabo per vivere in Sicilia.
Quale, fra tutte le eredità storiche stratificatesi sul territorio della Sicilia, ha agito più profondamente nella formazione dell’identità siciliana? La greca? La romana? La bizantina? L’araba? La normanna?
Leonardo Sciascia sosteneva, e non a torto, che tra tutti gli innesti, più di tutti è quello arabo che ha determinato la carta d’identità della Sicilia e per carta possiamo aggiungere anche quella geografica. Una semplice traslitterazione della toponomastica, infatti, dall’alfabeto latino a quello greco, non comporterebbe alcun cambiamento nella enunciazione dei nomi di città, contrade e valloni. Allo stesso modo con i cognomi delle persone. Nella stragrande maggioranza sono di derivazione araba. Ciò non significa che anche le altre eredità siano state cancellate, anzi, la miscela più affascinante s’è data con la doppia radice genitoriale arabo-normanna; ma se c’è un marchio che si è impresso nella viva carne della Sicilia quello è il marchio dell’Islam. È stato il lievito che la Sicilia non ha mai cancellato nella propria memoria se è vero che perfino il cattolicesimo popolare, nel rammemorare il martirio di Cristo, ha mutuato da Ashurà i riti della Passione. E l’identità svela il proprio debito alla paideia mussulmana anche nella vita quotidiana, nella elaborata estetica siciliana e perfino nei codici sociali. Basti ricordare che il S a b b e n e d i c a, ovvero, “la Benedizione di Dio su di voi”, tipico saluto siciliano, è la traduzione del Salam Aleikum.

INTERVISTA A PIETRANGELO BUTTAFUOCO*
di Claudio Mutti
Deve essere precisato che il testo da noi riportato è solo l'inizio di una intervista a Buttafuoco,il cui testo integrale si trova sul n.2/2010 di "Eurasia".

sabato 18 settembre 2010

Invidiosi di Dio


Scritto da SILVIA VALERIO
4 settembre 2010



Lo so: la questione è aspra. C’è una donna che rischia di morire di una morte non certo dolce e ce n’è un’altra che è la consorte di uno degli uomini più potenti della terra, il presidente della Francia. La prima donna è Sakineh, accusata di omicidio e adulterio e perciò condannata alla lapidazione. Intorno, c’è lo sdegno del mondo occidentale, cui il giornale dell’area più rigorosa dell’islamismo iraniano ha dato uno schiaffo non da poco, definendo Carla Bruni (se possiamo prestare fede ai traduttori) “puttana italiana” e poi sentenziando che meriterebbe anche lei di morire per la condotta sentimentale non proprio limpida di cui si è illustrata. Lo so: correrò un rischio enorme a dire ciò che penso anche stavolta, ma non mi pare decente e giusto non farlo.
C’è un paese, nel mondo globalizzato e disumanato (dal consumismo, dal materialismo, dal poco onorevole gioco del “futti compagni”), che ancora palpita di spiritualità, di misticismo, di fervore per il divino, l’Iran.
Certo anche lì vi saranno sacche di corruzione, di indifferenza, di sciatteria interiore, di brutalità intemperante, ma la sua propensione, antimoderna, allo spirituale è innegabile, evidente. Soprattutto per contrasto. Guardate il nostro paese, dove una partoriente è appena rimasta vittima di una rissa tra medici. Guardate l’America, dove un’intera cittadina è stata tenuta all’oscuro della fuoriuscita di benzene dalla raffineria locale, fino a che una persona per famiglia si è ammalata. Guardatevi intorno, leggete tra le righe, ammettiamolo una buona volta che, tra corruzione, clientelismo, le mafie delle amicizie, delle raccomandazioni, tra padrini senza scrupoli e padroni senza qualità, non ce la passiamo troppo bene. Si è già esaurita l’eco delle risate con cui faccendieri ben ammanicati hanno salutato il terremoto in Abruzzo? La ‘battaglia della memoria’, a questo proposito, non è stata condotta con efficacia? Gli intellettuali zelanti avevano altro a cui pensare? Era troppo poco chic, troppo poco utile, troppo da vergognarsi come battaglia? Perché, in fondo, nessuno è perfetto?…
Ecco: questo è il punto. Qui si recita in continuazione questo mantra osceno, “nessuno è perfetto”, e si pretende che la norma ne tenga conto, che la legge ne sia rispettosa, che anche Dio si conformi, che smetta di essere perfetto, che sia discutibile, emendabile. In Iran no: non si sono ancora rassegnati. Hanno una norma che Dio ha dato loro e quella rispettano, e quella norma vuole che il pudore, la lealtà, la splendida differenza tra i viventi siano i cardini dell’esistenza. E della politica. Io non ho la grazia di credere in un Dio, non so come si fa, non ho avuto forse la fortuna di vivere in un mondo e in un tempo che me la ispirassero, ma riesco a immaginare che gioia profonda, inarrivabile sarebbe destinare la vita alla venerazione di un Dio, al rispetto dei suoi precetti, al ricordo della sua fulgida potenza, della sua totale e trepidante benevolenza. Come ci permettiamo noi occidentali di intrometterci nell’amore dell’Iran per il suo Dio? Come abbiamo potuto diventare così cinici, così cupi, così disumani da non tollerare che il mondo ospiti più nazioni concentrate intorno al proprio Dio? Come possiamo accettare che vengano messi sullo stesso piano i discorsi del Profeta Maometto e i sofismi di Bernard-Henri Lévy? Come possiamo bandire così violentemente la verità dai nostri cuori e dal nostro paese, rinunciando a dire che la condotta sentimentale della première dame di Francia è, quanto meno, discutibile? Come possiamo non poter sospettare ad alta voce che il suo per Sarkozy non sia esattamente ‘vero amore’? O sospettare lo stesso di una Elisabetta Tulliani? Come possiamo non ricordare che dove c’è l’adultero c’è la vittima dell’adulterio? Per dirla più volgarmente: dove c’è il cornificatore, c’è il cornificato? Vi piace tanto vivere nell’incertezza continua della fedeltà del vostro compagno, amico, consorte, presidente, capo? Non vi rendete conto che, di questo passo, rendiamo la lealtà una cosa fuori moda? La schiettezza un peccato di ingenuità? E che così agevoliamo l’ascesa dei più spregiudicati, di più meschini, dei più cinici e bari? Che così ridiamo ancora sulle spalle dei terremotati dell’Aquila, della partoriente di Messina mutilata dai capricci del personale medico, sui polmoni devastati dal benzene di quegli americani tenuti all’oscuro della fuoriuscita di sostanze tossiche?
Noi occidentali siamo diventati chiassosi da quando non sappiamo più ascoltare la musica delle sfere; siamo diventati ciarlieri, invadenti. Ora vorremmo fare irruzione in Iran e portare, insieme, la nostra più fortunata invenzione, la democrazia, e l’altra, di cui non ci vantiamo troppo, l’oblio. Vorremmo insegnare all’Iran a dimenticare il suo Dio, a perderlo per strada come è successo a noi con tutti gli dèi minori, gli dèi che presiedono all’etica, vorremmo che anche l’Iran non fosse perfetto. Siamo gelosi del suo amore per Allah, siamo invidiosi della grandezza di Allah. E cianciamo e cianciamo, per dimenticare anche questo: quanto siamo maligni, quanto siamo bari.
Pubblicato da Silvia Valerio sul suo Blog.


giovedì 16 settembre 2010

Rogo Corano - Discorso Ayatollah Khamenei: dietro al sipario c'è il sionismo. Attenti perche’ il Cristianesimo non c’entra nulla


 



                                                                      






 TEHERAN – Discorso importantissimo e completo, pronunciato lunedì sera dalla guida suprema iraniana sulla questione dei testi del Corano bruciati negli Usa.
pubblicata da Paola Folchi il giorno mercoledì 15 settembre 2010 alle ore 8.38



“In nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso
Disse il Signore Invincibile e Saggio
«Noi abbiamo fatto scendere il Monito, e Noi ne siamo i custodi»(Corano, Sura al-Hijr, versetto 9/ndr)

O amato popolo dell’Iran! O grande Umma dell’Islam!

L’offesa folle e odiosa e ripugnante al nobile Corano che si è potuta verificare in America per via della sicurezza poliziesca regnante in quel paese è stato un incidente molto amaro che non può essere considerato solo come un’azione stupida di qualche elemento mercenario e privo di valore.
Si è trattato di una azione coordinata dai centri che a partire da anni fa’ hanno reso propria priorita’ la diffusione dell’islamofobia e dell’anti-islamismo ed hanno usato centinaia di metodi e migliaia di strumenti propagandistici e militari per lottare contro l’Islam ed il Corano.
Questo è un’altro anello della vergognosa catena che iniziò con il tradimento dell’apostata Salman Rushdie e che poi è andata avanti con l’azione del maligno vignettista danese e con decine di film di Hollywood e che oggi è giunta qui a questo repellente teatrino.
Dietro al sipario questa volta chi c’è?
“La riflessione su questo andamento maligno che in questi anni è stato accompagnato dalle operazioni criminali in Afghanistan e Iraq e Palestina e Libano e Pakistan non lascia dubbi sul fatto che la progettazione e l’attuazione di questi complotti viene effettuata dai capi del sistema imperialista e dai think-thank sionisti che hanno la maggiore influenza sul governo americano e i suoi organi di sicurezza e militari come avviene pure per il governo inglese e alcuni paesi europei.
Questi sono gli stessi che le ricerche indipendenti ritengono i veri responsabili dell’attacco alle torri nell’11 Settembre. Quella tragedia diede una scusa per l’attacco all’Afghanistan e all’Iraq all’allora presidente criminale dell’America e lui annunciò una crociata e in base alle notizie quella stessa persona ieri ha detto che con l’ingresso della Chiesa, quella crociata è ormai completa.
L’obbiettivo della recente azione repellente è coinvolgere la gente comune e la societa’ cristiana nella lotta contro l’Islam e i musulmani, azione che con l’intromissione della Chiesa, vuol essere fatta sembrare religiosa e che vuole distrarre i popoli musulmani dalle questioni e dagli sviluppi della situazione in Medioriente e nel mondo islamico.
Questa azione odiosa non è l’inizio di una corrente ma una fase di un processo a lungo termine orchestrato dal sionismo e dal regime americano. Oggi tutti i capi dell’imperialismo e le guide della rinnegazione del divino si sono schierate contro l’Islam.
L’Islam è la religione della liberta’ e della moralita’ ed il Corano, è il libro della Misericordia, della Saggezza e della Giustizia. Il dovere di tutti i difensori della liberta’ del mondo e di tutti i fedeli delle religioni abramitiche è di stare a fianco dei musulmani e di lottare contro la perfida politica dell’anti-islamismo.
I capi del regime americano non possono assolversi dal concorso in questo crimine con le loro dichiarazioni ingannevoli e prive di senso. Sono anni che tutte le sacralita’ e i diritti e la dignita’ di milioni di musulmani indifesi in Afghanistan e Pakistan, Iraq e Libano e Palestina vengono calpestati. Centinaia di migliaia di persone uccise, decine di migliaia di donne, uomini e bambini fatti prigionieri, torturati, rapiti e milioni di persone resi senzatetto o resi invalidi. Tutti questo per cosa? Con tutti questi dolori sopportati perchè nei media occidentali il musulmano è il simbolo della violenza e il Corano e l’Islam vengono presentati un pericolo per l’umanita’? Chi riesce a credere che in tutto questo incredibile complotto non ci sia l’intromissione delle lobby sioniste annidate all’interno del sistema governativo dell’America?



Fratelli e sorelle musulmani in Iran e in tutto il mondo!    

Ritengo necessario ricordare a tutti alcuni concetti:
Primo: Questo incidente e quelli avvenuti in passato dimostrano chiaramente che ciò che oggi viene aggredito dal sistema mondiale dell’imperialismo è il fulcro dell’Islam e del nobile Corano.
L’inimicizia esplicita degli imperialisti nei confronti della Repubblica Islamica è motivata dall’inimicizia esplicita dell’Iran con l’imperialismo; i nemici fingono di non avere problemi con l’Islam ed i musulmani ma ciò è una grande bugia ed un inganno satanico.
Loro sono nemici dell’Islam e di chiunque sia fedele agli insegnamenti di questa religione e di qualsiasi cosa che sia simbolo di questa religione.
Secondo: Questa serie di azioni odiose contro l’Iran ed i musulmani è motivata dal fatto che l’Islam in questi ultimi decenni è stato sempre più luminoso ed ha appassionato sempre i più i cuori della gente nel mondo islamico e persino in Occidente. E ciò perchè la Umma islamica è più sveglia di sempre e i popoli islamici hanno deciso di strappare le catene di due secoli di colonialismo che li affliggono.
L’incidente dell’offesa al Corano ed al profeta con tutto il suo sapore amaro contiene anche una buona novella, il sole splendente del Corano brillera’ sempre piu’.
Terzo: Tutti dobbiamo sapere che l’incidente recente non c’entra nulla con la Chiesa e con i cristiani e il teatrino di qualche stupido reverendo mercenario non va confuso con il Cristianesimo e il clero di questa fede.
Noi musulmani non faremo mai nulla di simile con le sacralita’ delle altre religioni. La guerra a tutto campo tra musulmani e cristiani è volere dei nemici e di uomini folli. Il Corano ci insegna di fare il contrario e di non offendere.
Quarto: Oggi tutti i musulmani ritengono il governo americano e i suoi politici i responsabili di questo incidente. Se il governo americano è veramente sincero nel dire di non aver avuto alcun ruolo in questo incidente deve dimostrarlo con l’arresto e il processo dei responsabili di questa azione che hanno offeso i sentimenti di 1 miliardo e mezzo di musulmani di tutto il mondo.



Pace sui servi benefattori di Allah
Seyyed Ali Khamenei
22 Shahrivar 1389(13 Settembre 2010/ndr)

PRESO DA http://www.facebook.com/#!/note.php?note_id=437718983983&id=1174873512
http://italian.irib.ir/notizie/islamoccidente/item/84995-ayatollah-khamenei-dietro-al-sipario-c%C3%A8-il-sionismo
pubblicato da muamer hasanagic muamer 15/set/2010






















domenica 12 settembre 2010

LE ORIGINI SUFICHE DEL GRAAL



Farid alDìn Attar, è uno dei più grandi maestri
del sufismo che visse nel
Khorasàn tra il XII e il XIII secolo.
A lui si deve il libro “ Il detto degli uccelli “. Si                         
tratta di un libro di iniziazione sufi,
che trae ispirazione direttamente dal Santo
Corano ( An-Naml : 22,25 ).

Quando un sufi dice di parlare il linguaggio degli
uccelli, si tratta dei concetti di
quella cerchia di sufi emblematizzati da trenta
uccelli (si morg) che vanno
alla ricerca del mitico Simorg o Simurgh (araba
fenice, o santo Graal).
Ma torniamo all’opera di Attar
Il motivo di tanto interesse poetico nel viaggio
degli uccelli è che tali animali rappresentano il
simbolo dell'anima che, impigliata nei legacci del
corpo, anela il ritorno all'Unità originale. E il
linguaggio degli uccelli è la lingua esoterica per
eccellenza, alla quale lo stesso Corano,come
dicevo, dedica una citazione mettendola sulla
bocca di Salomone (sura XXVII).
Nel Poema di Attar, si narra di un folto gruppo
di uccelli ai quali l'upupa, che per la sua cresta                                     
sembra cinta di corona nobile, si rivolge
esortandoli a raggiungere Simurgh, il loro mitico
re, che dimora in terre lontane e sconosciute.
Nel Corano, ancora, l'upupa è messaggera di
Salomone presso la regina di Saba e non può
sfuggire l'analogia con la guida di Dante,
Virgilio, nel suo viaggio ultraterreno. Trattandosi
di un viaggio sconosciuto e misterioso non può
essere compiuto senza qualcuno che conosca la
strada. Gli uccelli incarnano gli attributi della
personalità umana e ciascuno di loro, infatti,
muove obiezioni all'invito dell'upupa, trova
scuse e pretesti per mostrarsi esitante.
L'upupa risponde con pazienza alle loro spesso
ipocrite argomentazioni. Alla fine lo stormo
partirà ma, altro simbolismo, solo trenta uccelli
su centomila arriveranno alla meta. Simurgh
significa 'trenta uccell' e raggiungere Simurgh si
configura, quindi, come l'approdo allo specchio
della verità essenziale dei trenta superstiti.
Il viaggio si conclude con la scoperta della
identità e unità dell'anima con il Principio
Universale
Il ritorno all'origine comporta quindi una strage
di egoismi e falsi attributi umani. Il viaggio si
realizza, come l'upupa aveva annunciato e
descritto, attraversando sette ardue valli, e ciò
che sopravvive deve annichilirsi per poter
rinascere ad una vera Coscienza. Le valli,
simbolo delle tappe dell'evoluzione interiore,
sono quelle della Ricerca, dell'Amore, della
Conoscenza, del Distacco, dell'Unificazione,
dello Stupore, della Povertà. I dialoghi sono
inframmezzati da racconti aneddotici che
rinforzano il carattere didascalico e sapienziale
del poema.
Riporto brevemente qualche passo solo per dare
una idea del suo tenore.
Parla l'upupa:                                                                                      
"Amici uccelli, in verità io sono il messaggero
del divino, l'inviato dell'invisibile…io ebbi
udienza un giorno da Salomone e per questo
divenni eminente tra i suoi sudditi…noi abbiamo
un re senza rivali che vive oltre la montagna di
Qaf. Il suo nome è Simurgh ed è il sovrano di
tutti gli uccelli. Egli ci è vicino ma noi siamo ad
una distanza infinita da lui… La sua dimora è
protetta da gloria inviolata. Il suo nome non è
accessibile a ogni lingua… Se vi avrò come
compagni sarete a corte i più intimi confidenti
del re. Liberatevi dalla vostra miope
presunzione! Chi mette in gioco la vita per lui si
libera da se stesso, sulla via dell'amato egli va al
di là del bene e del male. Abbandonate la vostra
vita e iniziate il cammino, avvicinatevi a quella
corte a passo di danza!
I pretesti di tutti gli uccelli:
Noi che siamo una turba di deboli e inetti, privi
di penne e di ali e di corpo e di spirito, come
potremo giungere sino al nobile Simurgh se non
in virtù di un miracolo? Quale relazione può
esistere tra noi e lui? Se davvero esistesse un
rapporto tra noi, non dovremmo forse desiderare
di cercarlo? Egli è come Salomone, noi siamo
miserabili formiche: considera attentamente il
suo rango e commisuralo al nostro. Una formica
precipitata nel fondo di un pozzo può forse
giungere a Simurgh contando sulle sue forze? E
perché mai un principe dovrebbe divenire amico
di un miserabile?
L'upupa così rispose.
O inconcludenti! Da cuori a tal punto inariditi
come potrà stillare autentico amore? Miserabili
creature, fino a quando durerà la vostra ignavia?
Passione e aridità non possono coesistere e
chiunque aprì gli occhi all'amore andò a giocarsi
la vita a passo di danza.
Ecco, le immagini del Popolo Migratore,
mostrano che questi antichi poeti, sapevano
osservare la Natura molto bene, al punto da
trarne simbologie universali. Sapevano molto
bene che il cuore umano, in quanto contenente
un atomo di assoluto, va osservato come
fenomeno naturale.
Il viaggio è una prova davvero dura", dice la
voce narrante mentre le immagini mostrano
scene di abbattimenti da cacciatori e carcasse
scheletrite nel deserto. Le danze rituali delle gru
e degli altri uccelli riempiono i luoghi delle loro
soste, lungo le rotte del viaggio, come chi si sia
affidato alla forza naturale dell'amore. La
classica formazione di volo a cuspide delle oche,
che l'operatore riesce a farci seguire come se
fossimo uno di loro, toglie ben poco alla fatica
meccanica del viaggio ma dona tutto dal lato
essenziale dell'energia solidale del gruppo che
avanza verso una meta di un altro continente.
Quando al fine le oche ritornano al luogo da
dove sono partite la voce narrante dichiara: "La
promessa del ritorno è stata mantenuta". Non
tutte sono tornate. Forse sono più di trenta su
centomila e viene spontaneo chiedersi se noi,
esseri evoluti, siamo in grado di riconoscere e
mantenere le promesse verso il nostro destino,
affrontando decimazione e morte simbolica.
Attar vuole ricordare a tutte le genti delle epoche
susseguenti che l'uomo ha un destino naturale
più arduo, percepibile solo con il cuore, che non
può non affrontare.
Le sue promesse sono state pronunciate in altri
luoghi.
Il popolo dell'uomo ha itinerari lungo altri
mondi.
Il popolo dell'uomo vola con le ali del cuore.
La meta del suo ritorno è tra le stelle.
Chi ha avuto la fortuna di leggere il capolavoro
di Wofram von Eschenbach, non può fare a
meno di
non collegare Simurgh con Anfortas : anche se in
maniera non del tutto identica, la matrice è più
che
evidente, oltre che all’esoterista, anche ad un
attento osservatore.
Ma permettetemi di parlare ancora del poema di
Attar, pieno di immagini su fiche che riempiono
le sue pagine con aneddoti di antichi saggi,
includendo altresì il famoso Khidr, la guida
nascosta dei sufi.
Gli uccelli, che rappresentano l’umanità,
vengono raggruppati da un’upupa, il sufi, che
propone loro di partire alla ricerca del loro
misterioso re. Questi, come abbiamo detto si
chiama Simurgh e vive sulla montagna di Qaf ( e
qui possiamo fare riferimento a Montsalvage di
Wolfram V.E. nel Parzival ).
Ogni uccello, dopo l’iniziale accettazione del
sapere dell’esistenza del re, inizia ad avanzare le
proprie scuse perché lo esonerino dal prendere
parte al viaggio per cercare il re nascosto.
L’upupa, dopo aver ascoltato le lamentele di
tutti, replica con una favola che illustra come sia
inutile preferire quello che si ha o si può avere a
quello che si dovrebbe avere.
Tornando quindi alle radici del Graal, oltre a
quanto abbiamo detto finora, non va dimenticato
il fratello di Parzival, che suo padre ebbe in
Oriente…né va dimenticato altresì che nell’opera
di Wolfram, il Graal è una pietra, che le frequenti
traduzioni chiamano ( in modo storpiato ) “ lapsit
exillis “. E’ in virtù di questa pietra che la fenice
si riduce in cenere, ma dalla cenere rinasce alla
vita; è grazie a questa pietra che la fenice si
trasforma per riapparire in tutto il suo splendore,
più bella che mai….”Questa pietra ( dice
Wolfram ) dà all’uomo una tale forza che le sue
ossa e la sua carne ritrovano subito la loro
giovinezza : Viene anche chiamata Graal “ .
Non posso fare a meno perciò, di proporvi questi
passi così attinenti a quanto abbiamo detto, tratti
appunto dal Parzival di 
Wolfram Von Eschenbach :

“ Vive là una schiera armata,
vi dirò del loro cibo.
E' una pietra che li nutre,
di una specie molto pura.
Se voi nulla ne sapete                                                   
vi dirò come si chiama:
è il suo nome lapsit exillis.
Per virtù di quella pietra
la fenice si distrugge
e rinasce dalle ceneri.
Così muta la fenice
e risplende molto chiara
ed è più bella di prima.
Non c'è un uomo sì malato
che un dì guardi quella pietra
e che muoia in sette giorni.
Per lui resta fermo il tempo,
il suo aspetto più non cambia,
e se guarda quella pietra,
fosse anche per due secoli,
poi rimane esteriormente
come era in gioventù,
solo che incanutisce.
Questo avviene a donne e a uomini.
Quella pietra dona all'uomo
una forza così grande
che il suo corpo resta giovane.
E' una pietra il Santo Graal:
vi discende un messaggero
che le dà virtù sublime.
Ecc…

Qui è facilmente ipotizzabile che la definizione
originaria fosse “ lapis e coelis “, cioè “ pietra
caduta dal cielo “, secondo un’etimologia
riconducibile alla tradizione della Cabala e della
Mecca.

di Mario Madia - tratto dal N° 6 di Lex Aurea



venerdì 10 settembre 2010

Nãsir-e Khosraw (1004-1074 o 1088), grande maestro ismailita del Ta'wîl


"La religione positiva (sharî'at) é l'aspetto essoterico della Verità spirituale (haqîqat), e la Verità spirituale é l'aspetto esoterico della religione positiva..... La religione positiva é il simbolo; la Verità spirituale é il simboleggiato".

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N. Khosraw nasce verso il 1004 a Qobadiyan, borgo vicino alla nota città di Balkh (ai confini del Khorasan), all'epoca importante punto d'incontro di varie culture; nel corso dei secoli, il mondo sembrava essersi dato appuntamento in questa località, via via arricchita dal passaggio, e a volte dalla permanenza, della cultura zoroastriana, greca, buddhista, manichea, nestoriana e musulmana. La famiglia é di discendenza alide, e Khosraw ha diritto al titolo di seyyed, in quanto discendente del Profeta. Fin da giovane mostra interesse per filosofia, scienza e religione, anche se da un punto di vista spirituale non risulta particolarmente impegnato. Di certo sappiamo che la sua vita cambia notevolmente verso i 40 anni, operando un notevole salto di qualità, fatto sicuramente dovuto a contatti con ambienti ismailiti. Nel 1045, Khosraw stesso scrive: "Occorre che mi risvegli da un sonno durato 40 anni". In tale periodo, decide di abbandonare la sua carriera di funzionario pubblico, ripara la moschea di Guzganan e parte per un lungo pellegrinaggio che tocca vari centri religiosi, anche ismailiti, e soprattutto la Mecca e Il Cairo. "Nasir Khosraw, attratto dalla fama di Al Mostansir, venne dal Khorasan in Egitto, dove rimase sette anni, durante i quali compì varie volte il pellegrinaggio a La Mecca, ritornando in Egitto ogni anno" (Rasidu-d-din Tusi, famoso storico persiano).

Nell'età di Khosraw, Il Cairo é una delle più importanti e splendide città del mondo, cuore del califfato fatimide, retto da Al Nostansir per un lungo periodo (1036-1094), il quale califfo é contemporaneamente anche Imam di tutti gli Ismailiti (solo alla sua morte, infatti, vi sarà la scissione tra Mustaliti e Nizariti, di cui dovremo dire a parte). Tale califfato-imamato segna uno dei momenti più elevati dell'esperienza fatimide-ismailita e forse dell'intera civiltà medievale, non solo islamica. Ecco come Khosraw stesso descrive, nel "Libro di viaggio", l'atmosfera di serenità e sanità morale che caratterizzava la vita nella capitale fatimide: "Tutti si sentivano sicuri della giustizia del Re, nessuno aveva a temere sicofanti o spie. Tutti avevano fiducia nel Sovrano, certi come erano che egli non avrebbe oppresso alcuno né bramato le ricchezze di alcuno ... il benessere che notai la non mi apparve in nessun altro luogo".
Un commentatore contemporaneo, al quale dobbiamo la citazione di cui sopra, così spiega il lusinghiero giudizio di Khosraw: "Questa eccezionale prosperità era dovuta principalmente a tre fattori: alla buona amministrazione, che non doveva temere, come in altri paesi orientali, le improvvise velleità di sultani o di emiri; alla tolleranza religiosa, che permetteva di intessere traffici coi paesi cristiani e consentiva ai Cristiani e agli Ebrei egiziani di arricchirsi, collaborando così al benessere comune; alla stabile organizzazione delle milizie, regolarmente pagate dal governo e che, quindi, non vivevano di esazioni imposte alla popolazione civile" (Pio Filippani Ronconi).
Khosraw resta dunque per circa sette anni a Il Cairo (sia pure spostandosi periodicamente altrove per motivi legati alla sua attività),durante i quali riceve l'iniziazione alla Da'wat (Appello, Convocazione) ismailita, tramite Mo'ayyad Shirazi (morto nel 1077), noto come autore fecondo in arabo e in persiano (cosi lo descrive H. Corbin), ma soprattutto occupante l'alto grado gerarchico di Guardiano della Soglia.
L'Ismailismo, ben presente in Egitto, ha già notevoli ramificazioni verso oriente (specie la Persia) che il califfo Al Nostansir vuole potenziare: all'interno di questo progetto, Khosraw riceve l'investitura di "Hojjat" (Garante), e in tale qualità viene inviato al suo paese natale per operare nel Khorasan e nelle zone circostanti, dal Mar Caspio, alla Persia, al Pamir (ricordiamo di sfuggita che nell'area iraniana, dopo Khosraw, che però gli aveva preparato il terreno, opererà un altro prestigioso emissario di Al Nostansir, il famoso Hasan-e Sabbah: fuggito dall'Egitto in circostanze non del tutto chiare, nel 1081 troverà rifugio in Persia e nel 1090 si impossesserà del castello di Alamut -Nido d'Aquila-, destinato a diventare il centro spirituale dell'Ismailismo nizarita).
Nel 1052 Khosraw é dunque di nuovo a Balkh; in quanto alto dignitario ismailita, viene visto con diffidenza in certi ambienti ostili al ta'wil (lettura esoterica di Corano e Hadith, professata dagli Ismailiti). A causa dei contrasti che rendono precaria la sua permanenza, decide di trasferirsi a Yomgan, nell'alta valle del Kokca (affluente dell'Oxo), in una zona controllata da un suo amico e protettore, l'emiro del Badakhshan, Ali Ibn Asad. Di certo, verso il 1061 é già sistemato in questa località, dove dirige la comunità ismailita (ancor oggi vivente); nello stesso anno, termina il "Viatico dei viaggiatori" (vi sono riferimenti ai motivi che lo spinsero ad abbandonare Balkh).Proprio l'emiro del Badakhshan, nel 1070, gli fa pervenire una copia della Qasida (Cantico) di Abul Haitham, poeta ismailita. I quesiti posti nella Qasida stimolano Khosraw, su preghiera dell'emiro, a scrivere il Libro che riunisce le due saggezze, uno dei più significativi trattati ismailiti e uno dei più notevoli testi metafisici di ogni tempo. Oltre alle opere già citate, ce ne sono giunte altre, e in altre parole: Diwan (raccolta di poesie), Il libro della luce, Il volto della religione, La tavola dei fratelli, Il libro dello scioglimento e della liberazione.                                                   
Khosraw muore a Yomgan verso il 1074 (secondo altri, nel 1088). Viene sepolto in una tomba modesta, che vi si trova ancora oggi. Gli abitanti del posto, al di là di ogni divisione religiosa tra sunniti, sciiti e ismailiti, concordano nel considerare Khosraw un grande maestro sufi; lo stesso dicasi, in generale, per quanto riguarda gli abitanti di vari paesi dell'Asia centrale russa e dell'Alto Oxo, perciò la tomba del maestro e altri luoghi che lo ricordano ("le fonti di Nazir") sono da secoli meta di pellegrinaggi anche da parte di quei musulmani che sono al di fuori della tradizione ismailita vera e propria. Ricorderemo, per concludere, che nelle località citate operano ancora, nonostante la persecuzione sovietica, delle comunità fedeli a Khosraw e alla Ismailiyya. Tutto ciò torna a onore dei poveri e rudi montanari del Gorno-Badakhshar (la regione che presenta il maggior numero di Ismailiti) e delle zone circostanti, saldamente ancorati, come alla roccia delle vette del Pamir, ad una delle più nobili e luminose tradizioni dell'umanità, e dimostra una volta di più, caso mai ve ne fosse bisogno, che la metafisica é fatta per gente semplice dal cuore puro, tra l'altro abituata a sperimentare quotidianamente le meraviglie naturali quali "segni di Allah", e non per grigi professori liceali e per carrieristi esperti in varie erudizioni fini a se stesse, come quelli che popolano le nostre università e le nostre invivibili e artificiose metropoli.

Paolo Scroccaro
tratto da EST-Ovest, Sezione Tradizione                                     



lunedì 6 settembre 2010

Santa Sakineh, martire delle corna


.pubblicata da INFORMAZIONE SCORRETTA il giorno lunedì 6 settembre 2010 alle ore 11.01.

Ricevo da un lettore e volentieri pubblico:
La vicenda di Sakineh non è soltanto un indicatore di tensione geopolitica, è qualcosa di più, è una fotografia di che cos'è diventato l'occidente, di come si è modificato.
Questa storia di Sakineh,ci racconta poco sull'Iran, di cui grazie alla propaganda sappiamo poche cose e confuse, ma ci racconta molto invece, sul nostro occidente.
Per l'occidente Sakineh è molto più che una semplice poveraccia a cui risparmiare una morte crudele, ma è una martire, un'adepta, una santa, una ''convertita'' ai ''nostri valori'' che muore per essi...
una figura che se fosse trasportata in occidente avrebbe un'autorità morale superiore al Papa, che parlerebbe da un pulpito come un Papa, perchè secondo me al giorno d'oggi è fin troppo facile prendersela con il Papa, con la Chiesa, perchè la Chiesa è ormai morta: chi se la prende invece con i nuovi dogmi, con la nuova chiesa di cui Sakineh è martire?
Questa è la nuova religione, di cui le donne occidentali sono diventate sacerdotesse, che non si può criticare, che dev'essere accettata come dogma.
Una volta l'occidente si incazzava se venivano uccisi dei cristiani, per esempio nella rivolta dei boxer in Cina, la Cina è stata punita con una spedizione apposita per aver ammazzato dei missionari. Allora per avere le opinioni pubbliche dalla loro parte si diceva che bisognava andare a difendere i cristiani, oggi invece in difesa di chi va in guerra l'occidente?
Le femministe svolgono in sostanza la stessa funzione che allora era propria della chiesa cattolica, forniscono un collante ideologico in funzione del quale l'occidente si mobilita, rendendo accettabile e anzi irrinunciabile la guerra per le opinioni pubbliche.
Viene spontanea la domanda, se in occidente, nel frattempo, la religione non sia cambiata...
Ora infatti c'è la religione del sesso libero (ma solo per lei), delle corna (ma solo per lei), dell'intangibilità della Donna, la quale ha rubato la D maiuscola a Dio.
Così come prima si veneravano coloro che rischiavano la vita per Cristo, oggi si venera chi rischia la vita per fare le corna. Questa, rendiamocene conto, E' LA NUOVA RELIGIONE.
Perchè qui non si chiede soltanto pietà per un'adultera, qui le si vuole costruire un monumento, dedicarle un dipinto, un'opera d'arte, un pò come una volta si faceva per i santi...santa Sakineh martire delle corna...
ma immaginate che cosa succederebbe se questa venisse in occidente, il tappetino rosso che le stenderebbero...
i soldi che prenderebbe facendo libri, immaginate gli applausi scroscianti mentre viene intervistata a ''Che tempo che fa'' da Fazio, manco fosse Gandhi...come se tradire e ammazzare il marito fosse un atto meritorio...
qui non si chiede pietà, qui ci si indigna, non solo come se lei fosse innocente, ma come se addirittura fosse una figura esemplare che ha fatto una cosa per cui andrebbe premiata.
Io capisco che si faccia così per un prigioniero politico, ma questa è in carcere per adulterio e omicidio colposo... [In realtà è accusata di essere mandante di un omicidio premeditato, NdR].
Evidentemente si dà a questi atti un valore politico, una donna che tradisce e uccide il marito ha evidentemente aderito ai nostri valori, un'assassina, un'adultera viene vista come una femminista, prova in più di come le femministe considerino realmente sé stesse, COME DELLE ADULTERE ASSASSINE.
Questi sono i danni del femminismo, perchè noi siamo diventati l'Islam all'incontrario, dove viene chiesta in tv la castrazione fisica degli stupratori, ma ci si indigna per la legge del taglione islamico, solo se ovviamente ne fanno spese le donne, dove se l'uomo è tradito deve pure tirare fuori i soldi per mantenere lei e il suo amante...che una donna invece di ricevere soldi per questo debba ricevere pietre è una bestemmia inaccettabile...
ma tu prova a fare questi ragionamenti in televisione...verrai lapidato mediaticamente dalle nostre ayatollah. Eccoci nel nostro, di regime, mentre ci chiedono di mobilitarci per abbattere quello altrui, che nemmeno conosciamo.

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Aggiungo soltanto che anche la storia delle lapidazioni in Iran è una bufala. Per quanto la lapidazione sia formalmente prevista dai codici, l’Iran ha posto fin dal 2002 una moratoria su questo tipo di pena capitale, tant’è vero che – come perfino i nostri media ogni tanto sono costretti ad ammettere, tra una lacrimevole sbrodolata e l’altra sui “diritti delle donne in Iran” – la pena cui Sakineh sarebbe condannata in caso di verdetto di colpevolezza per concorso in omicidio (non per semplice adulterio, come favoleggiato dai nostri giornali) sarebbe l’impiccagione, non la lapidazione. Tutte le notizie di lapidazioni in Iran dopo il 2002 vengono da fonti occidentali e non sono mai state confermate (e anzi sono state ripetutamente smentite) dalle autorità iraniane. Inoltre, nel 2008 è stato presentato al Parlamento iraniano un progetto di legge che chiede di eliminare anche formalmente la menzione della lapidazione dai codici penali. La revisione del sistema penale iraniano, in corso dal giugno 2009, mira, tra le molte altre cose, anche a questo obiettivo.
Paesi in cui la lapidazione è effettivamente praticata sono l’Afghanistan e l’Arabia Saudita (che prevede per le adultere anche la pubblica decapitazione), ma raramente vengono citati dalle cronache, trattandosi di “protettorati” o di alleati degli Stati Uniti. Anche Israele non scherza: qui potete vedere (se ve la sentite) le immagini della lapidazione di una donna palestinese ad opera di alcuni soldati dell’esercito israeliano.
En passant, ricordo anche che negli Stati Uniti, in Virginia, sta per essere giustiziata Teresa Lewis, per crimini non troppo dissimili da quelli di Sakineh (anche lei aveva organizzato l’omicidio del marito, insieme a quello del figliastro). Curiosamente, i giornali occidentali non hanno dedicato alla sua vicenda neppure un millesimo dello spazio dedicato a Sakineh, niente petizioni pubbliche, niente accorate rimostranze contro la disumanità del sistema penale americano. I riflettori della propaganda, evidentemente, non sono programmati per accendersi sulla barbarie dei dominanti.

http://blogghete.blog.dada.net/archivi/2010-09-06





domenica 5 settembre 2010

An Iranian Basic Income?

L'Iran è sul punto di diventare il primo Paese al mondo ad introdurre un reddito di base da versare a tutti i cittadini.

.pubblicata da INFORMAZIONE SCORRETTA il giorno lunedì 30 agosto 2010 alle ore 16.21.L'Iran è sul punto di diventare il primo Paese al mondo ad introdurre un reddito di base da versare a tutti i cittadini. Tagliando sussidi statali inefficienti, come per esempio quello sui carburanti, ridistribuirà tale ricchezza direttamente ai cittadini versandogli quasi un quinto dell'attuale reddito pro capite. Complimenti!


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This article by Karl Widerquist, editor of the US Basic Income Guarantee (USBIG) e-newsletter - http://www.usbig.net/.
Iran: On the verge of introducing the world’s first national basic income

Iran is on the verge of becoming the first country to introduce a basic income. This dramatic development is happening with little international attention and for reasons that have little to do with the international discussion of basic income.
Iran is trying to get rid of a horribly inefficient system of implicit fuel subsidies. As one of the world’s largest oil producers, the Iranian government makes about $70 billion per year from the oil exports, but it loses an estimated $100 billion dollars per year (30% of its GDP) by directing its state-owned enterprises to sell various products, mostly gasoline, far below their international price. Thus, Iran’s system of subsidizing the consumption of fuel at home actually costs more than Iran makes exporting fuel abroad.
This system of subsidies is one of the main benefits Iranians receive from their government, and many Iranians have grown dependent on cheap fuel and other commodities. The government cannot get rid of the subsidies without providing something else for the people to cushion the blow. After several years of debate, basic income has emerged as the only realistic form of compensation for the withdrawal of subsidies.
Thus, basic income has arrived in Iran through the backdoor, sidestepping most of the issues usually discussed in the international debate. The money will come from eliminating obviously inefficient subsidies. The money should go to everyone, because everyone will suffer from the loss of the subsidies, and everyone has equal claim to own the state enterprises. The money can’t be targeted because the government doesn’t have the ability to collect the necessary information to ensure that targeting is accurate.
According to the new law, the government will use half of the increased revenue for other government services, and it will distribute the other half of the money directly to the people as a grant to all who apply. When fully phased in, that amount has the potential to provide a basic income of $60 per person per month ($720 per year) or more. This figure is still well below the poverty line, but it is a very significant amount. Iran has a per capita income of only $3,500 per year, less than one-tenth of Alaska’s per capita GDP of $42,000. Nearly 70 million people will be eligible for the Iranian basic Income, more than 100 times the number who receive the Alaska dividend. Considering also the enormous difference in the cost of living in the two places, it is clear than a $720 basic income in Iran will be more significant than the existing $1000 to $2000 dividend in Alaska.
There are drawbacks to the current plan. Although every citizen of Iran is entitled to the grant, the money will be paid to “heads of households,” who are overwhelmingly male. Thus, some men may have the power to keep their wives, children, and other dependents from benefiting from the grant. Also, foreigners living in Iran (mostly Iraqi and Afghan refugees) will not receive the grant even though they will suffer as much as other residents from the loss of the subsidy.
The phase-in is scheduled to begin sometime between September 2010 and March 2011. There is no clear word on how long the phase-in will take. The law has been passed; more than 90% of Iranians have already applied for their grants, but the Iranian political system is chaotic, and there could yet be substantial changes. We can’t be sure exactly what will happen until it happens. We can only wait and see.
The source for this article is “The ‘Basic Income’ Road to Reforming Iran’s Subsidy System,” by Hamid Tabatabai, paper presented at the 13th International Congress of the Basic Income Earth Network (BIEN), June 30 – July 2, 2010. There is much more to this issue than I have had room to discuss here. For more information, or for a copy of that paper, please contact Hamid Tabatabai at hamtab@gmail.com.

Le Icone del sistema


                                                                        
.La potenza della macchina propagandistica dell'Impero è davvero impressionante Non credo molto alla esistenza dei messaggi subliminali ma certamente è davvero strepitoso come pur sapendo tutti che la signora Sakineh non sarà lapidata si continuino a fare manifestazioni ed a raccogliere firme contro la lapidazione. La macchina della menzogna è in grado di travolgere la verità. E' molto difficile resistere quando tutti i telegiornali, tutte le radio, tutta la carta stampata portano l'immagine di una bella donna con il capo coperto da un velo nero e si fa appello al nostro buon cuore, ai sentimenti, alle nostre profonde convinzioni umanitarie: siete favorevoli o contrari alla pena di morte? Se siete contrari aderite, firmate questo appello. Financo Dario Fo e Franca Rame si sono arruolati a questa campagna che sta umiliando l'onore la dignità dell'Iran come Stato e che, in definitiva, è una campagna di odio, di scientifica denigrazione, per preparare l'opinione pubblica mondiale a quanto stanno tramando gli USA ed Israele che hanno navi, aerei, truppe acquartierate ai margini dell'Iran e pronte a sferrare un attacco mortale pari a quello sferrato contro l'Irak due volte e contro l'Afghanistan. La confezione del falso è financo rudimentale. Non ci vuole molto per comprendere che si tratta di un marchingegno preparato nel laboratorio della controinformazione Cia: la vicenda di Sakineh è quella di una persona che viene usata per una colossale campagna denigratoria contro l'Islam come religione e contro l'Iran come nazione. Nei giorni scorsi è stata orrendamente lapidata una giovane donna in Irak ma non se ne è occupato quasi nessuno. La lapidazione è avvenuto in un paese "liberato" dall'Occidente. Altre lapidazioni sono avvenute in varie parti del mondo delle quali quasi non si è data notizia. Certo lapidazione ed infibulazione sono pratiche barbariche che vanno abolite. Ma il problema oggi non è questo. La lapidazione fa comodo alla propaganda imperiale. Bisogna liberare l'Iran dai preti come si è liberato ieri l'Irak da Sadam Hussein impiccato dopo essere stato vilipeso in mondovisione. Mi aspetto domani di vedere la testa di Ahmadinjed penzolare da una forca magari con la signora Sakineh che aiuta il boia. L'Impero per giustificare le sue guerre di aggressione, per spingersi sulla strada del dominio del mondo ha bisogno di crearsi delle icone, delle figure che materializzano l'idea di ciò che bisogna difendere e di ciò che bisogna combattere e diventino eroine della grande battaglia di "valori". Ieri l'Icona dell'Iran era Neda, la ragazza uccisa durante una rivolta contro il Governo. Sulla sua morte ancora oggi, nonostante è stato provato da eminenti scienziati che il sangue che ne copriva la faccia non poteva essere vero, si continua a parlarne come di una martire. Questa icona viene sostituita oggi dalla signora Sakineh che viene griffata con uno slogan di grandissimo impatto: no alla lapidazione. Che cosa può suscitare in noi raccapriccio maggiore della lapidazione? Nonostante l'impupata storia faccia acqua da tutte le parti si continua imperterriti ad andare avanti. Chi se ne frega? Come dice Berlusconi, la verità è ciò che afferma la televisione!! In quanto ad Icone la storia è vecchia: si tratta di un trucco usato almeno da cinquanta anni. Si cominciò con la figlia di Stalin, Svetlana, che nel 1966 "scappò" da Mosca in Florida per respirare la libertà che mancava nella URSS del padre, sebbene defunto di anni. La sorella di Fidel Castro fu arruolata dalla Cia e trasferita pure lei in Florida dove organizza la Resistenza dei cubani anticastristi. Anche la signora San Suu Kuy candidata alla Presidenza della Birmania è una sorta di santino per ora tenuta in riserva. Si parlò di lei l'ultima volta l'anno scorso. Evidentemente gli USA non hanno urgenze particolari sulla Birmania anche se non saranno soddisfatti se non dopo avervi installato una base militare. Anche della signora Betancoort già prigioniera delle Farc e liberata dai militari colombiani proposta per il premio Nobel per la pace non si tiene gran conto. Evidentemente Obama si è acconciato molto bene con il regime colombiano e per il momento non abbisogna di una eroina. Altre icone sono i monaci buddisti. Mi riferisco al Dalai Lama ed al Grande Capo del Vietnam Tich Nhat Hanh. In questo momento non sono molto attivi, sono dormienti. Evidentemente la Cina ed il Vietnam del Nord non sono prioritari. Oggi è prioritario nei piani militari l'Iran! Queste eroine hanno una caratteristica in comune: sono piazzate in posti dove ancora l'influenza dell'Impero non è arrivata. Birmania, Cuba, Iran sono fuori dall'area di influenza e di condizionamento degli USA e delle multinazionali. Debbono essere "normalizzate" al più presto. L'impero deve aggiungere altre basi militari alle mille che ha sparse in un reticolato enorme in tutto il mondo. E' desolante l'adesione acritica della sinistra europea a tutte, indistintamente tutte le campagne organizzate dagli USA attorno a questi Santini, a queste Icone. La sinistra europea è interna agli interessi del capitalismo euroatlantico ed in qualche modo si è schierato contro se stessa e contro quanto nel pianeta é nei piani di annessione e di sottomissione degli USA. Non é una novità! Al dunque l'internazione Socialista ha sempre votato i crediti di guerra e si è sempre schierata dalla parte del colonialismo. Durante tutto il Novecento se non vi sembra poco!

Pietro Ancona - "Le Icone dell'Impero"
pubblicata da INFORMAZIONE SCORRETTA il giorno venerdì 3 settembre 2010 alle ore 17.11

giovedì 2 settembre 2010

Ernst Jünger cacciatore sottile - di Luigi Ranzani






ARTEMIDE CACCIATRICE


«Temo che gli animali vedano nell'uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale -vedano cioè in lui l'animale delirante, l'animale che ride, l'animale che piange, l'animale infelice».
F. Nietzsche, La gaia scienza.
                                                                        *************

La caccia, il cacciare prima ancora che un'azione, una passione è innanzitutto un luogo, di più: è l'esperienza del limite.
Artemide presso i Greci abitava, oltre a monti e boschi, ogni territorio agròs : le terre incolte che segnano, al di là dei campi coltivati, i confini del territorio civilizzato della pòlis. Alla frontiera di questi due mondi Artemide presiede alla caccia accogliendo il cacciatore che, oltrepassando questa frontiera, rischia l'inselvatichirsi, la bestializzazione.
Ma Artemide è anche Limnatis perché abita quei paesaggi eterici, indefinibili, non asciutti né completamenti acquosi che si estendono tra terra e acqua: paludi, acque stagnanti, litorali, argini. Per la mossa promiscuità dei confini che presiede Artemide partecipa di uno statuto ambiguo: mette in causa, sottolineandone l'estrema fragilità anzi rendendo la fragilità stessa permeabile, il limite tra l'ordine della civiltà e il regno del caos abbandonato alla violenza pura e spontanea di una fecondità continua; ma insieme consacra l'intangibilità del limite rendendolo distinguibile e riconoscibile. Lacerando la chiusura del limite accoglie il cacciatore nel territorio dell'Altro, acconsente all'oscillazione tra umano e non umano così come al rischio dell'oltrepassamento verso l'indistinguibiltà dell'informe. Ma proprio sul limite, al culmine della crisi come cancellazione del limite, attraverso una 'manifestazione soprannaturale' Artemide salva il cacciatore guidandolo al riconoscimento, facendogli fare l'esperienza, il sacrificio, del limite.
Nel primo caso cancella, confonde le frontiere della natura o nella mente; nell'altro, proprio quando le frontiere sono confuse, ne permette la distinzione: «Artemide opera sempre come divinità dei margini, con il duplice potere di mantenere, tra selvatichezza e civiltà, i necessari passaggi e di conservarne i rigorosamente i confini al momento stesso in cui questi si trovano superati».
L'esperienza della caccia raccoglie i molti nomi del rapporto, idiosincraticamente mediato, che Ernst Jünger intrattiene con il proprio 'altro'.
L'apertura di Cacce sottili (testo uscito in Germania nel 1980 e tradotto in Italia da Alessandra Iadicicco presso Guanda nel 1997) testimonia, infatti, della passione giovanile dell'autore per la raccolta e la collezione di insetti: passione che lo accompagnerà lungo tutta la sua lunga vita, impegnandolo in un atletismo contemplativo in continuo slittamento tra l'individuativa esplorazione analitica dell'occhio 'scientifico' e l'abbandono allo sguardo più pudico del puer oltre che, ovviamente, nella pratica restitutiva dello stile.
Il giovane Jünger si accosta all'osservazione del mondo naturale attraverso l'emulazione del padre che, prima botanico poi farmacista di professione, riforniva la biblioteca di famiglia di cataloghi illustrati, suscitando la curiosità dei figli. In realtà la disposizione verso l'ammirazione e lo studio della natura, cui fu decisiva la venerazione materna per Goethe, è parte importante di una formazione culturale (Bildung) tramandata generazionalmente e garantita dalla ripetizione delle due azioni costitutive della scientia amabilis: contemplazione e descrizione: «La vera conoscenza della natura, la cura attenta dell'osservazione, il confronto, la classificazione e la descrizione degli oggetti aveva stregato gli spiriti per più di cent'anni in un modo che noi possiamo appena immaginarci».
Alla dedicazione per le cacce sottili Jünger perviene attraverso l'abbandono del gioco degli scacchi.
Ma significativa è l'argomentazione che motiva la scelta: «Quanto alla perdita di tempo era la stessa cosa che per il gioco degli scacchi, solo che l'attrazione era più forte perché la partita non si esauriva in pure combinazioni, ma dischiudeva alla contemplazione un campo inesauribile».
Sospettando che l'idealismo proairetico dello scacchista nasconda "l'uomo della rinuncia", Jünger inclina per un adesione attiva, strategicamente partecipe dell'esistente e dei suoi inciampi materiali, riconoscendo nella sorpresa e nell'arrischio della caccia lo specchiarsi di Eros e Pòlemos : Jünger caccia perché già vinto dall'inquietante aspetto gianico con cui «la forma archetipica del grande gioco del catturare e nascondere» si fa mondo.
Il momento entusiastico, maniacale che muove il cacciatore non si esaurisce però in mera oziosità, magari patinata da nostalgie aristocratiche, né in quel dilettantismo estemporaneo, mimetico e abbastanza comune condiviso da molti appassionati e che ne motiva forse la volubile scostanza.
In realtà il cacciatore, partecipando al gioco eracliteo dell'eterno divenire che governa, invisibile, il cosmo, si orizzonta in dimensioni spaziali più complesse che la linearità bidirezionale tracciata dal banale rincorrersi di inseguitore ed inseguito.
Lo spazio d'azione del cacciatore, e tanto più se sottile, sembrerebbe infatti non concedere l'illusione di una assoluta padronanza e determinazione dei gesti in quanto compromesso con la dimensione microcologica dell'esistenza entomica, la più prossima all'effetto dissimulante della superficie e al suo inquietante riso proteiforme.
Lo scintillio improvviso, immotivato nell'apparente immediatezza, di improbabili 'gioielli della terra' sembra impedire la semantica dell'azione fondata sul dualismo soggetto-oggetto: l'imprevedibilità ne disarma l'intenzionalità così come la 'paurosa' gratuità ne rallenta il dispositivo di cattura, l'istante auratico dell'apparire dissolve la sostanzialità dell'ego alterandone l'autocoscienza spaziale e spinge a considerare la possibilità dell'incontro al di là di un fatto anticipabile dalla volontà di partecipazione, verso l'incondizionatezza aleatoria di un puro evento.
Si tratta di una forza invisibile che non muove oggetti ma lega affetti, non condizionata da un preventivo assenso della coscienza e che provoca il pensiero all'immagine di uno spazio composto da luci discordanti e coimplicati, pieni e vuoti connessi dall'anonima forza armonizzatrice immanente agli infiniti fili di una tessitura cosmica: «La forza di una terra agisce a grandi profondità e determina non solo l'armonia reciproca tra gli esseri viventi, ma anche quella della natura inanimata. Le cose più lontane si accordano tra loro attraverso la rima. Il mondo si compone e si fa poesia».
Possiamo già qui notare come l'occasione autobiografica venga distillata dei suoi aspetti aleatori e soggettivistici per ricomporsi stilisticamente secondo prospettive schiettamente speculative. Questa oscillazione del piano scritturale la incontreremo, intensificata nel movimento, ogni volta che la bellezza sensibile si presenterà quale ineludibile domanda circa il senso della destinazione terrestre dell'uomo poiché, heideggerianamente, è proprio del Dasein il trascendersi nel domandare dell'essere dell'ente.
La figura mitica del cacciatore, alla luce del suo approfondimento fenomenologico, scolora delle tinte più immediatamente vitalistiche velandosi di una cortina serenamente malinconica che opacizza, senza annullarla, la compostezza algida della vis contemplativa.
La qualità malinconica però non inclina mai alla tristitia che un inevitabile confronto con la caducità delle forme trasmette -anzi in Jünger la delimitazione si conferma come necessità della perfezione stessa- quanto piuttosto, e in senso non pietisico, com-muove: letteralmente il bello agita il pensiero che, al contatto con l'alterità si trasforma intensionalmente: co-agitatio, avvertendo l'inquietante che lo abita.
In questa accezione potremmo leggere la malinconia jüngeriana accostandola a ciò che Benjamin commentava ne "Le affinita elettive" riferendosi al 'tocco' crudele della bellezza: «Salvare quel che vi è in essa di essenziale è lo sforzo di Goethe. In questo sforzo lo splendore di questa bellezza si turba sempre più, come la trasparenza di un liquido nella scossa in cui si consolida. Poiché non nella piccola commozione che si assapora, ma nella grande commozione della scossa, l'apparenza della conciliazione supera le belle apparenze e da ultimo anche se stessa».
L'eroismo del cacciatore acquista così dei tratti che lo avvicinano più alla pazienza del martire che all'impeto bellicoso del guerriero: egli patisce l'esposizione allo scavo denudante, dissolvente di una meraviglia ingiustificata ed anzi ne accondiscende l'urto (Stoss) spaesante con cui, una piccola porzione di materia colorata, nell'innocenza del suo terribile apparire, si annuncia come il pericolo estremo della morte, dell'annullamento di ogni individuazione: «La bellezza vuole rapirci ciò che ci appartiene; se diventa troppo forte, finirà col sottrarci anche il tempo».
La precipitazione impassibile con cui il predatore conduce la sfida, l'attacco e la cattura -dalla rilassatezza vegetale della concentrazione alla risoluta determinatezza dell'azione- se osservati da distanze allargate oltre il prospettivismo copernicano, si rivelano come dei modesti raggrinzamenti nella tramatura cosmica in cui per altro il cacciatore, se consapevole dell'impossibile definitività del proprio annodarsi, accede ad un'essenziale profondità del domandare: «Chi caccia è a sua volta cacciato e chi osserva è a sua volta tenuto d'occhio. Quanto più strana, bizzarra è la preda, tanto più urgentemente si impone la domanda sul senso dell'inseguimento. Si tratta sempre, comunque, di una finzione, ad ogni contatto con la terra, si tratti di insetti o di gioielli. Che cosa mi incatenava, che cosa mi rendeva allo stesso tempo cieco e veggente? Dove si cela il senso del gioco, e dove è appostato colui che mi scruta? Me lo domando spesso, e me lo chiesi anche allora, quando mi fui riscosso dallo stupore suscitato dall'antaeus».
Il paradigma venatorio si tinge di una serietà disciplinata alla correzione di quelle proiezioni antropomorfiche indirizzate alla fagocitazione sentimentale e compiaciuta di un'alterità non umana e non storica.
Infatti l'occasione venatoria, nell'intreccio delle reciproche esposizioni, stimola quella facoltà mimetica indispensabile per «poter godere della multiformità dei fenomeni» attivando la possibilità umana di sperimentare, attraverso il gioco analogico della somiglianza e della differenza, dell'avvicinamento microcosmico e dell'allontanamento segiziale, un'espansione dinamica e metamorfica della forza immaginativa: impraticabile passaggio che, attraverso straniamento e avvicinamento, oltrepassi la chiusura umanistica sull'identico ed insieme prepari il transito verso dimensioni interstiziali capaci di riorientarne la topologia: «Lo spazio per i movimenti liberi va assottigliandosi, sia per la colonizzazione sempre più fitta, sia per traffico sempre più rapido. Un modo per sfuggire alla sensazione di restringimento che ci opprime è la contemplazione accurata delle piccole cose; il mondo si riversa allora in particelle di piccole dimensioni. Le oasi fioriscono a ridosso delle strade militari, di cui gli esperti seguono solo a grandi linee il sistema; si muovono verso punti di riferimento e aree di sosta più nascoste, diverse dai porti e dalle stazioni [...]. I punti di riferimento sono le concrezioni magiche di un paesaggio, [...]quasi perdute nell'indistinto e, per questo tratteggiate con estrema chiarezza. La vista di una pietra preziosa può rendere accessibile una montagna».
VASO  DELLA  BEOZIA
                                                                        
Cacciare nei territori del nulla.
In questo restringimento che ci opprime, altrove nominato 'inquietudine anteica', la consapevolezza epocale, fattasi decrittura fisiognomica, legge lucidamente la trama che unisce la forza costruttiva e organizzatrice del nichilismo -il suo aspetto salutare- alla progressiva, calcolata distruzione della natura.
Questo nesso irresistibilmente occultato dal discorsivo è invece ricondotto alla arbitraria separazione metafisica tra soggetto e oggetto, in forza della quale ogni movimento interattivo tra umano e non-umano è univocamente dettato da atti intenzionanti della coscienza, o dalla messa in forma concettuale dell'immaginazione, e insieme, da una pretesa, accondiscendente disponibilità dell'ente ad essere raggiunto, trasformato, consumato, annientato.
Lo sguardo appassionato e partecipante alla bellezza non si sottrae dunque all'orizzonte epocale. La solitaria passione entomologica, così come la frequentazione della letteratura scientifica, è anche l'osservatorio non casuale per penetrare nella logica del movimento disgregativo del nichilismo: «Il crescente malessere è solo un sintomo della svolta dei tempi che si percepisce in un piccolo ambito lontano, dove trova il suo diletto lo spirito venerante». Nichilismo che, nel contatto incidentale o progettato con l'altro inumano, esercita inesorabile la potenza dello sguardo di Medusa pervicacemente impegnato nell'imbiancamento del carattere espressivo, multiforme, numinoso che si sprigiona quale elemento musico delle forme.
Jünger individua la condizione necessaria di questo esito dissolvente nel pregiudizio scientifico, cioè nella fede assolutamente moderna nella deducibilità veritativa del reale ricondotto alla misura concettuale della ragione umana. La progressiva estraneazione dal sentimento di coappartenenza ad un medesimo astro, accresce nell'uomo la necessità di una elementarizzazione dell'esuberanza qualitativa -nient'affatto naturale- della natura nell'ordinamento sistematico della conoscenza. Il vantaggio ricavato dalla riduzione logica (die Rationalisierung) dell'ignoto nell'abituale, è l'assicurazione dagli effetti esproprianti con cui l'irroconoscibile si annuncia come incatturabile dalla comprensione. La natura disincantata accresce la sicurezza disponente e progettante dell'uomo, contemporaneamente alla neutralizzazione dell'apparire ontologico registrato ora come casuale epifenomeno.
Bisogna però notare come l'oggettiva registrazione della destinalità epocale non sia mai ordinata con criteri degenerativi ma sempre sciolta da pose inquisitorie e paludamenti moraleggianti. Nota infatti Alessandra Iadicicco: «Jünger non respinge affatto il sapere degli scienziati [...]. Se riconosce a quelle ricerche il carattere dell'esattezza è appunto l'esattezza che egli rifiuta di accogliere come criterio di giudizio. Un gesto decisivo in questo confronto con il sapere scientifico è quello di consegnarlo radicalmente al suo limite storico, alla sua provenienza indisponibile, alla sua radice finita».
Infatti nello sfogliare le espressioni simboliche epocali Jünger intesse un'esegesi attenta alle molteplici configurazioni di senso sedimentate sul volto della Terra, rune preziose che testimoniano le risposte incise dall'abitare umano: Cacce sottili è, sotto questo riguardo, una preziosa mappatura geofilosofica delle rivoluzioni planetarie.
Nell'epoca in cui il grande Ordine del Discorso sistematizza l'esistente secondo la successione continua delle rappresentazioni, la forma è accolta e misurata secondo la bidimensionalità dell'effetto duplicativo prodotto dall'atto riflessivo: il visibile è ricondotto alla stabilità constatata nella ricorsività della forma.
Linnè, protagonista del dispiegamento sistematico dello spirito sulla natura incarna nondimeno le movenze premurose di un 'giardiniere appassionato' e dal tono benedicente che, nominando, chiama all'essere le cose: «Occorre vedere in questo personaggio qualcosa di più profondo che semplicemente un gigante della terra. In lui vi è una funzione sacerdotale nel senso più alto della parola [...]. Ciò che è senza nome acquista un significato che si estende fin dove riesce a spingersi lo sguardo e fin dove la parola si pone a tracciare un confine. La natura è resa abitabile e familiare in un modo nuovo. Si moltiplicano le sale dei trofei create dallo spirito».
Una svolta radicale è segnata dall'evoluzionismo darwiniano. Se la classificazione linneiana era metafisicamente sorretta dalla fede in un atto creatore univoco ed esterno alla libertà d'espressione delle forme, delimitate dalla irrevocabilità dell'impronta ricevuta, Darwin teorizza una forza anonima ed immanente all'organismo che si temporalizza nelle reazioni adattive alla contingenza di variabili ambientali.
Il Barocco invece, secolo attraversato dall'angoscia per un universo infinito e disertato da Dio, partecipa allucinato alla caducità metamorfica delle forme, sviluppando una sensibilità attenta al meraviglioso, all'abbondanza e allo straordinario, colto però nell'inappariscenza dei dettagli: «Anche la natura comincia a parlare in modo nuovo; conquista una forza grande ed autonoma. Non solo le sue forze sono viste in modo nuovo, ma con e attraverso esse, si vede il miracolo che la multiformità illimitata contribuisce a rappresentare. E' come una bacchetta magica che opera inaudite trasformazioni. Un bel giorno, un pesce dorato lungo una spanna incanta i nostri occhi e viene fondata una nuova cappella; ne seguirà un culto secolare, coltivato oltre misura».
Di passaggio, ma è un tema serpeggiante nella opera jüngeriana, si riconosce nelle possibilità estetiche racchiuse in questo sguardo, un prezioso viatico per l'attraversamento del muro del tempo e, forse, per l'avvicinamento di ciò che con questo passaggio potrà darsi a vedere.
Quando invece il continuum fluido delle forme, il loro darsi animosamente come increspature della superficie, viene irretito e consolidato dal concetto, allora la natura diventa universalmente manipolabile. Risolvere la natura in meccanica significa ricondurre le percezioni qualitative a parametri quantitativi e invariabili; riportare la realtà dell'immagine patita ad una rappresentazione numerica e misurabile, cioè al mero movimento di punti-massa in uno spazio isotopo ed omogeneo in un tempo continuo ed irreversibile, vuol dire porre l'energia e il movimento come fondamento esaustivo dell'esistente. La riconduzione della natura alla superficialità di un sistema di nessi finalistici mossi dal principio di utilità provoca l'irreversibile processo di legnificazione e mineralizzazione del vivente. L'accoglienza che una tale 'ipotesi di lavoro' riscuote a livello della conoscenza è anche perfettamente corrispondente alle richieste di immediata disponibilità di materia uniformata avanzata dall'Operaio: «Se il mondo fosse davvero costituito in modo così semplice, dovremmo rivelare in esso, secondo il modello del paesaggio d'industria, la presenza di pochi tipi fondamentali utilizzabili nel modo più funzionale. D'altronde, una delle tendenze della nostra epoca è appunto orientata verso la creazione di tali paesaggi. La scomparsa delle specie è un sintomo di questo processo. Il catalogo degli animali che ancora i nostri padri videro con i loro occhi e che conosciamo solo attraverso le descrizioni e le illustrazioni, cresce in maniera inquietante».        
Tarda civiltà di Cucuteni
                                                                              
Nell'imminenza della catastrofe planetaria si ripropone, inevitabile, la domanda sul senso della parabola umana e sull'effemerità del suo tracciato.
Jünger annota icastico: «Le cose stanno effettivamente così».

L'infinità del processo di innovazione in cui è massicciamente impiegata ogni forma di vita conserva, come propria condizione di inveramento, la necessaria nientificazione della Terra. L'ultimo uomo procedendo nel progetto innovativo deve dar spazio alla infinità della potenza del suo pensare-agire la progettazione stessa. Ma la radice finita a cui pur appartiene la facoltà immaginativa della ragione e su i cui schemi lavora sinteticamente la presa concettuale, è costituita dalla quella medesima Terra che, offerta all'immaginazione del senso, verrà incontrata ancora e sempre lungo il percorso di autoaffermazione del soggetto fino a porsi quale ultimo ostacolo da nientificare.
Bisognerà, con Jünger, pensare uno scenario in cui lo spirito autodispiegato regni su di una Terra desertificata e in selvaggia solitudine, e certo anche avviandosi alla propria calcificazione, esistenziale od ontologica poco importa.
Constatando la progressiva diminuzione di specie animali, scrive: «Non solo le rondini, anche le mosce sono tra gli animali in via di estinzione, e l'uomo, persecutore e a sua volta perseguitato, contribuisce a questa scomparsa. Egli è rimasto intrappolato nel processo che risucchia ed annienta le specie: di qui la sua cosmica angoscia e il suo timore di non poter arrestare il corso del destino. Tale situazione va colta nel suo insieme: con l'epoca dei cavalli è scomparsa anche quella dei cavalieri. Ma l'alba continua a risplendere sulle cime che i flutti non hanno raggiunto».
Questa chiusa fortemente contraddittoria non può certamente essere interpretata in senso consolatorio, né come spregiudicatamente mossa dall'ebbrezza che accompagna ogni distruzione: essa va piuttosto approfondita nella sua contraddittorietà.
Ma pensare la contraddizione ingiunge l'abbandono della posa prospettica considerando anche come l'assunto antropocentrico del discorso tecnico acceleri la catastrofe.
Sollecitando una visione d'insieme, Jünger accenna all'ineffettualità dello scavo storico fondato sulle metodologie delle scienze dello spirito. Torna utile qui riprendere un passo dell'Operaio illuminante della questione già allora: «Una forma è, e nessuna evoluzione l'accresce o la diminuisce. Perciò la storia dell'evoluzione non è la storia della forma, ma tutt'al più il suo commento dinamico [...]. Da ciò dipende il fatto che il problema del valore non è quello decisivo. La forma, come va ricercata al di là della volontà e al di là dell'evoluzione, così si trova anche al di là dei valori: essa non possiede alcuna qualità».
E' infatti consustanziale al prospettivismo moderno l'attribuzione di significati fondati sulla capacità estensiva del giudizio, sulla sua efficacia valutativa (il valore come positum della volontà di potenza).
Come pensare allora lo sguardo d'insieme che Jünger suggerisce senza fraintenderlo come l'estrema, tardiva riappropriazione di ciò che il soggetto ha ormai da tempo dimenticato di abitare?
Si può tentare di chiarire la domanda, se non proprio di assicurarci la risposta, ricorrendo ad un passo conclusivo delle Cacce sottili: «La scomparsa degli animali è uno spettacolo che si ripete [...]. L'universo acquista nuove figure e smarrisce quelle antiche, ma non esaurisce mai la forza inesauribile che genera ed annienta. Quando guardo le rondini, mi assale la tristezza; non però quando sposto un poco lo sguardo e lo rivolgo al crinoide appeso al davanzale della finestra. Fu scavato fuori, con uno scalpello, dallo scisto nel quale era rinchiuso da centinaia di milioni di anni. Un'eco di vita proviene dall'insperato, dall'insospettato. Il destino della rondine è intrecciato con il nostro, non quello dell'archeopterix. Nel primo caso è il dolore ad a commuoverci, nel secondo, la pienezza della vita».
Qui lo sguardo sinottico procede palesemente dalla rimozione di ogni inclinazione umanistica e verso una sospensione della facile celebrazione del vivente in cui inevitabilmente si finisce per riconoscere la propria proiezione.
La sinossi dell'antinomia si rifiuta così ad ogni accondiscendenza vitalistica attendendo appunto ciò che si sottrae all'espressività della forma: l'inaspettato, l'inespresso inteso come l'offrirsi della memoria arcaica della Terra.
Appare ovvio come questa possibilità inedita esuli da ogni iniziativa rappresentativa del singolo, anche se proprio al singolo viene demandato l'oltrepassamento del nichilismo. Jünger confida infatti sulla trasformazione artistica dello sguardo, l'unica via che, niccianamente, restituisca alle cose innocenza, cioè quella leggerezza luminosa della parvenza, redimendole dagli schemi di scopo con cui la volontà di verità le attraversa fino all'annientamento. Solo nell'esercizio minimo della distanza è dato poter cogliere l'attimo che sospenda l'adesione ingenua alla natura ricollocandola nell'intatta estraneità di un evento ingiustificabile, nella salvaguardia della venerazione.
A questo motivo fondamentale penso si riferisca Jünger descrivendo la topologia transcosciente del ritorno: «Un'immagine vuole spezzare i confini che il concetto aveva tracciato per restringerla e definirla. Lo spirito, che lo voglia o no, deve prenderne atto, se non vuole capitolare di fronte ai fenomeni. Estendendo i confini può di nuovo comprendervi quell'immagine. L'errore non stava nel mondo, ma nel nostro occhio, nel nostro intimo. E' un salto che ci riporta indietro, verso l'origine».
Oltre a sollecitare una elaborazione simbolica dell'immagine, il ritorno può anche essere inteso non tanto come la riproposizione dell'identico all'interno di una temporalizzazione ciclica del divenire, quanto invece come il riconoscimento dell'inconoscibile dell'origine in ogni cosa che è. L'antico Thauma, e il carattere di urto con cui viene alla presenza, tende piuttosto a spezzare l'antropomorfismo del dato, sospendendo il processo ermeneutico e legandosi impercettibimente all'oblio.

Concludendo

Riflettendo sul senso generale della propria passione entomologica, Jünger scrive: «Già che cosa è che fa la gioia in queste scene di caccia? Perché acquistare migliaia di ideogrammi e innumerevoli rune? Non è per la bellezza, perché molti di questi animali non hanno un bel aspetto; non è nemmeno per la gioia di vedere e conoscere ciò che gli altri a malapena conoscono e sanno guardare. Si dimentica tutto questo negli istanti in cui risplende l'armonia. Dietro alla molteplicità, di qualsiasi specie essa sia, si nasconde un mistero. Ma la stessa composizione fa cenno verso qualcosa di completamente diverso. Quando il lettore lo ha compreso, interrompe la lettura per abbandonarsi alla gioia di un'intesa muta».
Jünger è consapevole che salvare la potenza simbolica dell'immagine -la forza legante, espansiva della forma- è l'ultima possibilità per riportare l'uomo al cospetto di dimensione cosmiche.
Lungo le Cacce sottili compare spesso il riferimento allo Schwärmen (l'andare in estasi): il prodigio erotico della natura che si risveglia, e attraverso la compartecipazione di animali, piante, colori, profumi, testimonia dell'inapparenza donativa ripiegata e vibrante negli strati dell'esistente: «Se le piante da fiore, manifestandosi nella loro inesauribile multiformità, fanno l'effetto di una violenta eruzione dell'Eros cosmogonico, in questo attrarsi e fondersi insieme di organi animali e vegetali, dischiude un tratto insondabile, indecifrabile di Madre Natura [...]. L'unione di esseri così lontani attratti l'uno verso l'altro è il segno di un desiderio nuziale, di una scintilla che si accende in tutti gli oggetti all'inizio di una perpetua festa d'amore». Vedere l'invisibile festa non è dato ovviamente dall'occasionalità di uno sguardo ben intenzionato che confidi nell'immediatezza dell'esperienza: è, ancora una volta, la necessità del cammino alla forma che impone un esodo da se stessi, una conversione senza tinteggiature 'catechistiche' ma metaforicamente pragmatica: una con-versio dell'occhio cieco della mente è l'azione contemplativa jüngeriana, molto vicina, in questo al rovesciamento prospettico del pittore d'icone: le forme non defluiscono dal centro luminoso dell'occhio ma irraggiano dalle proprie regioni ontologiche come punti-eventi in sé illuminanti, costruiti di luce e non illuminati dall'esterno. Il pittore d'icone deve muoversi nelle forme, trasportarsi all'interno della forma ripercorrendone le linee germinative ma insieme, coglierne sinteticamente l'integrità.
La straordinarietà di questo atteggiamento stilistico si avverte nella estrema capacità di disvelamento della realtà. Essa riesce, attraverso il controllo e la calibratura dell'immagine, in uno spazio limitato, a restituire il movimento istantaneo di molteplici accadimenti singolari. Tuttavia ogni singola forma pur se rappresentata nella precisione dei suoi contorni non si esaurisce nell'accidentalità di un puro epifenomeno. La concentrazione sulla particolarità costruttiva riesce ad estenderne non la forma ma il raggio di influenza di quest'ultima -le linee di sviluppo potenziali- sul resto della rappresentazione, ottenendo compositivamente una totalità in sé conchiusa. Ma questo grado di realismo non è assolutamente avvicinabile al semplice artificio di una decalcomania con cui l'ideologia di realtà pretende di risolvere il problema della rappresentazione. La rilevanza va invece sottolineata nella posa assolutamente non mimetica dell'osservatore: l'uomo al centro senza farsi esso stesso centro.
Se ci viene restituito così tangibilmente il senso dell'immagine tanto da avvertirne l'apertura ontologica, lo dobbiamo allo spostamento all'interno della scena dell'osservatore. Jünger mostra perfettamente come la sospensione di ogni interferenza psicologica nella composizione della sensazione, non limiti le possibilità rappresentative dell'ulteriorità sensibile a condizione però di un'attenzione costante alle modalità entro cui la sensazione si dà, che presuppone a sua volta, a parte subiecti, il mantenersi esposto all'evento nella lacerazione del confine dello spazio proprio. Difatti nell'immagine restituita non possiamo individuare un criterio gerarchico di organizzazione delle forme, ottenibile unicamente con la messa in prospettiva del campo visivo. Ma altrettanto poco ci troviamo di fronte ad una pittura impressionistica, atomizzata. Allora ciò vuol dire che la rappresentazione ha raggiunto il suo scopo: è riuscita a testimoniare il senso invisibile imminente nell'immagine in un blocco di puro affetto che promuove la comunicazione di quell'incomunicabile che resta la sensazione di dono del reale, il miracolo per cui ogni cosa che è, è anzitutto un accadere, un darsi.
Da qui l'insistenza con cui Jünger denuncia l'impoverimento formale del moderno. E' una polemica irriducibile al registro sociologico o estetizzante: le forme simboliche sono luoghi da interpretare, soglie dell'invisibile che mostrano il cammino dell'arrischio che è il soggiorno umano sulla terra.
L'esperienza entomologica testimonia della serenità di uno sguardo non pregiudiziale sulla natura e che, sull'orlo della sua distruzione, illuminata dalla luce del tramonto, ci viene restituita nella sua incontaminata purezza. E' quella particolare ilaritas che presiede al pittore di beati giardini paradisiaci dove si danno corpi semplici, perfetti nell'assenza di ogni espressività.
Penso che approfondire l'eredità di questa meditazione sia innanzitutto mantenere la duplicità dell'interrogazione, o meglio, sopportare la tremenda domanda muta che, all'interno della catastrofe, la Terra ci rivolge in un'intatta perfezione.
In un passo dei 'Diari' della II Guerra Mondiale Jünger parla di un fenomeno fitologico secondo il quale alcune specie di fiori (Nyctagenariae) acquistano uno splendore incomparabile in concomitanza della luce crepuscolare. Jünger aggiungeva come questo fosse da tempo elemento di inquietudine.
Noi sappiamo in generale che l'inquietudine accompagna l'attesa dell'ignoto.
Potrebbe invece essere plausibile che l'ignoto più inquietante, in quanto figli della Terra, ci sia già da sempre consegnato in tutto ciò che passando anche è.

Luigi    Ranzani                        
                                              
Tratto da EST-OVEST






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